Nino Brisindi, la Repubblica 13/4/2012, 13 aprile 2012
GRAFICA
Anarchia &rigore –
Per apprezzare davvero le cose a volte bisogna privarsene. Così, per capire cos’è la grafica, basta pensare di farne a meno per un giorno: ti svegli la mattina e non sai che ore sono, perché al tuo orologio mancano numeri e lancette.
Vai a lavarti i denti e non riesci a distinguere il tubetto di dentifricio da quello della pomata. Esci, cerchi la fermata della metro e non ci sono più i segnali. Arrivi in edicola e non puoi identificare il tuo quotidiano. Insomma, sono le nove del mattino e sei già nel panico.
La nostra vita è piena di etichette, manifesti, pittogrammi, titoli, segnali stradali. Un fuoco di fila di informazioni che a volte può confondere, ma senza il quale non potremmo vedere, capire, muoverci.Ma non si tratta solo di comunicazione: gli elementi visivi che ci girano intorno sono le cellule della nostra cultura.
Alla ricerca dei legami tra le funzioni della grafica è dedicata la quinta edizione del museo della Triennale di Milano. Il Design Museum ha già dato prova di una inclinazione tutt’altro che statica, ma quest’anno spicca un salto più lungo del solito. Le precedenti edizioni, tra cui Serie fuori serie o Le fabbriche dei sogni, anche passando dalla storia alla produzione, dalla tecnica ai protagonisti, erano pur sempre incentrate sul design degli oggetti. Quest’anno si volta pagina e si passa alla grafica italiana. Ma cos’è la grafica? «Molti pensano che sia un vezzo da perfezionisti, gente che sta lì a misurare gli allineamenti e il giusto abbinamento dei colori», spiega Silvana Annicchiarico, direttrice del museo. «Certo la grafica è anche questo; se tu non riesci a calibrare bene gli elementi nello spazio, la larghezza di una colonnao le dimensioni dei caratteri, non riusciraia comunicare,a essere visto,a essere letto. Però non finisce tutto qui. C’è anche il ruolo che la grafica ha nel contesto sociale. Per questo, raccontare la grafica significa raccontare non solo gli artefatti, ma la storia del nostro paese».
Percorrendo gli spazi della mostra, e le nove sezioni individuate dai curatori - si va dai libri ai marchi, passando per i periodici, la grafica sociale e il packaging - ci si trova davvero a scorrere le vicende italiane dal dopoguerra a oggi. C’è Bruno Munari con il manifesto per la Campari del 1963 e le copertine Einaudi; Albe Steiner, precursore della grafica socialmente impegnata; Piergiorgio Maoloni, teorico e artigiano della comunicazione (il giorno dello sbarco sulla Luna disegnò una prima pagina per il Messaggero usando la tipografia in modo rivoluzionario e arrivò al Moma di New York). Per veri intenditori sezioni più specifiche: Tipi, dedicata al disegno dei caratteri, dove spiccano i lavori di maestri come Guido Modiano e Aldo Novarese. Identità visive, dove con gli altri brilla Italo Lupi, capace di passare dal rigore del manifesto per la Triennale del 1979 all’ironia pop della classica icona dei putti vittoriani rivisitati per Fiorucci.
Non mancano testimonianze del dialogo tra l’Italia e gli altri paesi. «Le influenze sono di andata e ritorno», spiega ancora la Annicchiarico. «La grafica italiana ha oltrepassato le nostre frontiere, ma anche noi abbiamo assorbito la cultura da fuori: dalla Germania alla Svizzera, dalla Russia agli Stati Uniti». Per esempio Massimo Vignelli, il grafico che ha insegnato a una generazione di giovani a mettere insieme caratteri tipografici diversi come il classico Bodoni e il moderno Helvetica. Arrivò a New York nel 1965 e fu chiamato qualche anno dopo per disegnare la segnaletica della metro. Oppure Milton Glaser, grafico di New York autore di icone conosciute in tutto il mondo.
Trasversalmente emerge lo spirito anarchico e innovativo che ha animato la grafica dagli anni Settanta. Così è per i lavori di Gianni Sassi, che ha prodotto i dischi - e disegnato le copertine - per Eugenio Finardi, Franco Battiato, Area. Oppure per Tibor Kalman - quello della copertina psicoanalitica di Remain in lights dei Talking Heads - e gli anni passati con Oliviero Toscani a inventare Colors: notevoli le sue copertine e la capacità di usare solo le immagini per urlare in silenzio idee semplici e forti.
Ancora, testimonianze di grafica senza tempo e della poesia propria di questa arte-tecnica, che permette a chi sa manipolarla il lusso della citazione. Un esempio su tutti, quello di Giovanni Pintori e il Guardian. Quando il quotidiano inglese tra i più autorevoli al mondo per il design - ha lanciato il suo restyling del 2007, ha ripreso il manifesto che Pintori disegnò per la Olivetti Tetractys nel 1956, un intreccio frenetico e ordinato di frecce colorate che puntano ovunque. Come dire, già più di cinquant’anni fa: abbiamo fantasia ma anche tecnica; ci piace la sperimentazione ma anche il controllo; siamo l’anarchia ma anche il rigore.