La Stampa 12/4/2012, 12 aprile 2012
Guerra del greggio Teheran taglia l’export a Berlino - L’Iran chiude un altro rubinetto del suo petrolio destinato all’Europa e minaccia: il prossimo sarà quello italiano
Guerra del greggio Teheran taglia l’export a Berlino - L’Iran chiude un altro rubinetto del suo petrolio destinato all’Europa e minaccia: il prossimo sarà quello italiano. Dopo aver bloccato l’export verso Grecia e Spagna nei giorni scorsi, ieri Teheran ha annunciato di aver interrotto anche le esportazioni destinate alla Germania. A riferirlo è stata la televisione «AlAlam», aggiungendo che il boicottaggio come reazione alle sanzioni decise dall’Ue riguarderà anche le merci in entrata: Teheran ha infatti deciso di sanzionare 100 imprese europee, impedendo le importazioni dei loro prodotti nel Paese. Il 24 gennaio l’Unione europea aveva imposto all’Iran un embargo petrolifero graduale, sanzionando inoltre la sua Banca centrale. L’obiettivo dichiarato è quello di tentare di prosciugare i finanziamenti destinati al suo controverso programma nucleare. Ma Teheran non era rimasta a guardare e nel giro di tre settimane era subito arrivata la prima reazione: a metà febbraio era stata sospesa la vendita di petrolio a Francia e a Gran Bretagna: «Clienti minori», visto che gli acquisti di petrolio iraniano da parte di Parigi e Londra sono minimi. Due giorni fa, il secondo passo, con l’annuncio della sospensione delle esportazioni di petrolio in Grecia e in Spagna. A dire il vero un portavoce del ministero degli Esteri di Madrid aveva precisato che la Spagna non importa più petrolio iraniano già «dalla fine di febbraio», mentre Atene ha già avviato da tempo i negoziati con Russia, Iraq, Arabia Saudita e Libia per gli approvvigionamenti. Gli annunci di Teheran arrivano a tre giorni dalla ripresa dei negoziati nucleari fra l’Iran e i Paesi del gruppo 5+1 (Stati Uniti, Cina, Russia, Francia, Regno Unito e Germania), prevista sabato a Istanbul. Il gruppo potrebbe chiedere all’Iran di limitare l’arricchimento dell’uranio al 20% e di accettare nuove ispezioni ai siti nucleari. Il capo dei negoziatori iraniani, Said Jalili, ha fatto sapere che l’Iran presenterà «nuove iniziative» per tentare di risolvere la crisi, senza precisarne la natura, mentre il presidente Mahmoud Ahmadinejad ha ribadito che le sanzioni petrolifere decise da Usa e Ue non avranno alcun effetto: «Le nostre riserve in oro e in valuta sono senza precedenti e ci permetterebbero di gestire il Paese senza problemi per due o tre anni». L’Iran, secondo Paese dell’Opec, produce circa 3,5 milioni di barili di petrolio al giorno e ne esporta circa 2,5 milioni. Nel 2011, le esportazioni petrolifere in Europa ammontavano a circa 450.000 barili al giorno, pari a circa il 18% delle esportazioni iraniane. I tre principali acquirenti europei, fino allo scorso anno, erano l’Italia (180.000 barili al giorno), la Spagna (160.000) e la Grecia (100.000). MARCO BRESOLIN ** Per l’Italia il rischio è cercare alternative a qualsiasi prezzo - E se l’Italia dovesse fare improvvisamente a meno del petrolio iraniano? La domanda inquieta gli economisti e grava sui consumatori. Dopo aver interrotto le esportazioni di greggio verso Francia, Gran Bretagna, Grecia e Spagna, Teheran rilancia infatti la sua sfida all’Europa promotrice delle sanzioni e, a tre giorni dall’avvio del complicato summit di Istanbul sul nucleare, aggiunge la Germania alla lista dei defenestrati minacciando di fare presto altrettanto con il nostro Paese. Così, che l’intimidazione resti o meno tale, il sistema industriale è costretto a fare qualche calcolo. «Per effetto dell’embargo le forniture terminerebbero comunque il primo luglio, ma anticipare i tempi significherebbe dover trovare alternative rapide a qualsiasi costo», ammettono ambienti vicini all’Unione petrolifera. Quello iraniano è un petrolio pesante e particolarmente adatto alla produzione di bitume, vale a dire che una carenza interesserebbe soprattutto il settore delle costruzioni stradali. Il problema, però, non sarebbe tanto la materia prima, alla fin fine reperibile in Arabia Saudita, in Azerbaijan, in Iraq e, ovviamente, in Russia, dove il petrolio mediopesante dell’UralMed si è avvantaggiato della crisi libica diventando in breve più prezioso di quello leggero. L’incognita riguarda il prezzo: se cambi direzione dal giorno alla notte devi accontentarti poi della tariffa che trovi, specialmente quando la richiesta è alta e la Cina compra a man bassa per riempire le scorte. Secondo un recente studio dell’Energy Fund Advisors, l’embargo europeo sul greggio iraniano potrebbe significare un aumento di almeno 20 dollari a barile destinati a raddoppiare nel caso di intervento militare o di interruzione volontaria delle esportazioni da parte degli ayatollah. Come impatterebbe o impatterà sull’Italia, che importa da Teheran oltre due milioni di barili al giorno? Gli esperti scongiurano dal disegnare uno scenario: «É imprevedibile, sarebbe come scommettere sull’esistenza di Dio. Il nodo vero sono i mercati finanziari che nel fissare il valore del greggio contano oggi più dell’Opec, tanto che, nelle transazioni, per ogni barile fisico ce ne sono una trentina di carta, ossia inesistenti. Sono le piazze internazionali a scommettere e ad amplificare le tendenze. Così, magari, mentre all’annuncio delle sanzioni i prezzi sono schizzati alle stelle, il giorno in cui verranno applicate non ci saranno ripercussioni perché per l’epoca i mercati si saranno riassestati». Se le piazze finanziarie stanno già valutando l’ipotesi di un ritiro iraniano, gli operatori del settore fanno per mestiere i conti con l’incertezza regionale. «Chi lavora con il petrolio sa con grande anticipo cosa accade spiega l’ufficio stampa della Ies di Mantova, raffineria leader nella produzione di bitumi -. Se è vero che negli ultimi dieci anni due terzi del nostro petrolio sono venuti dall’Iran, l’”iranian heavy”, in termini di costi e logistica ci siamo mossi da tempo per diversificare gli approvvigionamenti anche grazie alle sinergie con il gruppo Mol di cui facciamo parte». Contraccolpi ci saranno insomma, e il governo assicura di vigilare. Ma gli industriali sono abituati a «non tenere tutte le uova nello stesso paniere». Qualsiasi ritorsione decida Teheran, l’Italia in apparenza sembra pronta (o almeno pronta all’imprevedibilità di quella ritorsione). Anche l’Eni, esonerata dall’embargo europeo perché impegnata a recuperare il miliardo e mezzo di dollari che la National Iranian Oil Company le deve ancora, non teme minacce. «Non abbiamo alcuna preoccupazione perché del totale del petrolio importato dall’Italia, l’Eni ne prende appena il 2%: vorrà dire che ci riforniremo da qualche altra parte», nota l’ufficio stampa. Il conto pagamento poi è escluso da qualsiasi variante geopolitica: «L’Eni estrae petrolio iraniano, lo rivende all’esterno e si prende il 20% di quel che ricava in virtù del credito pregresso. Teheran non romperà mai quell’accordo perché decidendo di rinunciare all’80% dell’incasso si sparerebbe sui piedi. L’unico stop potrebbe venirci da Stati Uniti e Unione Europea, ma quel rischio è già stato scongiurato». FRANCESCA PACI