Massimo Gaggi, Corriere della Sera 13/4/2012, 13 aprile 2012
Affari a Palo Alto seduti su un tappeto – Quando gli chiedono di cosa si occupa, Pejman risponde: «Investo in gente brillante»
Affari a Palo Alto seduti su un tappeto – Quando gli chiedono di cosa si occupa, Pejman risponde: «Investo in gente brillante». Il che è tecnicamente vero: basta andare sul suo sito per scoprire che Amidzad, la finanziaria di venture capital che ha fondato con due soci, ha investito in diverse delle più promettenti start up della Silicon Valley. Imprese che, una volta cresciute, sono state acquistate da gruppi come Google, Yahoo! e Microsoft. La sola partecipazione in «Dropbox», a suo tempo pagata pochissimo, ora vale 80 milioni di dollari. Ma da dove nasce tanta abilità negli affari, il fiuto per le innovazioni di successo? Pejman Nozad non è un ingegnere, non sa nulla di matematica né di computer science. Non viene da una business school, non ha dottorati di ricerca e, per dirla tutta, nemmeno una laurea. La chiave del suo successo nella culla americana delle tecnologie più sofisticate è un’altra: i tappeti. Tappeti persiani preziosi. Lui spiega con passione le antichissime tecniche di tessitura ai tech boys divenuti milionari con le loro invenzioni digitali. Imprenditori che hanno imparato ad apprezzare questo venditore simpatico e intraprendente, scappato dall’Iran degli ayatollah e assunto da Amidi, proprietario di un negozio di tappeti di Palo Alto del quale lui divenne ben presto l’anima. Pejman vendeva e guadagnava bene, ma limitarsi ai tappeti, quando hai la fortuna di sbarcare nel cuore dell’innovazione Usa, gli sembrava una bestemmia. Appena arrivato — fine anni 90 — Pejman cominciò a studiare su Internet i profili dei suoi clienti, insistendo per andare a vendere i suoi oggetti a domicilio: per conoscerli meglio e familiarizzare. Con le vendite a gonfie vele, i padroni del negozio cominciarono a investire. Prima in immobili, affittati a società come Google e PayPal. Poi il grande salto nella tecnologia: i figli di Amidi, nel frattempo scomparso, si misero in società con Pejman entrando nel venture capital. All’inizio scommisero sui loro clienti più brillanti. Pejman si fidava delle persone, che esaminava mentre vendeva i tappeti, ma non comprendeva bene i loro business model. Un problema poi risolto scovando tra i suoi clienti un paio di consulenti disposti a guidarlo negli affari. Gente finita in una sorta di «Pejman club»: il negozio degli Amidi trasformato nel pomeriggio da Pejman in un luogo d’incontro tra venture capitalist e giovani geni a caccia di finanziamenti per i loro progetti. Alle 5 il negozio diventa circolo dell’hi-tech: seduti su tappeti di seta, tra musiche orientali, tè speziati e schermi al plasma, gli angel investor discutono nuovi affari. «All’inizio i colleghi mi prendevano in giro» ha raccontato a Forbes Doug Leone, partner della celebre Sequoia Capital. «Ma la formula funzionava e alla fine sono arrivati anche gli altri». La favola da mille e una notte di Pejman conforta l’America: anche se in declino, questa terra può ancora trasformare in realtà il sogno di un immigrante. Massimo Gaggi