Monica Guerzoni, Corriere della Sera 12/04/2012; Sergio Rizzo, ib., 12 aprile 2012
2 articoli – RIMBORSI, LA MAGGIORANZA TROVA L’INTESA — I cento milioni possono attendere. Sull’onda degli scandali e delle pressioni dell’Europa i partiti hanno trovato l’accordo per lanciare un primo segnale di buona volontà: rinviare a dopo il 31 luglio la seconda tranche di rimborsi elettorali, non incassare un euro finché non sarà approvata la riforma del finanziamento ai partiti
2 articoli – RIMBORSI, LA MAGGIORANZA TROVA L’INTESA — I cento milioni possono attendere. Sull’onda degli scandali e delle pressioni dell’Europa i partiti hanno trovato l’accordo per lanciare un primo segnale di buona volontà: rinviare a dopo il 31 luglio la seconda tranche di rimborsi elettorali, non incassare un euro finché non sarà approvata la riforma del finanziamento ai partiti. «Sarà affrontata in una legge che darà applicazione all’articolo 49 della Costituzione», annuncia Bersani alle otto di sera, soddisfatto per un’intesa «ispirata alle migliori esperienze europee». Istituzione di una «Commissione per la trasparenza e il controllo», obbligo di certificazione dei bilanci da parte di società iscritte all’albo speciale Consob, tetto di cinquemila euro per i finanziamenti anonimi di privati e, per scongiurare altri casi-Tanzania, investimenti solo in titoli pubblici italiani. I bilanci saranno online anche sul sito della Camera e i partiti che non percepiscono più i rimborsi saranno soggetti «all’obbligo di rendicontazione fino al loro scioglimento». E chi sgarra (forse) paga. La Commissione per la trasparenza potrà proporre multe pari «a tre volte la misura delle irregolarità», ma l’ultima parola spetterà ai presidenti di Camera e Senato. In sintesi è questo il compromesso raggiunto da Pdl, Pd e Terzo Polo al termine di un’infuocata riunione che per oltre cinque ore, dalle quattro del pomeriggio, ha impegnato gli «sherpa» delle forze che sostengono il governo. Oggi il premier Mario Monti vedrà Alfano, Bersani e Casini insieme ai capigruppo, un vertice per valutare l’accordo destinato a diventare legge. I leader lo hanno approvato dopo essersi confrontati con i dirigenti dei rispettivi partiti e saranno loro stessi a firmarlo, per dare più peso politico alle nuove norme. L’intesa sarà sottoposta anche a Lega e Idv, ma Di Pietro è deluso: «Il solito accordicchio!». Per velocizzarne l’iter si è scelto di trasformare la riforma in un emendamento al decreto semplificazioni fiscali, che sarà firmato dai relatori e approvato in commissione Finanze della Camera. Così hanno deciso al tavolo della trattativa Rocco Crimi, Donato Bruno e Massimo Corsaro per il Pdl, Antonio Misiani e Gianclaudio Bressa per il Pd, Gianpiero D’Alia, Benedetto Della Vedova e Pino Pisicchio per il Terzo Polo. La novità è la trasparenza dei bilanci, che saranno certificati da una commissione composta dai presidenti di Corte dei Conti (che guiderà l’organismo), Consiglio di Stato e Corte di Cassazione «o loro delegati». Su questo punto il braccio di ferro è stato durissimo. Il Pdl era contrario all’idea di «mettere tutto in mano ai magistrati» e si è battuto per un’authority. Pd, Udc, Fli e Api volevano invece trasferire tutto il potere di controllo alla magistratura contabile. E così, tra le due opposte posizioni, è saltata fuori la mediazione di un ente terzo composto da alte personalità istituzionali. La «task force» avrà i pieni poteri di supervisione e sanzione ed entrerà in funzione subito, per analizzare i bilanci del 2011. L’altra questione cruciale che ha surriscaldato il tavolo è il finanziamento. Ridurre o no il fiume di denaro che affluisce nelle casse delle forze politiche? E di quanto? Pino Pisicchio, Api, promette che «a maggio i tagli si faranno davvero». Intanto però la questione è stata rinviata, perché i leader hanno concordato sulla necessità di approvare subito almeno i principi fondamentali. Il nodo dei rimborsi sarà dunque affrontato a maggio con l’articolo 49 della Costituzione, in discussione alla Camera in commissione Affari costituzionali. «Nessuno può permettersi di scherzare, questa volta ogni ritardo potrebbe essere letale e dobbiamo dare un voto entro questa settimana» spiega la fretta il vicesegretario del Pd, Enrico Letta. Toni drammatici, come lo sono le notizie di cronaca. «Ma non accetto che si continui a spargere fango su tutti — è il monito di Bersani —. In tutto il mondo l’attività politica è finanziata e se si pensa di distruggere un concetto basico della democrazia, si andrà sul duro». E Casini rafforza il concetto: «Non tutti i politici sono ladri». Lorenzo Cesa intanto annuncia che dal 2011 in avanti i bilanci dell’Udc saranno certificati da «una delle più importanti società di revisione». Angelino Alfano non teme controlli perché i conti del suo partito «sono in regola». Ma il Pdl non vuol rinunciare alla rata di finanziamenti in arrivo, Berlusconi ha chiesto ai suoi di spingere piuttosto sulla necessità di un sistema di controlli. «Rinunciare ai rimborsi è tecnicamente molto complesso — ragiona il vicecapogruppo alla Camera, Massimo Corsaro —. Potrebbero esserci problemi di legittimità costituzionale...». Eppure l’idea comincia a far breccia. Il congelamento dei rimborsi piace al vicepresidente del Senato Vannino Chiti (Pd) e all’ex ministro Franco Frattini (Pdl). E Beppe Grillo annuncia che non ritirerà la propria quota. Monica Guerzoni LE MULTE SIANO AUTOMATICHE E CONTROLLI LA CORTE DEI CONTI — La lezione, evidentemente, non è stata ancora sufficiente. Non lo è stata la penosa vicenda dei soldi della Margherita, partito morto ma ugualmente destinatario di copiosi fondi pubblici dirottati verso operazioni ancora tutte da chiarire. Ma nemmeno lo scandalo che ha investito la Lega Nord, con i magistrati che ipotizzano l’impiego familistico e cortigiano dei denari dei contribuenti. Era l’occasione giusta: ancora una volta si è scelta invece la strada della melina. Del finanziamento ai partiti non se ne parlerà prima di un paio di mesi, quando verrà affrontata, con appena 65 anni di ritardo, la discussione sull’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione per stabilire lo stato giuridico dei partiti. E allora ne vedremo delle belle: credeteci. Eppure in una situazione del genere, con la fiducia dei cittadini nei confronti dei partiti (dei partiti, non della politica) che non va oltre un inquietante 4 per cento, serviva un segnale forte anche su questo fronte, oltre che su quello, ovvio della trasparenza. «Dobbiamo fare presto, prestissimo e bene», aveva detto su questo giornale non più tardi di tre giorni fa il segretario del Pdl Angelino Alfano, rispondendo alle domande di Paola Di Caro. È andata proprio così? Bene, benissimo la certificazione obbligatoria dei bilanci da parte di società di revisione indipendenti. Ancora meglio, però, se a questa misura si fosse affiancata la prescrizione di un collegio sindacale composto anch’esso da soggetti non nominati dal partito. Le sanzioni per le irregolarità finora non esistevano proprio, ed è già qualcosina. Ma ci fermiamo qua. Quello che convince poco è il meccanismo per cui le multe non sarebbero automatiche, ma verrebbero decise dai presidenti delle Camere su proposta dell’organismo di controllo. E questo convince ancora meno. L’unica cosa alla quale non si doveva assistere ieri era un dibattito avvilente e interminabile a proposito dei controlli pubblici, oggi inesistenti, sull’uso di quel mare di quattrini statali che affluisce ogni anno nelle casse dei partiti. Segno che quei controlli sono il nervo scoperto. La soluzione era chiarissima: quel compito è della Corte dei conti. Sono soldi pubblici e tocca a loro. Il che avrebbe comportato anche il potere per la magistratura contabile di citare gli amministratori dei partiti per eventuali danni erariali. Senza contare i risvolti penali, altro che una semplice contravvenzione, per quanto salata. Un rischio forse considerato eccessivo. Siccome qualcuno (il Pdl) non era d’accordo, è venuto così fuori il solito pastrocchio all’italiana: ci penserà una commissione presieduta dalla Corte dei conti di cui faranno parte magistrati della Cassazione e del consiglio di Stato. Misteriosissimo il perché di una simile miscellanea. Ma già il fatto che sia considerato un «onorevole compromesso», come qualcuno dice, fa storcere il naso. Sui soldi, invece, zero virgola zero. Tutto rinviato. Anche se chiunque concorda su un fatto: ne arrivano troppi. Troppi e senza trasparenza. E non parliamo soltanto di quei finanziamenti che con inarrivabile ipocrisia sono stati ribattezzati «rimborsi elettorali». Quelli sono addirittura la parte meno rilevante dei fondi pubblici che affluiscono ai partiti, se si considerano le altre fonti: contributi ai gruppi parlamentari e dei consigli regionali, soldi ai giornali di partito, sgravi fiscali per i finanziamenti di imprese e singoli cittadini. C’era almeno l’urgenza di piantare subito alcuni paletti. Per esempio, eliminare del tutto l’opacità dei contributi privati: fino a oggi era possibile conservare nell’anonimato quei versamenti, purché non superiori a 50 mila euro. E francamente non si capisce perché anziché eliminare del tutto quel limite inaccettabile abbiano deciso di abbassarlo a 5 mila euro. Ne abbiamo poi sentite di tutti i colori. Come quella di far accedere i partiti al meccanismo del 5 per mille. L’ha proposto Alfano, probabilmente non ricordando un vecchio film dell’orrore. Il sistema delle contribuzioni volontarie sulle dichiarazioni dei redditi (non del 5, ma del 4 per mille) è già stato in voga, in Italia, per qualche anno, prima di essere pietosamente sepolto. Per quale motivo? Di soldi ne arrivarono pochissimi, anche se il ministero delle Finanze non ha mai reso noti i dati. Dopo il referendum del 1993 che ha abolito il finanziamento pubblico dei partiti, venne approvata la legge sui rimborsi elettorali. Ma erano appena 800 lire a cittadino per ogni elezione, contro i 5 euro di oggi: così quella norma venne affiancata dal 4 per mille. All’inizio si decise che ai partiti, a valere sulle dichiarazioni dei contribuenti, venissero corrisposti degli anticipi. Una volta conosciuto il gettito, i tesorieri avrebbero quindi provveduto a incassare la differenza, se i versamenti avessero superato gli anticipi, oppure, in caso contrario, a restituire al Fisco le somme avute in più. Andò avanti per quattro anni, poi il 4 per mille fu cancellato e contestualmente i rimborsi salirono da 800 a 4.000 lire. Ecco spiegato perché non ci hanno mai detto quanti soldi davvero sono andati ai partiti con quel sistema: chissà quanti denari avrebbero dovuto restituire, delle centinaia di miliardi di lire che lo Stato aveva anticipato. Tanti che non lo immaginano neppure loro. Sergio Rizzo