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 2012  aprile 12 Giovedì calendario

DOMENICO PROCACCI: «NÉ CON LA POLIZIA NÉ CON AGNOLETTO»

Quindi mi faccia capire. Da un lato la Polizia mi attacca sostenendo che ho prodotto un film teso a criminalizzarla. Dall’altro Agnoletto scrive che Diaz è stato fatto in collaborazione con il capo della Polizia e lo legge come un gigantesco depistaggio utile a occultare le responsabilità dei vertici della stessa. Gran risultato, no?”. Il dubbio di Domenico Procacci veleggia nei territori dell’ironia. Biliardini e supereroi alle pareti . Quadri e tartarughe. Foto di Ligabue, libri e dvd di Moretti e Garrone. La Gomorra delle divise nella Genova del 2001 girata da Daniele Vicari, uno degli 80 film inventati in un quarto di secolo da questo barese di 52 anni che continua a vestire in jeans, indossare l’orecchino, dividersi tra conseguenze dell’amore, investiture papali e pagine di storia, non ha lasciato indifferenti. Elogi e critiche. Premi e insinuazioni. Le ultime, quelle dell’ex parlamentare Vittorio Agnoletto ospitate dal manifesto in prima pagina.
Procacci, Agnoletto urla. Per lui Diaz è solo una trovata commerciale.
Far conoscere la vicenda a chi non l’ha vissuta non è una macchia, ma un obiettivo.
Ha letto il suo articolo?
Agnoletto si sente depositario di una verità assoluta, come accade a chi ha vissuto in prima persona dei fatti così gravi. È una posizione che comprendo, ma le motivazioni del suo “attacco” sono a dir poco fantasiose. Pare che l’unico modo di capire cosa è successo a Genova sia leggere il suo libro. Naturalmente, tra le righe, non dimentica di citarlo.
Non si capiscono le responsabilità politiche, sostiene.
È vero. Molti punti di domanda vengono lasciati volutamente irrisolti. Ci siamo limitati a raccontare i fatti. Penso siano abbastanza forti. Addentrarci nelle interpretazioni e nelle teorie parapolitiche avrebbe significato fare un altro film.
Quindi l’articolo non le è piaciuto.
È scritto in totale malafede.
Intanto la censura ha deciso di non vietare Diaz.
È giusto perché racconta le violenze, ma non le esibisce. Descrive gli abusi, ma non li ostenta. È la percezione di chi lo vede a rendere più forti le immagini. Ad amplificarne l’effetto.
Perché ha finanziato Diaz?
Al principio io e Vicari eravamo spaventati dal rischio dell’oblio. Col tempo ho capito che Diaz è molto più attuale di quanto non pensassi. I meccanismi tendono a ripetersi e oggi come ieri, nel-l’assenza della politica, la dialettica tra movimenti e istituzioni è lasciata nelle sole mani della Polizia.
È sbagliato?
Certe dinamiche dovrebbero essere risolte altrove. La polizia e l’esercito hanno lo strumento repressivo e lo adottano. Se devono espropriare o confiscare non discutono, avanzano. Ieri a Genova. Oggi in Val di Susa.
Ma non chiedono scusa.
Privatamente, i poliziotti che abbiamo incontrato prima e dopo, hanno parlato di errori commessi. Ma l’ammissione non è mai stata fatta pubblicamente e dirsi colpevoli senza chiedere scusa, è una relativizzazione un po’ deludente.
Per il sindacalista Maccari il film è falso, inutile e pericoloso
Siamo sicuri che se avessimo mostrato l’immobilità della Polizia davanti ai black-bloc l’onore delle forze dell’ordine ne sarebbe uscito rafforzato?
È innegabile che la Polizia usò le maniere forti. Perché?
Lo spiegò in tribunale Ansoino Andreassi, il capo delle operazioni improvvisamente sollevato dall’incarico nel-l’ultimo giorno del G8. C’era la necessità di controbilanciare con arresti e interventi il caos sfuggito di mano. Ma davanti agli abusi della Diaz o di Bolzaneto non c’è bilancia che tenga. E a essere onesti, non mi sembra un grande argomento. Non solo non avete fermato i vandali, ma avete massacrato 93 persone che non c’entravano nulla e torturato 200 individui rastrellati a caso per le strade.
Duro.
Sa come la chiamavano tra loro i poliziotti accorsi alla Diaz? La notte del volontario. Tutti quelli che venivano a sapere dell’azione si aggregavano, portandosi i personali “ferri” del mestiere.
Dei 300 agenti presenti
nella scuola si riuscì a
identificarne appena 29.
E solo perché segnalati con nomi e cognomi sugli ordini di servizio. Ma qualcosa, in seguito, è successo. Hanno smantellato il VII nucleo e istituito una scuola superiore di Polizia. Promesso che nulla del genere sarebbe più accaduto.
Basta?
No. Serve una vera assunzione di responsabilità da parte dei vertici che a oggi non è ancora arrivata. Si può fare di più. L’uso di un codice identificativo, presente sulle divise delle polizie di mezzo mondo. Oppure, finalmente, introdurre nel codice penale il reato di tortura come previsto da una convenzione Onu del 1984 alla quale l’Italia aderì.
Invece?
Nell’ambiguità rimane un angolo in ombra e l’acre sensazione di un omertoso monolite che fa muro.
Lo spirito di corpo si disse.
Quando è più forte del senso dello Stato c’è qualcosa che non va.
Lei fece avere il copione di Diaz al Capo della Polizia Manganelli.
Volevo che non si pensasse che stessimo facendo questo film di nascosto. Non ho mai saputo se l’abbia letto, ma mostrarglielo non tendeva certo a un’approvazione preventiva. Ora mi auguro che lo veda il ministro Cancellieri. Sarebbe importante.
Il 15 maggio Diaz approderà al Parlamento europeo. Basta un’opera di finzione per sensibilizzare.
Un film è solo un film. Qui c’è anche qualcos’altro, di più importante. Qui parliamo di noi. Di come difendere la nostra democrazia che in certi momenti dimostra tutta la sua fragilità.