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 2012  aprile 12 Giovedì calendario

AH, GIÀ LA RAI

Il 28 marzo, esattamente due settimane fa, è scaduto il Cda della Rai. Interessa a qualcuno? Dovrebbe interessare al governo Monti, visto che la Rai è un’azienda con 11 mila dipendenti di proprietà del governo, anzi del ministero dell’Economia, retto da Monti, che ne detiene il 99,56% (il resto è della Siae). L’8 gennaio infatti, intervistato da Fabio Fazio a Che tempo che fa, Monti disse che ci pensava lui: “Mi dia qualche settimana e vedrà”. Ne sono passate 13 e nessuno ha visto nulla: a parte il vertice a Palazzo Chigi fra Monti e Confalonieri, presidente di Mediaset, ricevuto in pompa magna non si sa bene a che titolo e per parlare di che. Incontro preceduto e seguito da vari avvertimenti del Pdl al premier perché si guardi dall’occuparsi di Rai. Infatti lui, che si sappia, non se n’è minimamente occupato. Eppure, come azionista, ministro dell’Economia e premier, Monti ha il dovere istituzionale di occuparsene: per nominare uno dei 9 consiglieri e per concorrere a indicare il presidente e il direttore generale. Ma, se e quando lo farà, cosa farà? Pare che le alternative allo studio siano tre: commissariare l’azienda con un amministratore unico di stretta obbedienza montiana; prorogare il Cda scaduto e il dg Lorenza Lei (ma uno dei 9 consiglieri, Rizzo Nervo, s’è dimesso a gennaio); lasciar fare alla Vigilanza, cioè ai partiti, e indicare – nelle caselle di pertinenza governativa – qualche tecnico concordato con la maggioranza, cioè coi partiti. Di cambiare la legge Gasparri, che consegna ai partiti un servizio pubblico come la Rai, manco a parlarne. E forse è meglio così, visto che in Parlamento la maggioranza ce l’hanno i partiti che nel 2003 la Gasparri la votarono. E che, dovendola cambiare, sarebbero capaci persino di peggiorarla. Meglio che se ne occupi il prossimo Parlamento, sperando che sia meno peggio di questo. L’altro giorno, in un convegno dell’Idv, Antonello Falomi ha rilanciato la legge d’iniziativa popolare per strappare dalla Rai le zampe dei partiti, promossa nel 2006 da Tana de Zulueta, Sabina Guzzanti, Giovanni Valentini e altri, che raccolse 50 mila firme e che ovviamente il centrosinistra ignorò. Lo stesso ha fatto il MoveOn Italia (ne parla la De Zulueta sul sito di Articolo 21), nato sul modello del MoveOn America che promosse la riforma sanitaria di Obama: nei giorni scorsi, riprendendo la proposta del 2006, MoveOn ha proposto “cinque punti per tutelare un bene comune”. Eccoli: 1) Come in Germania, la tv pubblica italiana non dev’essere di proprietà del governo, ma di una fondazione di diritto pubblico. 2) Nasce un “Consiglio nazionale delle comunicazioni” indipendente dalla politica (i membri li eleggono gli utenti, le associazioni di artisti, autori, fornitori di contenuti e solo in minima parte il Parlamento e gli enti locali). 3) Questo Consiglio, dunque non più governo e Parlamento, nomina i 5 (non più 9) membri del Cda Rai, in base a curricula pubblici, garanzia di competenza e indipendenza. 4) Il Consiglio nomina i componenti dell’Agcom secondo gli stessi criteri. 5) I cittadini potranno controllare le scelte degli organismi suddetti con strumenti interattivi sul web. Oltre a quella sul finanziamento pubblico, è una partita decisiva per imporre ai partiti una dieta ferrea. Chi, oltre all’Idv, è d’accordo lo dica subito. Il Pd, con Bersani, giura che non parteciperà a nuove spartizioni in base alla Gasparri: speriamo, anche se sarebbe la prima volta. Resta da vedere il da farsi nell’immediato, in attesa di trovare un Parlamento in grado di riformare davvero la Gasparri. L’unica strada è il commissariamento della Rai fino alle prossime elezioni, con un presidente e un dg scelti in base alle loro provate capacità. Chi si sente in grado può candidarsi con il suo curriculum. È quel che faranno presto Santoro e Freccero: vedremo se il governo e i partiti troveranno qualcuno più bravo di loro. In caso contrario, se sceglieranno qualcun altro, sapremo che anche sulla Rai il governo Monti è come tutti gli altri.