Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  aprile 11 Mercoledì calendario

Le Pen: «Non sono il diavolo di Francia» - «Vogliono farci credere che l’Europa sia una fatalità, che dobbiamo per forza accettare il “fascismo dorato” dei mercati

Le Pen: «Non sono il diavolo di Francia» - «Vogliono farci credere che l’Europa sia una fatalità, che dobbiamo per forza accettare il “fascismo dorato” dei mercati. Ciò che è accaduto in Italia è un colpo di Stato compiuto dalle ban­che per mettere al governo un im­piegato di Goldman Sachs... Mi creda, la vera frattura non è fra de­­stra e sinistra, ma fra chi vuole poli­tiche nazionali e chi vuole il mon­dialismo, l’internazionalismo eu­ropeo, lo chiami come le pare. Io mi batto per una nuova poli­­tica monetaria, che ten­ga l’euro come mo­neta comune, ma non come unica moneta, che ri­stabilisca il fran­co e le altre valu­te nazionali. Oc­corre una concer­tazione fra Stati per arrivare a questo, è chia­ro, uno smantellamento co­munitario, ma in caso contrario ci sarà l’implosione.Dove vogliamo arrivare? A sgozzare i greci, e poi gli spagnoli, i portoghesi e gli irlan­desi, gli italiani? È un effetto domi­no perverso, e la Francia non ne sa­rà risparmiata, perché siamo tutti sulla stessa scala, gradino più al­to, gradino più basso... Io voglio il vigore delle nazioni, non il rigore, voglio un patriottismo economi­co perché siamo popoli liberi: l’au­sterità imposta dall’alto ha qual­cosa di inumano. Vogliono farci credere che l’euro sia l’unica solu­zione, ma alle sue spalle ci sono ap­pena dieci anni di vita, una picco­la­parentesi nella storia pluriseco­lare del nostro continente. Certo, occorre ragionarci bene e a fondo, ma sa che cosa più mi inquieta e mi indigna? L’assenza di dibatti­to, il non volerne parlare, il dare tutto come già finito e definito, un pensiero unico che ha il sapore della dittatura del pensiero». Marine Le Pen è una bella don­na bionda, è nata nell’anno stori­co della Contestazione, il 1968, è sposata e divorziata, porta un co­g­nome pesante che la anco­ra a un passato che non ha mai conosciuto e rischia di non farle avere mai un futu­ro. Nella primave­ra dello scorso anno, la sua can­didatura alle pre­sidenziali era valu­tata intorno al 25 per cento, in autunno era già scesa al 17 e adesso viag­gia sul 15 per cento. Eppure, se­condo un sondaggio dell’Istituto Csa reso noto l’altro ieri da Le Mon­de , nelle intenzioni di voto dei gio­vani fra i 18 e i 24 anni schizza al 26 per cento e al primo posto: Hollan­de le è dietro di un punto, Sarkozy di quasi dieci e così J.L. Melen­chon, l’ex trotskista chiamato a rinverdire i fasti della sinistra non socialista. Quando glielo si fa nota­re, Marine Le Pen sorride:«È diffi­cile “ misurarmi”perché è difficile capire se la “diabolizzazione” del nome Le Pen pesi ancora o se la “dediabolizzazione” abbia ormai preso il sopravvento. In più ho un elettorato invisibile, che non si manifesta, che non è abituato a manifestare. Dei giovani però so­no certa, perché si rendono conto che sono anti-sistema, perché sanno che il sistema va reinventa­to, perché rifiutano la legge della giungla liberista applicata sulla lo­ro pelle, l’idea che l’economia sia l’unico valore... È una giovinezza scioccata dal cinismo e dalla cor­ruzione e sa benissimo che non si può andare avanti così». La sede del Front National sem­bra un ospedale. Non ci sono gad­get né manifesti e l’unica nota di colore è la bandiera francese die­t­ro le spalle del candidato alle pre­sidenziali. Il giornale dei giovani del Movimento si chiama Les Ma­­telots, i marinai, e nei raduni i ra­gazzi indossano t-shirt con su scritto Les gars de la Marine... è un altro retaggio paterno, del Jean-Marie bretone, amante del mare e amico di grandi e famosi velisti co­me Tabarly e de Kersauson, uno dei pochi retaggi che possono es­se­re esibiti senza accendere pole­miche e accuse di fascismo e di raz­zismo. «Nel nostro Paese è come se ci fosse per strada una bomba pronta a esplodere. L’eccidio di Tolosa non si spiega se non si par­te dal fatto che in dieci anni, fra presidenza della Repubblica e mi­nistero dell’Interno, Sarkozy non ha fatto nulla contro il fondamen­talismo islamico. Dieci anni sono l’arco di tempo per cui i miei figli dalle elementari sono passati al li­ceo... Dopo la strage si sono effet­tuati degli arresti, ma quando ho chiesto quando e come quella gen­te fosse entrata in Francia, di che cosa vivesse, quali appoggi aves­se, non ho avuto risposta. Sarkozy non è uno che risolve i problemi, è uno che ricerca la politica dell’im­magine, come è accaduto per la guerra, perché guerra era, in Li­bia... Abbiamo destabilizzato un’area del mondo, non c’è la de­mocrazia in Libia, c’è un nuovo flusso di immigrati dal Mali dopo che anche lì c’è stato un colpo di Stato, povera gente in fuga per pa­ura e per fame, e intanto facciamo affari con il Qatar, che certo non è un campione dei diritti umani... Io sono l’eccezione francese di queste elezioni perché racconto le cose come stanno, non voglio la regolarizzazione dei clandestini, voglio restringere i margini d’in­gresso, sono per la “priorità nazio­nale” fra chi si propone per lo stes­so posto di lavoro. Abbiamo cin­que milioni di disoccupati, ma nessuno che in campagna eletto­rale parli della crisi economica: si fa finta che non esista». È di questi giorni l’uscita nei ta­scabili, in una nuova edizione am­­pliata, della biografia che nemme­no un anno fa due giornaliste, Ca­roline Fourest e Fiammetta Ven­ner, avevano dedicato a Marine Le Pen. La nuova versione porta, sotto lo stesso titolo, Marine Le Pen, l’aggettivo démasquée, sma­scherata: più di 400 pagine che passano al setaccio il vecchio e il nuovo, il padre, la madre, gli in­trecci sentimentali e quelli econo­mici, il partito come clan, Front Fa­milial più che Front National, le zone d’ombra, i residui fascisti e quelli xenofobi all’interno di un elettorato che intanto è cambiato e rappresenta una parte non indif­ferente del Paese. L’impressione è di un buon lavoro d’inchiesta che però aggiunge poco non tanto su Marine Le Pen in sé, ma sul per­ché del suo successo. Forse la ri­sposta più che in lei sta negli errori altrui, nel fallimento di Sarkozy co­me figura nuova, nella disillusio­ne verso la politica politicante che dura ormai dagli anni Ottanta, nel­la paura sociale, economica, nella perdita di prestigio, nel rendersi conto che i margini di manovra na­zio­nali vanno sempre più riducen­dosi... «Sarkozy e Hollande sono la stessa cosa e, qualora uscissero loro al primo turno, non darò al mio elettorato indicazioni di voto per il ballottaggio. Ma sono fidu­ciosa, penso che le urne daranno una bella sorpresa. E comunque, quel voto giovanile di cui abbia­mo parlato fa di me la candidata dell’avvenire, di un avvenire di­verso ». Euro permettendo.