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 2012  aprile 12 Giovedì calendario

2 articoli - I SEGRETI DEI GRANDI MAESTRI: GESTI, SGUARDI, TELEPATIA - Tecnicamente, i gesti della mano tramite i quali è possibile dirigere un’orchestra sono semplici, al punto che per impararli basta studiare una semplice brochure (o, in questi tempi tecnologici, guardare un corso apposito sui video di YouTube)

2 articoli - I SEGRETI DEI GRANDI MAESTRI: GESTI, SGUARDI, TELEPATIA - Tecnicamente, i gesti della mano tramite i quali è possibile dirigere un’orchestra sono semplici, al punto che per impararli basta studiare una semplice brochure (o, in questi tempi tecnologici, guardare un corso apposito sui video di YouTube). Ma è come dire che basta passare l’esame della patente B per essere in grado di vincere un Gran Premio di Formula 1: per arrivare sul podio di una sala da concerto o di un teatro d’opera ci vogliono talento, sensibilità d’interprete, la determinazione di una vita di studio e un fattore misterioso, difficilmente definibile anche da parte degli stessi direttori. Per cercare di dare una risposta giocosa a questo quesito impossibile da risolvere — qual è il segreto dei grandi direttori? — il New York Times ha appena fatto un esperimento. Con uno scanner speciale, ha provato a registrare i movimenti delle braccia di Alan Gilbert, direttore musicale della gloriosa filarmonica newyorchese, cercando di scomporre ogni gesto di una sua performance e carpirne i segreti. E il giornale ha intervistato un gruppo di direttori d’orchestra tra quelli che più spesso dirigono in città tra Metropolitan Opera e New York Philharmonic: Gilbert, Yannick Nézet-Séguin, Valery Gergiev, Xian Zhang, James Conlon. Il russo Gergiev, che non usa quasi mai la bacchetta, ha spiegato che «la parte più difficile del dirigere un’orchestra è farla cantare: è qui che c’è bisogno di usare entrambe le mani. Per aiutare gli strumenti a cantare». Usare la bacchetta, secondo Gergiev, «non aiuta il suono». E secondo Nézet-Séguin, altrettanto importanti sono gli occhi del direttore: «È come se la mia faccia cantasse insieme con la musica». D’accordo anche Zhang, direttore musicale dell’Orchestra Verdi di Milano, una delle pochissime donne in quello che rimane un «club» quasi esclusivamente maschile, quello dei direttori al top della professione: «Gli occhi sono la parte del corpo più importante in assoluto quando si dirige un’orchestra. Gli occhi dovrebbero essere quelli che rivelano nel modo più chiaro l’intento del direttore. Mostrano quello che noi direttori sentiamo dentro». Uno dei trucchi del mestiere, confermano Gergiev e Nézet-Séguin, è quello di non scambiare sguardi soltanto con le prime parti dell’orchestra ma anche con i professori nelle file più lontane dal podio: «Così li fai sentire parte del gioco», conferma Nézet-Séguin. E Gergiev: «Se guardo un musicista, vuol dire che mi interesso a lui. E questo lo fa interessare a me. In tutto quel che faccio, cerco di affidarmi all’espressione e al contatto visivo». Ma davvero l’essenza del mestiere — Riccardo Muti ama ripetere il paradosso per il quale «il direttore deve fare musica pur essendo l’unico a non suonare uno strumento» — resta impossibile da scansionare con un computer o spiegare a un cronista: una delle lezioni più importanti che Zhang ha imparato dal suo maestro, Lorin Maazel, è la telepatia. «Una proiezione mentale, un’immagine mentale del suono che si vuole produrre. È la mente a dirigere le mani». Specialmente se si considera come i più grandi di sempre abbiano quasi costantemente infranto le regole classiche raccomandate dai libri di testo: Hans von Bülow, il primo direttore superstar della storia (e primo marito di Cosima Wagner) utilizzava il podio durante le prove per fare criptici commenti su letteratura e politica apparentemente privi di legami con la composizione che stava dirigendo. Herbert von Karajan dirigeva spessissimo a occhi chiusi (e addio contatto tra sguardi). I bizzarri movimenti sul podio del corpo di Wilhelm Furtwängler, un altro dei sommi, idolo di Claudio Abbado e primo maestro di Daniel Barenboim, vennero paragonati da un celebre violinista agli «spasmi di un burattino». Carlo Maria Giulini aveva l’abitudine di sillabare la melodia con le labbra, cosa sconsigliata da qualunque insegnante in Conservatorio. Computer a parte, un dato curioso è che tra i direttori d’orchestra ci sono diverse abitudini (dirigono con o senza bacchetta; con o senza un forte coinvolgimento della mano che non tiene la bacchetta per articolare le dinamiche) ma un dato costante. Dirigono praticamente tutti con la mano destra (quella che, bacchetta o no, segna i tempi). Nella serie A globale del podio ce n’è uno soltanto, lo scozzese Donald Runnicles, che tiene la bacchetta nella sinistra. Perché anche i direttori mancini — a parte Runnicles — sanno che i professori d’orchestra sono abituati a guardare soprattutto quella mano, dominante. Così tanti direttori mancini tengono la bacchetta nella destra, per tradizione, per facilitare i professori e anche perché in Conservatorio gli è stato consigliato così. Runnicles invece rovescia in senso speculare lo schieramento di tutta l’orchestra. Per chiarire prima ancora del suo ingresso in sala chi comanda. Matteo Persivale LO SCATTO INDIMENTICABILE DI TOSCANINI - In principio erano Mahler e Strauss. Il primo un ossesso, a quanto pare. Caricature lo raffigurano coi capelli arruffati, ogni muscolo in movimento. Il secondo, impassibile. C’è un video di lui vecchio che dirige Il cavaliere della rosa con la mano sinistra in tasca. Poi ecco il gesto scattoso di Toscanini e quello morbido di Furtwängler. E come dimenticare Bernstein che quasi ballava o sapeva guidare l’orchestra con i soli occhi, e Karajan che gli occhi li teneva chiusi ma quando li apriva erano lame che tagliavano l’orchestra come il burro? Oggi chi ha un gesto da manuale è Maazel, chi un gesto imprevedibile, come disegnare l’aria, è Temirkanov; ma questo non vuol dire nulla. Quel che conta è cosa arriva a chi suona e, soprattutto, cosa c’è nel cervello di chi dirige. Ma non esiste analisi che possa spiegare come il pensiero diventi gesto e quest’ultimo suono. Enrico Girardi