Pierluigi Magnaschi, ItaliaOggi 12/4/2012, 12 aprile 2012
La tattica furba di Bossi: ritirarsi per poi risorgere di A Umberto Bossi si addice il motto: «Scarpe grosse, cervello fino»
La tattica furba di Bossi: ritirarsi per poi risorgere di A Umberto Bossi si addice il motto: «Scarpe grosse, cervello fino». Non si può certo essere uno sprovveduto in politica per inventare un partito da zero, disponendo di poche lire (al tempo degli esordi). E poi riuscire, non solo a tenerlo in piedi, ma anche a farlo crescere, nonostante che, nei suoi vent’anni di esistenza, la Lega non sia riuscita a realizzare nessuno dei suoi propositi. Anzi, nel caso di Roma, ad esempio, la Lega ha fatto esattamente l’opposto di ciò che si riprometteva di fare. Nessuna coalizione governativa infatti, dal dopoguerra ad oggi, era mai riuscita, o aveva mai voluto, approvare una legge istitutiva di Roma capitale. Ciò significa che oggi, mentre tutti gli altri Comuni italiani (anche i più virtuosi) sono tenuti a stecchetto, tale legge offre, e soltanto a Roma, non solo degli ingenti capitali aggiuntivi ma, nel contempo, libera Roma dall’obbligo di osservare gran parte dei vincoli del patto di stabilità. È vero che la Lega aveva ceduto sul tema di Roma capitale per poi poter ottenere, in cambio, il federalismo. Però Roma ha, di fatto, avuto più soldi e più libertà di spesa, mentre la Lega, da parte sua, non ha ottenuto il federalismo, se non con flebili e incerti acconti. Su questo tema cruciale per la Lega, Bossi è quindi stato infinocchiato. Per riuscire a tenere in piedi un partito così fallimentare, ci voleva quindi un bell’ingegno politico. Lo stesso che adesso è stato usato da Umberto Bossi anche nelle rovinose e improvvise fasi della sua incontrastabile eclisse. Primo, Bossi, vedendo che la casa franava, non è rimasto a cincischiare, né ha tentato di tenere le posizioni, ma si è dimesso subito, come se non avesse il coraggio di battersi. E invece aveva capito che la battaglia sarebbe stata persa in partenza. Dimettendosi senza condizioni infatti, Bossi, da cinghiale da infilzare, si è subito trasformato in una vittima da compatire. Poi ha lanciato in un attimo, senz’alcuna esitazione, il figlio Renzo e l’amministratore Belsito. Chi si ricorda più di loro a tre giorni dal loro defenestramento? Rosi Mauro, certo, resiste. Ma non dipende più da Bossi. E, più resiste, e sempre meno rimane bossiana. A questo punto, Bossi si è smarcato. Certo, piange anche lui sul palco come una Fornero qualsiasi. Ma anche quella smorfia di emozione rientra nel suo copione perché lo umanizza, rendendolo presentabile. Non è più un bau-bau, Bossi. Resta solo un vecchio nonno, acciaccato. Pronto a essere onorato ed evocato dalla sua plebe, purché stia, buono, nella sua nicchia di presidente putativo. Un’operazione di sganciamento da manuale, questa di Bossi. Non c’è dubbio.