FRANCESCO MANACORDA, La Stampa 12/4/2012, 12 aprile 2012
La Spagna si rispecchia nello spettro della Grecia - Centodieci giorni di governo, centoquaranta punti - in più - di spread
La Spagna si rispecchia nello spettro della Grecia - Centodieci giorni di governo, centoquaranta punti - in più - di spread. Due numeri soli e in mezzo l’angoscia di una Spagna che si vede scivolare verso il ruolo infame di una nuova Grecia. «Sì, purtroppo è una sceneggiatura possibile», ammette Joacquin Trigo, direttore dell’Institutos de Estudios Econòmicos, culla di ministri del Partido Popular e vicino alla Confindustria locale. Molte scene, del resto, sono già state scritte: il nuovo governo guidato da Mariano Rajoy che s’insedia e svela subito un debito pari non più al 60%, ma quasi all’80% del Pil; il deficit che pareva al 6% e invece si scopre all’8,5%; destinato a scendere al 4,4% nel 2012 fermerà invece la sua riduzione al 5,3% del Pil… E poi l’indebitamento delle famiglie - specie mutui - che da solo vale il 90% del Pil e il rischio della bolla immobiliare che ancora giace nei bilanci delle banche. Così perfino i tagli alla spesa da 10 miliardi, annunciati martedì, hanno spinto i mercati al ribasso per la paura che dietro la misura straordinaria si nascondesse l’ennesima brutta sorpresa in salsa, per l’appunto, greca. Alla Puerta del Sol la crisi non morde né più né meno di un mese o di un anno fa: comitive di americani che sciamano verso il Prado e vecchie ragazze di vita ferme agli angoli; i negozi - come ormai in tutta Europa - si dividono tra quelli che vendono telefonini e quelli che comprano oro. Resiste per fortuna il monumentale «Museo del Jambon» con la sua eterogenea clientela. Ma verso il Paseo della Castellana, dove si concentrano i grandi nomi della finanza ispanica, e i palazzi del governo anche oggi - nonostante una ventata di sereno sui mercati - è una giornata difficile. José Ignacio Conde Ruiz, che insegna economia all’Universidad Carlos III e siede tra gli esperti del Fedea, la fondazione di economisti di maggior prestigio, avverte che «tra il governo di Mariano Rajoy e i mercati si sta giocando un gioco pericoloso» e che «alla fine il governo potrebbe essere costretto a intervenire su pensioni e salari pubblici». Ma Rajoy non ha detto di no? «I conti sono presto fatti: gli stipendi del pubblico impiego pesano un po’ più del 10% del Pil, le pensioni un po’ meno del 10%, i sussidi di disoccupazione circa il 3%. Se davvero si vuole arrivare a un rapporto deficit/Pil del 5,3% quest’anno e del 3% nel 2013, vedo poche alternative a interventi anche in questi settori». Dall’Iee Trigo promuove il governo per quello che ha fatto finora, ma pensa che «le pensioni debbono restare come sono e gli stipendi pubblici si possono ridurre solo di poco». Gli occhi sono puntati su Bruxelles e sull’ortodossia germanica di bilancio, ancora una volta viene additata come il vero pericolo per l’Europa. Perfino un ex ministro socialista come Juan Manuel Eguiagaray, ammette che «la situazione non dipende tanto dal governo, quanto dal quadro europeo. Anche se Rajoy avesse annunciato tagli per 20 miliardi invece che per 10 non ci sarebbe fiducia nella Spagna. Perché? Il nostro Pil dovrebbe scendere nel 2012 dell’1,7%, per un anno almeno saremo in recessione. Come potranno migliorare i conti pubblici se l’economia si restringe? La medicina che ci costringono a prendere è esattamente il contrario di quello che ci servirebbe». Pure José Carlos Diez, direttore della ricerca del broker finanziario Intermoney e autore di un fortunato blog economico, se la prende con l’Europa: «Mettiamola così, negli ultimi dieci o quindici anni italiani e spagnoli si sono indebitati per comprarsi l’auto. Se adesso non se la possono più comprare qualcun altro in Europa deve farlo al posto loro per garantire i livelli di occupazione e di reddito del Continente. Ma senza uno stimolo fiscale, e anzi con queste politiche restrittive, si va inevitabilmente verso la recessione». Italia e Spagna, almeno viste da Madrid, sono più o meno nella stessa barca. E del resto anche il gioco dei rimpalli tra chi sia colpevole di tanta esecrazione internazionale - espressa ovviamente con la fuga dai titoli di Stato ed automatico rialzo dei malefici spread - affonda in una strana sensazione di déjà-vu, tra misure d’emergenza e incidenti di percorso. Chi è che mette un limite ai pagamenti in contanti per combattere l’evasione? Chi tergiversa sulla riforma del lavoro? E chi si prepara a portare a Bruxelles entro il 30 aprile il suo piano di stabilizzazione delle finanze pubbliche? Le risposte giuste oggi sono Madrid, Roma, Madrid, ma appena qualche settimana fa sarebbe potuto essere il contrario. A dire il vero, però, fattori di preoccupazione s u p p l e m e n t a r e per la Spagna restano ben evidenti: a partire dalla dinamica del debito di famiglie e imprese per passare a un deficit che difficilmente andrà sotto controllo, anche per il ruolo difficilmente controllabile delle potenti - ma finora irresponsabili - amministrazioni locali. Appena martedì la presidente della municipalità di Madrid Esperanza Aguirre ha lanciato il sasso nello stagno, proponendo di centralizzare le spese oggi in mano alle Regioni. Il risparmio, sostiene, arriverebbe a 48 miliardi. Immediato il no di Rajoy. Ma proprio ieri il governo ha annunciato che i conti delle Comunidad Autonomas verranno verificati a livello nazionale ogni trimestre.