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 2012  aprile 11 Mercoledì calendario

Le bestie nere di Svevo: il paragone con Proust (e le cravatte eleganti) - Una brevissima biogra­fia capace di condensa­re in novanta pagine i segreti di tutta una vi­ta, quella di Italo Svevo

Le bestie nere di Svevo: il paragone con Proust (e le cravatte eleganti) - Una brevissima biogra­fia capace di condensa­re in novanta pagine i segreti di tutta una vi­ta, quella di Italo Svevo. Una bio­grafia perduta e ritrovata. Questo è quello che si può dire di Una vita. Cronistoria sveviana , la biografia di Italo Svevo scritta dall’intellet­tuale triestina Anita Pittoni di cui già ieri, in queste pagine annuncia­vamo la riscoperta. Il testo scritto da Anita Pittoni è unico per più motivi. In primis vici­nanza e­conoscenza diretta del bio­grafato e della sua famiglia. Poi an­che per la qualità letteraria del­l’estensore. La Pittoni è forse poco nota fuori da Trieste ma è stata la fondatrice della casa editrice Lo Zi­baldone ( pubblicando Saba, Giot­ti, Stuparich, Kezich, Svevo), ami­ca di letterati come Montale, Be­tocchi, Luzi, Barile, creatrice di moda e di scenografie con Anton Giulio Bragaglia ( Il suggeritore nu­do di Marinetti, L’opera dei tre sol­di di Bertold Brecht). Praticamen­te scomparsa dal 1959, la biografia è ritornata alla luce grazie al biblio­filo Simone Volpato. Che da anni cerca con pazienza certosina di ri­costruite l’archivio della Pittoni, disperso tra vari collezionisti e ri­gattieri. Ed ecco ora tornare alla lu­c­e anche questi 90 fogli dattiloscrit­ti, un centinaio di fotografie di Etto­re Schmitz e famiglia, di cui molte inedite e di cui si ignorava l’esisten­za. Come ci spiega lo stesso Volpa­to: «Il lavoro di ricerca e la prima composizione dell’opera, sono stati fatti in correla­zione alla realizza­zione del documentario La Trieste di Italo Svevo , che fu curato dalla Pittoni e Luciano Budigna e alla pubblicazione, nel 1958, della nuo­va edizione di Vita di mio marito ... Nel 1970 poi la Pittoni riunisce tut­te le cartelle per farne una pubbli­cazione: lo si può capire dal fatto che riscrive tutta l’introduzione in­titolata Vita e creazione indicando come fonte il volume di Erich Hel­ler Lo spirito diseredato uscito nel 1965 da Adelphi. Siamo anche nel periodo del fallimento delle edi­zioni dello Zibaldone e tutto il pro­getto svanisce: siamo di fronte ad un libro pronto per la stampa». E nel testo ci sono delle chicche davvero eccezionali, alcune le ab­biamo pubblicate in anteprima in questa pagina per gentile conces­sione di Volpato e riguardano la ge­losia di Svevo verso la moglie, il rapporto tra Svevo e Joyce e la pri­ma stesura de La coscienza di Ze­no . Ma davvero dal testo escono un sacco di aneddoti. Ecco come la moglie di Italo Svevo-Ettore Sch­mitz, Livia Veneziani, a esempio racconta le difficoltà nel gestire la quotidianità di un genio: «Dovevo condurre Ettore dal sarto, curare il suo abbigliamento al quale non te­neva assolutamente, vestiva quasi sempre di nero e non sapeva cam­biare nemmeno i bottoni ai polsi­ni. Distratto, non metteva mai gli oggetti al loro posto. Amava la mas­sima semplicità, e non voleva né spille, né gemelli preziosi, né anel­li. Si meravigliava che a me piaces­sero le gioie. Portò solo per poco tempo la fede, poi se la levò dicen­do: “Mi strangola”. Fidanzandosi m’aveva detto: “Ricordati che non sono una macchina da zecca”». Oppure memorabile il fatto che vi­sto che tutti lo paragonano a Proust Svevo si decida a: «Acqui­sta tutte le opere di Proust, incurio­sito di conoscere questo autore al quale egli veniva accostato spes­so. Tanto che lo slogan di lancio era stato “Italo Svevo, il Proust ita­liano”, definizione che non gli gar­bava, anche perché inesatta: Sve­vo aveva pubblicato Senilità quan­do ( diceva Svevo stesso) “il Proust che conosciamo non era ancora nato”».Oppure ancora l’opinione di Svevo su Kafka (lo scoprì nel 1927): «Chi legge un romanzo de­ve avere il senso di sentirsi raccon­tare una cosa veramente avvenu­ta. Ma chi lo scrive, maggiormente deve crederci, anche se sa che in re­altà mai si svolse. L’immaginazio­ne è una vera avventura». Insomma, uno Svevo visto vera­mente da vicino. Così vicino forse da dargli quasi fastidio, vista la sua timidezza. Racconta ancora la mo­glie un episodio del 1926: «Passan­do per Milano Ettore volle abbo­narsi all’ Eco della Stampa . All’usci­ta un gruppo di giovani letterati lo circondò. Li guidava Eugenio Montale; erano Lodovici, Somarè, Giansiro Ferrata, il figlio del pitto­re Tallone, e Leo Ferrero. “Siete Ita­lo Svevo?” gli chiesero, e lo festeg­giarono. Al primo momento egli ri­mase senza parola, come stupefat­to, non sapeva rispondere. Era tal­mente modesto che le manifesta­zioni d’ammirazione lo intimidi­vano ». Matteo Sacchi *** Follemente geloso e lettore di Joyce - JOYCE VISTO DA SVEVO «Sottile, snello, alto, potrebbe sembrare uno sportman se non si movesse con l’abbandono di persona cui le proprie membra non importino affatto. Io credo infatti che quelle membra siano state trascuratissime e non abbiano co­nosciuto mai lo sport o la ginna­stica. Voglio di­re che da vici­no­nonappa­risce quale il combat­t­ente stre­nuo che l’opera sua co­r a g ­ giosa farebbe pensa­re. Molto miope, porta degli occhiali forti che gli ingran­discono l’occhio, e tale occhio azzurro, di grande importanza anche senza gli occhiali, guarda con una eterna curiosità e con una freddezza altrettanto gran­de. Io non so fare a meno di figu­rarmi che quell’occhio non sa­rebbe meno curioso e meno freddo posandosi su un avversa­rio col quale il Joyce dovrebbe misurarsi» [...] «Joyce lesse i due romanzi di Svevo, Una vita e Se­nilità mentre Svevo lesse di Joyce le poesie di Chamber Mu­sic e capitoli del Dubliners [...] Tra gli argomenti che interessa­vano particolarmente il Joyce c’erano le interrogazioni ch’egli poneva a Svevo sulla raz­za ebraica. Joyce a quell’epoca stava lavorando intorno alla fi­gura di Bloom, il piccolo ebreo errante le cui disavventure for­mano la trama di quella moder­na Odissea che è l’ Ulisse di Joyce». LA COSCIENZA DI ZENO «È Svevo a parlare: “Con la Co­scienza di Zeno io credetti per lungo tempo d’aver fatto opera di psicanalista. Ora debbo dire che quando pubblicai il mio li­bro da cui, come tutti coloro che pubblicano,m’ero atteso il suc­cesso, mi trovai circondato da unsilenziosepolcrale. Oggi, par­landone, so ridere, avrei saputo riderne anche allora se fossi sta­to più giovane. Invece ne soffer­si tanto che creai l’assioma: la letteratura non fa per i vecchi. Un uomo pratico d’insuccessi come sono io, non sapeva sop­portare questo, perché gl’insi­diava l’appetito e il sonno”». LA GELOSIA «Ettore aveva 34 anni e Livia (Ve­neziani, sua moglie)21. “Il peri­odo del nostro fidanzamento ­confessa Livia - fu per Ettore un periodo di grande turbamento. Soffriva di una sensibilità estre­ma. Un giorno arrivò a dirmi: “Ricordati che una parola mal detta sarebbe la fine di tutto”.Et­tore si rivela un innamorato ge­­loso, sentimento non facilmen­te intuibile dalle sue opere». Anita Pittoni