Stefano Montefiori, Sette 12/4/2012, 12 aprile 2012
PER VIVERE A PARIGI ENTRATE DA UN TOMBINO
C’è la visita autorizzata: coda alle casse di place Denfert-Rochereau, biglietto da 8 euro, 130 scalini per scendere e 83 per risalire, due chilometri di percorso sotterraneo tra tibie e crani secolari, orario di visita dalle 10 alle 17 festivi esclusi, e non ci sono neanche le toilette. Che tristezza.
Poi c’è la spedizione clandestina, da sempre la più affascinante, e non solo perché punita (blandamente) dalla legge con 60 euro di multa: i sotterranei di Parigi sono un reticolo di 300 chilometri di cunicoli e gallerie 20 metri sotto terra, una città alternativa fatta di graffiti, fogne, rave party, topi e leggende, inaccessibile ai passanti e soprattutto ai gruppi di anziani turisti americani in scarpe da ginnastica bianche e visiera di plastica che popolano la superficie.
«La fogna è la coscienza della città», scrive Victor Hugo nei Miserabili, il primo a mettere romanticamente in relazione i due mondi. E oggi come non mai, a distanza di quasi 60 anni da quando il Comune di Parigi mise fuorilegge le gite sotto terra, la Città del Buio sperimenta un destino simile a quello della Ville Lumière: grande successo, fascino eterno, rischi di sovraffollamento.
L’INGRESSO DAI TOMBINI DELLA FOGNA
Sono centinaia le persone che, soprattutto nei fine settimana, si calano da uno dei tanti tombini dell’impianto fognario di Parigi rimasti non sigillati in superficie, per giocare a perdersi nella città sotterranea, nota come les catacombes per analogia con l’antica Roma (solo il 5 per cento è occupato da scheletri umani, risalenti al Settecento), in realtà fatta di cave di gesso e calcare. Il sopra di Parigi deve molto al sotto: il materiale estratto da quelle rocce sepolte è servito a costruire la cattedrale di Notre Dame e altri capolavori proiettati verso il cielo.
Alla fine degli anni Settanta gli avventurieri del sottosuolo erano poche decine, il numero è cresciuto perché la fama delle feste nella ormai mitica “Salle Z”, una delle cave più grandi e frequentate, assieme alla “Plage”, ornata dai graffiti in stile Hokusai, ha raggiunto via via più generazioni di studenti parigini. Per avere accesso agli inferi bisogna prendere contatto con uno dei cataphiles più esperti, e provare a convincerlo a indicare almeno il punto di entrata. Nonostante gli interventi della polizia, ne restano alcune decine: tombini, passaggi vietati nel metro, cantine di palazzi. L’equipaggiamento ideale prevede jeans comodi e felpa – la temperatura media sotto terra è più o meno 15 gradi sopra lo zero, con correnti di aria fredda –, torcia e birra.
Ai neofiti viene affibbiato, proprio come in superficie, il dispregiativo di “turista”: del resto è la solita sorte che tocca a chi voglia entrare in qualsiasi subcultura. Dai parigini di superficie che parlano in verlan per confondere gli stranieri ai cataphiles con il loro sotto-gergo terricolo, tutto è fatto per attrarre e affascinare l’estraneo nonostante l’intenzione di escluderlo. Nell’universo parallelo dell’urbex (exploration urbaine) che comprende anche i toiturophiles (che si dedicano ai tetti) e les infiltrés (che riescono a restare dentro a musei e monumenti oltre l’orario di chiusura al pubblico), i cataphiles sono quelli che vantano la storia più antica e gloriosa.
LA BATTAGLIA CONTRO GLI SKINHEAD
Leggenda vuole che il primo cataphile sia stato Philibert Aspairt, portinaio dell’abbazia diventata ospedale militare Val-de-Grâce, che nel 1793, durante il Terrore, si avventurò nella cava sotto l’edificio per raggiungere le cantine del convento dei Chartreux (dove oggi c’è il Giardino del Lussemburgo) e impadronirsi di qualche bottiglia del prezioso liquore “la Chartreuse”. Sottoterra, Philibert perse ben presto l’orientamento e non riuscì a tornare in superficie. Lo ritrovarono 11 anni dopo, il corpo mummificato. I resti, reali o presunti, giacciono ancora oggi a molti metri di profondità in una tomba in corrispondenza della rue Henri Barbusse, accanto al boulevard Saint-Michel, ed è meta degli omaggi dei cataphiles. Il destino toccato a Philibert serve da monito per tutti i successori. Ogni tanto capita che dopo una festa qualcuno perda lucidità e riesca a ritrovare la via del ritorno non prima di un paio di giorni: sotto terra, nonostante i ripetitori dei telefonini installati nel metro, i cellulari non funzionano.
L’altro pilastro, stavolta recente, della mitologia catacombale è Jean-Claude Saratte, responsabile dell’Eric (Équipe di ricerca e intervento nelle cave), il corpo di polizia creato negli anni Ottanta dopo qualche episodio di violenza provocato dagli skinhead che frequentavano le gallerie sotto la Tour Montparnasse. Saratte era il capo dei cataflics, i poliziotti delle catacombe: in teoria avrebbero dovuto reprimere una frequentazione punita dalla legge, in realtà difesero i veri cataphiles dai teppisti, e finirono per sviluppare con i primi una complicità da iniziati. Nel giugno del 2000, quando Saratte andò in pensione, i cataphiles organizzarono per il capo dei cataflics una grande festa sotterranea in onore dell’uomo che li aveva messi in guardia dai rischi della leptospirosi (provocata dagli escrementi dei topi), delle possibili carenze di ossigeno e degli attacchi di claustrofobia, scegliendo oltretutto di fare la multa solo ai collezionisti di femori e crani e risparmiando gli altri. Il comandante ha l’onore di avere un cunicolo ribattezzato “rue Saratte”, da qualche parte del GRS, il Grand Réseau Sud che si estende sotto il Quartiere Latino, Saint-Germain e Montparnasse.
La Parigi sotterranea venne usata dai nazisti durante l’Occupazione (c’è ancora un bunker) e dagli uomini della Resistenza, che erano capaci di raggiungere i compagni da una parte all’altra della città senza rischiare di farsi arrestare dalle pattuglie tedesche in superficie. Negli anni Settanta e Ottanta, l’epoca pionieristica dei cataphiles, il rito prevedeva che dopo un’esplorazione si lasciassero sottoterra volantini più o meno artistici, con notizie del mondo delle catacombe, mappe aggiornate dei cunicoli o convocazioni di feste e happening tardo-situazionisti. Internet, anche qui, ha rappresentato la svolta comunicativa. Entrare in contatto con un cataphile esperto non è più un’impresa, online si trovano fotografie, cartine e programmi dei ritrovi.
Il mondo venti metri sottoterra sta assomigliando pericolosamente a quello a livello del mare, e nei fine settimana le gallerie sotterranee conoscono file da turismo di massa. «Le catacombe, ormai, sono come l’autostrada», è la lamentela del cataphile Anthony.
Sopra, la Tour Eiffel; sotto, la fontana Chartreux, con una vasca che raccoglie l’acqua che trasuda dalle rocce calcaree. La Città del Buio e la Ville Lumière hanno entrambe i loro luoghi inevitabili, ma i cataphiles non si rassegnano. Anche le catacombe parigine ormai sono il regno dei “turisti”, meglio ricominciare l’avventura sotterranea nei cunicoli – ancora inesplorati – della periferia.
Stefano Montefiori