Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  aprile 12 Giovedì calendario

STOCK 84, ADDIO TRIESTE IL BRANDY TRASLOCA A PRAGA

Una doccia fredda. Per tutti. Lavoratori, sindacati, città. Una riunione di routine convocata in Confindustria si è trasformata nel de profundis per lo stabilimento Stock di Trieste. Senza alcun preavviso i dirigenti della società hanno annunciato la chiusura della storica fabbrica e il trasferimento da giugno della produzione del famoso brandy nello stabilimento in Repubblica Ceca. I motivi sono purtroppo quelli che recitano tutti i gruppi intenzionati a delocalizzare: «contrazione dei consumi», la «necessità di restare competitivi consolidando la nostra produzione per ridurre i costi e aumentare l’efficienza». Con il verdetto finale: «lo stabilimento di Trieste rimane non sostenibile a livello economico rispetto ai nostri altri siti produttivi». E a breve scatterà l’avviamento formale della procedura di licenziamento collettivo per i 28 dipendenti. Ma a rimanere a piedi saranno anche i lavoratori dell’indotto, un’altra decina.
I lavoratori non ci stanno, e al termine di un’assemblea decidono il blocco della produzione per due giorni e un pacchetto di 16 ore di sciopero. Oltre alla preoccupazione per il futuro dei lavoratori il sindacato è sconcertato per i «modi sbrigativi» di un annuncio che è arrivato «come un fulmine a ciel sereno». «Solo una settimana fa — dice Adriano Sincovich, segretario Cgil di Trieste —, la società aveva fatto un investimento sullo stabilimento di 400 mila euro». E poi «le motivazioni pretestuose» continua il sindacalista, del tipo «l’Italia è un Paese in cui non si può lavorare, ci sono troppi controlli di polizia sugli alcolici». Segnali opposti che hanno fatto salire la tensione anche perché, tre anni e mezzo fa quando i tedeschi di Eckes (proprietari del marchio dal 1995) decidono di vendere all’attuale proprietà, il fondo americano Oaktree Capital Management, c’era stato un accordo per mantenere la produzione a Trieste nonostante l’attività commerciale e amministrativa fosse stata trasferita a Milano. «Siamo di fronte a una violazione di un patto sostanziale — continua Sincovich —. In questi anni, a Trieste sono state prodotte 18 milioni di bottiglie l’anno, e di qualità non come quelle che vengono realizzate altrove». La convinzione è che il fondo finanziario sia più interessato al marchio che non al valore industriale di questo gruppo con 128 anni di storia alle spalle e che è arrivato a esportare in 125 Paesi al mondo. Per il sindacalista quel che è peggio è che «la città sta vivendo un processo di deindustrializzazione inquietante» che mette in crisi il suo futuro. «Il problema vero è che non facciamo più un capitalismo industriale: ma in casi come questo ci vuole un po’ di etica».
Preoccupata anche l’amministrazione locale che ha immediatamente incontrato i vertici dell’azienda, l’amministratore delegato Claudio Riva ed Evelina Teruzzi, direttore del personale. Oltre al «rammarico» per la scomparsa di uno «dei marchi storici di Trieste», l’assessore regionale al Lavoro Angela Brandi pensa a come affrontare «quanto prima» il problema occupazionale dei lavoratori coinvolti.
Le vicende della Stock si intrecciano con la storia di Trieste. Tutto ha inizio nel 1884, quando il diciottenne Lionello Stock (di origine dalmata) apre insieme con il socio Carlo Camis, una piccola distilleria a vapore nel rione di Barcola. Con l’intenzione di distillare i vini delle zone vicine, ricercati dai francesi per produrre cognac quando un’infezione di peronospora distrugge i raccolti della Charente. Nasce così il «1884 Cognac Fine Champagne» destinato a diventare il famoso «Brandy Stock 84». Alla fine della Prima guerra mondiale gli affari vanno a gonfie vele; si aprono stabilimenti in Austria, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia e Jugoslavia, e il brandy grazie anche a un sapiente uso della pubblicità va forte anche all’estero. Nel 1948 muore il fondatore, alcuni stabilimenti italiani vengono distrutti dalla guerra e quelli nell’Est europeo nazionalizzati. Ma tra gli anni ’50 e ’60 la Stock rilancia, aggiunge allo scaffale vodka, whisky, grappa, amari, gin, liquori dolci e va in 125 Paesi. Fino ai nostri giorni. Oggi il 60% della produzione di Trieste è destinata all’Italia, il 40% all’estero, soprattutto Est Europa. «Stock Italia continuerà a essere presente sul mercato italiano» assicura la società. E non potrebbe essere altrimenti visto che l’Italia è il terzo mercato per il gruppo. Ma non a Trieste.
Antonia Jacchia