Guido Olimpio, Corriere della Sera 12/04/2012, 12 aprile 2012
LE CELLULE CLANDESTINE ALL’ESTERO DELL’IRAN
Tre nomi. Qassem Soleimani, il capo dell’Armata Qods, l’apparato iraniano per le azioni clandestine.
Poi Hassan Boromand, ufficiale che coordina le attività segrete nelle principali capitali europee. Infine Majid Alavi, sospettato di aver avuto un ruolo nel fallito attentato anti-israeliano in Thailandia. Tre nomi che compaiono in un dossier redatto dall’intelligence saudita sulle possibili minacce di Teheran.
Informazioni su scenari poi condivise con Paesi amici nel corso di tre riunioni. Le prime si sono svolte alla fine del 2011, l’ultima in marzo. I sauditi hanno studiato attentamente le mosse dei rivali storici. Sono divisi dalla religione (sciiti contro sunniti) come dalla volontà di esercitare la propria influenza in Medio Oriente.
Giorno dopo giorno gli 007 di Riad hanno accumulato dati che hanno spinto il principe Muqrin Abd Al Aziz a creare una nuova task force che avrà il compito di tenere a bada gli avversari. E non solo nel cortile di casa. Secondo le informazioni trapelate a Washington le autorità iraniane hanno deciso di mobilitare l’Armata Qods sfruttando anche le disposizioni impartite nei mesi scorsi: ambasciate, consolati e società di copertura sono state integrate da funzionari dell’apparato Qods in modo da poter reclutare simpatizzanti o attivare cellule.
A tal fine Soleimani ha ricevuto nuovi fondi e altri uomini. Determinato, con grandi ambizioni è stato costretto ad agire, sotto pressione, dopo l’uccisione di numerosi scienziati nucleari. Omicidi attribuiti agli israeliani. Una minaccia mai scemata, come dimostrano i ripetuti arresti di presunti sabotatori legati a Mossad e Cia. La voglia di vendetta e la fretta, però, hanno compromesso la prima reazione. Il personale impiegato non si è rivelato all’altezza delle missioni: hanno «sbagliato» in India, si sono fatti scoprire nel Caucaso e sono stati arrestati in Thailandia. Attacchi falliti parzialmente o del tutto. L’Armata Qods — secondo i sauditi — ha allora condotto un riesame e definito le linee strategiche seguendo gli ordini di Khamenei.
Questi i principali fronti. 1) Nel Golfo, Qods ha riallacciato rapporti con due importanti figure qaediste, Mohsen Al Fadhli e Adel Saqer Al Harbi: i seguaci di Osama non amano gli sciiti ma in certe situazioni dimenticano, per ragioni puramente tattiche, le faide teologiche. Se vi sarà una crisi i jihadisti potranno colpire «anche» per conto dell’Iran. 2) Supporto a gruppi alleati in Medio Oriente: Hezbollah libanese, fazioni minori a Gaza, Kata’eb Hezbollah in Iraq. 3) Sostegno più ampio all’opposizione sciita in Bahrein. Khamenei non vuole rinunciare al rovesciamento del locale regime sunnita protagonista di una repressione brutale. 4) Possibili attacchi mirati contro bersagli sauditi all’estero (è già avvenuto a Karachi nel maggio 2011).
Mettendo insieme soffiate e report dal terreno, l’intelligence saudita ha concentrato la sua attenzione sulle mosse recenti di Soleimani. Il leader di Al Qods ha chiesto ad Hassan Boromand di intensificare la preparazione nel «settore Europa». Da anni gli iraniani dispongono di persone fidate che svolgono attività lecite ma che all’occorrenza si trasformano in agenti. Una presenza ben radicata anche nel Nord Italia, con una base importante a Milano. Ma questi uomini non bastano e ne servono di altri, magari meno conosciuti.
Stessa missione, in altri teatri, per Majid Alavi. Dopo aver fatto una lunga carriera nell’intelligence fino a diventarne numero due, il funzionario è passato con Qods. Conosce bene il Golfo Persico, vanta rapporti speciali con movimenti estremisti e ha usato spesso il Sudan per traffici d’armi. Visto il suo background, Alavi è ritenuto il manager ideale per un’eventuale offensiva terroristica da affidare a nuclei «spendibili». Team composti da 3-5 elementi che si sistemano in un Paese usando un contatto locale. In alcune situazioni — come in Thailandia — affittano una casa che convertono in base e anche in laboratorio per preparare ordigni. In altre cercano l’aiuto di complici: in India è stato arrestato un giornalista free lance che era diventato — in cambio di denaro — un agente segreto.
Alavi ha gestito il network con un sistema doppio: chi agisce sul campo ha la massima libertà, ma deve far riferimento a un referente che può vivere nello stesso Paese oppure risiedere in uno Stato vicino. In talune situazioni Qods invia anche l’artificiere — è quanto avvenuto a Bangkok — oppure fornisce ordigni che paiono usciti dalla medesima «fabbrica». I mancati successi non hanno demoralizzato Alavi. Sempre secondo fonti diplomatiche, l’iraniano ha solo apportato delle correzioni sperando che questa volta le cellule funzionino come in passato.
Per questo i sauditi hanno accelerato l’attività di contrasto, convinti che possano arrivare delle sorprese in luoghi diversi, dal Golfo all’Europa. Se prima Teheran evitava di compromettere le relazioni economiche con il Vecchio Continente, oggi il problema non si pone più. L’Ue è abbastanza compatta nel sostenere la campagna di pressione. L’Iran, come ha sempre fatto in questi anni, non vuole precludersi alcuna possibilità. Tra pochi giorni si siederà al tavolo del negoziato nucleare con i Grandi. Perché ha molto da guadagnare da questo contatto. Forse l’ultimo. Ma se il quadro dovesse peggiorare, Khamenei è pronto a usare il bastone. Una posizione speculare a quella degli Stati Uniti. Il presidente Obama lo ha detto: trattiamo senza però escludere le altre opzioni.
Guido Olimpio