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 2012  aprile 12 Giovedì calendario

13 Articoli DENTISTA, MULTE E SOLDI ALLA MOGLIE. I BONIFICI CHE PORTANO A BOSSI — Quando si trattò di saldare il conto del dentista del «capo», si decise di usare i soldi della Lega e furono versati 1

13 Articoli DENTISTA, MULTE E SOLDI ALLA MOGLIE. I BONIFICI CHE PORTANO A BOSSI — Quando si trattò di saldare il conto del dentista del «capo», si decise di usare i soldi della Lega e furono versati 1.500 euro. Era il 2009, Francesco Belsito non era ancora diventato tesoriere. Ma quella fattura è stata ritrovata nella cartellina intestata «The Family» che custodiva nella cassaforte del suo ufficio alla Camera dei Deputati con i nomi di «Umberto, Sirio, Renzo» scritti con un pennarello. Ed è soltanto una delle «carte» che adesso serviranno a ricostruire l’uso privato dei soldi pubblici. Ma soprattutto a dimostrare come Umberto Bossi fosse perfettamente a conoscenza dei versamenti, anche perché in almeno due occasioni fu lui a firmare la distinta dei bonifici bancari destinati a sua moglie. In tutto 9.000 euro, che il Senatur dovrà adesso giustificare. Eccoli i documenti delle spese della famiglia. Ecco bonifici, assegni, bollettini postali per pagare multe e cartelle esattoriali. I magistrati di Napoli Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio, che per primi hanno scoperto in che modo Belsito spendesse i fondi dei rimborsi elettorali, li hanno messi a disposizione delle parti che hanno fatto ricorso al riesame. E adesso toccherà ai carabinieri del Noe e alla Guardia di Finanza ricostruire ogni «uscita» per scoprire quanto sia stato versato illecitamente e soprattutto quante altre persone abbiano beneficiato di questi esborsi. Il tesoriere Belsito e la cartellina Umberto Sono i conti del leader, Belsito li ha annotati con cura e inseriti in una cartellina «dedicata» al capo, come risulta dalla scritta a penna che si trova sulla prima pagina: «Cartellina Umberto». Si scopre così che per ben due volte arrivano sul conto di Manuela Marroni soldi della Lega, come disposto dal Senatur. Il primo bonifico risale al 21 aprile 2010 e ammonta a 5.000 euro. Il secondo è del 13 ottobre 2010 e sposta 4.000 euro. Non è specificata la causale e dunque bisognerà accertare a che titolo sono stati trasferiti i fondi. Nel fascicolo, Belsito conservava la copia di un assegno del Banco di Napoli del 14 luglio 2010 emesso in proprio favore e poi «girato». Quel giorno, presso la stessa banca, risultano saldate alcune tasse di Bossi per un ammontare di circa 1.300 euro. Delle mail scambiate tra alcuni dipendenti della Lega Nord e gli impiegati della «scuola Bosina», dove la moglie di Bossi Manuela Marroni lavora come preside e per cui avrebbe chiesto - secondo quanto affermato al telefono da Belsito - «un contributo di circa un milione di euro», sembrano dimostrare come la signora potesse contare sulle segretarie della Lega come se fossero sue dipendenti. E infatti una delle pratiche aperte riguarda il trasferimento di alcuni documenti che riguardano proprio la sua attività. Poi ci sono i conti correnti aperti presso la Banca Popolare di Lodi che risultano intestati al Senatur e che la Guardia di Finanza dovrà adesso esaminare alla ricerca di eventuali movimentazione "anomale". Nella cassaforte di Belsito sono stati rintracciati due estratti conto. Il primo - relativo al deposito aperto presso l’agenzia 3 di Milano - aveva un saldo al 31 dicembre 2009 pari a 4.848 euro. Il secondo - aperto presso la sede di Lodi - al 31 dicembre 2009 registrava invece uno scoperto pari a 46.805 euro. Polizza e lavori per Gemonio È stata la segretaria amministrativa Nadia Dagrada a rivelare come la Lega Nord avesse pagato alcune spese di ristrutturazione della villa di Gemonio dove abita la famiglia Bossi. In particolare si era soffermata sul rifacimento della terrazza. E invece adesso si scopre che c’è molto altro. Il 10 dicembre 2010 la Vittoria Assicurazioni scrive direttamente alla Lega Nord per sollecitare il pagamento di 779,38 euro «relativo alla polizza dell’abitazione dei signori Marrone Manuela e Bossi Umberto». Dodici giorni dopo parte il bonifico. L’ordinante, come è specificato nella copia, è Lega Nord. Nella stessa cartellina c’è anche un fax spedito il 15 gennaio 2010 dal geometra Pedretti dello Studio di Architettura di Curno alla stessa Marrone. «Come da accordi - è scritto - il sottoscritto vi inoltra la fattura dell’impresa "Coimber" esecutrice dei lavori di impermeabilizzazione». Il fatto che fosse custodito da Belsito dimostra, secondo gli investigatori, che fu lui a provvedere al pagamento. Tutte da decifrare sono invece alcune annotazioni a penna su due fogli custoditi nella cassetta. Oltre agli appunti sui dati di alcuni conti correnti, si legge «sotto casa del capo (parlato con Renzo) e poco sotto «(contatto Fincantieri) cosa devo fare!!!» e poi altri «memorandum» con una grafia che però è quasi incomprensibile. Le multe e i conti dei dottori Il frontespizio della cartellina «dedicata» ai figli di Bossi è intestato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. «Auto-Renzo» è annotato. Ma dentro c’è molto altro. La spesa più consistente certamente riguarda il ricovero di Sirio Bossi per l’operazione di rinoplastica: in tutto 9.901 euro che la Lega provvide a saldare. Poi ci sono le multe. Alla guida dell’auto c’è sempre il Trota che procede in barba a divieti di sosta e di ingresso nelle aree riservate, ma anche superando spesso i limiti di velocità. Forse per non rischiare di dover versare gli interessi, Belsito aveva compilato una sorta di promemoria sui pagamenti da effettuare. Però non aveva rispettato le scadenze. Il 16 ottobre 2010, mentre è a Bologna, Renzo Bossi viola un divieto di circolazione. Secondo un’aggiunta a penna stava andando alla festa della Lega: costo dell’infrazione 166,80 mora compresa. Per correre a un «pranzo con Rosi Mauro, il dottor Panini e Angelo Alessandri» organizzato a Modena il 28 settembre 2010 era invece entrato in una zona vietata e la Lega aveva dovuto 165 euro. Il totale delle contravvenzioni del 2010 è pari a 674,53. Ma a questo va sommato un bollettino da 269,60 emesso dalla polizia locale di Vergiate, in provincia di Varese. Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 12/04/2012 FONDI ALL’ESTERO, COSI’ IL CARROCCIO TENTO’ DI «COPRIRE» IL TESORIERE — Dopo aver scoperto che Francesco Belsito aveva trasferito all’estero parte dei fondi della Lega, Umberto Bossi chiese aiuto a Giulio Tremonti. Lo racconta al telefono lo stesso tesoriere e assicura che il «capo» aveva ricevuto dall’ex titolare dell’Economia il via libera sulla bontà dell’operazione. I nuovi atti processuali sullo scandalo che ha travolto il Carroccio svelano come i dirigenti avessero deciso di «coprire» il responsabile della gestione finanziaria chiudendo in maniera riservata la vicenda relativa agli investimenti in Tanzania, a Cipro e in Norvegia per cercare di salvare Belsito e l’intero partito dalle conseguenze giudiziarie. E leggendo le trascrizioni dei colloqui, emerge la guerra interna, con le accuse a «Roberto Maroni e personaggi legati alla massoneria che stanno dietro a tutto questo». Tremonti e l’euro che «salta» È il 9 gennaio scorso, da qualche giorno il Secolo XIX ha rivelato le «operazioni» su banche straniere con sette milioni di euro della Lega. Il partito è in fermento. L’imprenditore Stefano Bonet contatta Belsito. Annotano gli investigatori della Dia: «Belsito aggiungeva che sia Bossi che Tremonti erano d’accordo sul fatto che la Lega Nord, con l’operazione, avesse voluto diversificare i loro risparmi. Aggiungeva che gli importi bonificati erano riportati in bilancio anche perché, con il 2009 e 2010, il movimento politico aveva chiuso con un attivo di 16,5 milioni di euro». Il giorno dopo i due tornano a discutere della stessa questione. E nell’informativa trasmessa ai pubblici ministeri di Reggio Calabria è scritto: «Stefano chiede come stesse e Belsito risponde che lui sta bene e anche il grande capo, aggiungendo che pure Tremonti è d’accordo sul fatto che abbiano proceduto a diversificare asserendo che essendo il tutto iscritto a bilancio, dei loro risparmi possono fare ciò che vogliono, e se loro non credono nell’euro non vede dove sia il problema, anche in virtù del fatto che fra due mesi l’euro sarebbe saltato. Belsito asserisce che loro, a differenza degli altri partiti che sono indebitati, hanno della liquidità e questo fa girare le palle agli altri». Nella relazione della Dia si fa cenno anche a un incontro fra Tremonti e Rosi Mauro sulla stessa vicenda. Il 31 gennaio Belsito parla con il socio Romolo Girardelli di una riunione imminente: «Mi ha chiamato la Rosi e mi ha detto che oggi va lì e si porta anche Tremonti...». «Premono per chiudere» All’interno del Carroccio si cerca di correre ai ripari. Roberto Castelli tratta direttamente con Bonet per ottenere la restituzione dei soldi e chiudere la vicenda. Belsito ha infatti utilizzato i canali messi a disposizione dall’imprenditore, ma il rischio per tutti è che scatti - come poi è avvenuto - l’accusa di riciclaggio. Il 2 febbraio Bonet chiama Paolo Scala, l’uomo che ha materialmente effettuato le operazioni finanziarie a Cipro. Annotano gli investigatori: «Bonet dice che domani avrebbe visto il "Federale", aggiungendo che avrebbe visto direttamente Castelli, Maroni, Bossi e gli altri, e avrebbero risolto la questione predisponendo altresì il materiale per poter chiudere l’operazione. Paolo dice di aver mandato stamane a mezzo mail una comunicazione alla Lega Nord (via Bellerio) nella quale ha scritto che, per poter rimandare indietro i soldi, ha necessità di istruzioni su carta intestata con indicazioni e tutto il resto onde evitare problemi e quant’altro. Stefano gli dice di tralasciare ogni contatto con Belsito asserendo che lui dovrà dare le dimissioni e si è bruciato, sempre Stefano asserisce che domani gli fornirà le indicazioni necessarie per procedere». Il 3 febbraio Bonet relaziona l’amico sull’incontro avuto con Castelli: «Bonet Stefano dice di aver appena fatto l’incontro nella saletta d’aspetto di Linate con il «mitico Guardasigilli». Dice che è andato tutto bene affermando che la persona è molto puntigliosa e gli fa il punto della situazione. Poi afferma che sono scattati i meccanismi all’interno della Lega, motivo per il quale vi è un’indagine approfondita sulla questione fondi/Belsito, motivo per il quale preme (verosimilmente Castelli) affinché si risolva il prima possibile la questione fondi; a tal proposito è stata richiesta una lettera nella quale viene indicato che i fondi sono fermi in attesa d’istruzione. Stefano di seguito riporta una domanda postagli dalla Lega, ovvero se vi sia una commissione per il rientro dei fondi... I due discutono del documento che dovrà essere predisposto e Stefano afferma che il documento che inoltrerà ai federali, l’avrebbe inoltrato in copia anche alla banca». Ma il 17 febbraio l’aria appare cambiata. Bonet chiama Girardelli, «dice che gli stanno intimando, anche con Castelli, la restituzione del denaro e, siccome bisogna discuterne e lui è già oggetto di indagini giudiziarie per appropriazione indebita e di riciclaggio, dice di non avere problemi, perché non ha niente da perdere, a trascinarseli tutti dentro con lui. Tra l’altro dice Bonet che Castelli, con il quale si è sentito, non ha avuto il coraggio di dire: "È la tua parola contro la sua!". Lui non ha capito che Bonet ha in mano dei documenti che dicono che lui, come rappresentante della Lega Nord, dice cose non vere e lo ha preso in giro, e quindi se non vogliono noie gli devono dire come fare in questa situazione. Bonet a proposito dice che non restituisce i soldi, metterà un milione e 200 mila euro a garanzia presso un notaio, e se non gli vengono incontro e non lo sollevano dalle responsabilità attribuitegli, togliendo la tessera a Belsito, metterà tutta la storia sul giornale in quanto, tra l’altro, Belsito è un delinquente». «C’è Maroni, i "neri" e la massoneria» Il 24 gennaio Belsito e Bonet parlano della questione relativa ai soldi all’estero. È scritto nell’informativa: «I due discutono della possibilità di vedersi e di seguito affrontano le problematiche sollevate dalla stampa. Francesco dice che, allorquando si fossero incontrati, gli avrebbe detto aggiungendo di aver capito oramai quasi tutto quello che vi è dietro questa vicenda e gli preannuncia che potrebbe dargli una mano, in quanto dietro tutto questo vi sono personaggi legati alla massoneria. Belsito afferma che colui che lo ha attaccato è andato da tale avvocato Mascetti di Varese fondatore della Aletti (Banca) e amico personale ... (Stefano aggiunge di Bobo) e hanno un movimento che si chiama "incomprensibile" .. che sono quella della razza ariana». Scrivono gli investigatori: «Si identifica, verosimilmente in Andrea Mascetti, nato a Varese nel 1971. Da una ricerca sul Web è emerso che sia stato difensore civico del comune di Varese e portaborse del presidente del Consiglio Regionale della Lombardia Attilio Fontana. Alcuni anni fa aveva fondato il circolo culturale "Aldebaran" che poi si tramutò nell’associazione culturale "Terra Insubre"con sede a Biumo, quartiere di Varese. In passato risulta che abbia frequentato Rinaldo Graziani, figlio di Lello, fondatore di Ordine Nuovo». F. Sar., Corriere della Sera 12/04/2012 MARONI IN PROCURA: PRONTI A COLLABORARE. UMBERTO RAGGIRATO — Non è ancora stato eletto segretario, ma Roberto Maroni già si muove da leader della Lega. In «rappresentanza» ufficiale del Carroccio travolto dallo scandalo dell’uso dei rimborsi elettorali, l’ex ministro degli Interni si presenta a sorpresa ieri mattina in Procura a Milano per assicurare la «leale collaborazione» del movimento ai pm i quali per tutta risposta consegnano a Stefano Stefani, il nuovo tesoriere del movimento che lo accompagna un passo indietro, un ordine di esibizione dell’intera documentazione contabile e dei bilanci degli ultimi anni. Il primo a materializzarsi intorno alle 13 al quarto piano del palazzo di giustizia è il sindaco maroniano di Varese, ed avvocato, Attilio Fontana seguito subito dopo nell’ufficio del procuratore Edmondo Bruti Liberati da Maroni e Stefani. Pochi minuti di colloquio e il terzetto si sposta dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo, che con i sostituti Roberto Pellicano e Paolo Filippini conduce l’inchiesta sulla contabilità e i rimborsi elettorali della Lega Nord. «Siamo a disposizione, non vogliamo nascondere nulla, anzi» dichiara Maroni nei dieci metri di corridoio tra i due uffici, assicurando «la leale collaborazione della Lega e del nuovo amministratore nell’accertamento della verità». E «qualunque richiesta sarà immediatamente soddisfatta», anche perché, precisa, è «nel nostro interesse accertare la verità ed eventuali responsabilità». Non è chiaro cosa sia rimasto ancora nelle stanze di via Bellerio e negli altri uffici del Carroccio dopo le perquisizioni dei giorni scorsi, ultima quella che ieri la Guardia di finanza di Milano ha fatto nella sede del sindacato Sin.pa, di cui è segretario generale il vicepresidente del Senato Rosi Mauro, che è presente negli atti tra i componenti del «cerchio magico» che avrebbero ricevuto denaro indebitamente dall’allora tesoriere Francesco Belsito, indagato a Milano per truffa ai danni dello Stato e appropriazione indebita. È una visita che abbiamo chiesto noi» si affretta a precisare Roberto Maroni affinché non ci siano equivoci e annuncia che la Lega ha incaricato la società di revisione PriceWaterHouse di verificare la situazione patrimoniale del partito. Un lavoro da fare in fretta perché entro giugno il prospetto delle spese elettorali dovrà essere pubblicato su due quotidiani nazionali e entro luglio dovrà essere inviato al Parlamento per ottenere i rimborsi relativi alle spese del 2011 (per il 2010 si è trattato di 18 milioni). Perché in questa vicenda è la Lega ad aver subito i danni, e quelli per soldi che sarebbero stati passati sottobanco da Belsito sono niente di fronte alla mazzata subita dall’immagine di un partito che ha sempre sbandierato la sua integrità morale. Ed è per questo che Maroni annuncia che, quando ci sarà il processo per questi fatti, la Lega Nord sarà pronta a costituirsi parte civile. Come era già avvenuto martedì a Bergamo nella serata dell’«Orgoglio leghista» e del mea culpa di Umberto Bossi, anche il fondatore del partito viene descritto come vittima dei traditori: «La sensazione è che qualcuno abbia approfittato della buona fede di Umberto Bossi per favorire se stesso o altre persone invece del movimento politico» dice Maroni, che non vuol sentire parlare dei complotti evocati dal leader nella manifestazione. L’indagine da un lato «ha svelato una violazione del nostro codice etico, che per noi è altrettanto importante del rispetto della legge», dall’altro ha provocato la reazione della base leghista con la «richiesta di pulizia» gridata a Bergamo, scope in mano, dai militanti che «fanno fatica a tenere aperte le sedi e vedono i soldi mandati in Tanzania invece che a Malnate». Giuseppe Guastella, Corriere della Sera 12/04/2012 QUATTRO INDAGATI A REGGIO EMILIA — Nuova bufera sulla Lega Nord in Emilia Romagna. Dopo l’indagine avviata dalla Procura di Bologna su presunti fondi neri e irregolarità nella gestione del bilancio del partito, ora la Procura di Reggio Emilia ha iscritto quattro persone nel registro degli indagati. Una è di Bologna. Tra gli indagati non ci sarebbero Bossi e Rosi Mauro, che per quasi un anno ha rivestito la carica di «legata» (cioè commissaria) della sezione emiliana della Lega. L’inchiesta è scattata dopo l’esposto di Marco Lusetti, ex vicesegretario dell’Emilia espulso dal Carroccio da un «bossiano» di ferro, il deputato reggiano Angelo Alessandri, attuale leader della Lega Nord Emilia e fino a pochi giorni fa presidente del Carroccio. «Si tratta di un’inchiesta su fatti che, se veri, sono di un certo rilievo», ha spiegato il procuratore capo Giorgio Grandinetti, che si occupa dell’inchiesta con il sostituto procuratore Stefania Pigozzi. «Ci sono ipotesi di reato che devono essere verificate — ha aggiunto —. Stiamo facendo accertamenti e sono già state delegate delle indagini a questo proposito. Eventuali intrecci fra quanto avvenuto a Reggio e a Bologna potranno emergere nel corso delle indagini». L’esposto di Lusetti, che alla Procura avrebbe presentato anche movimenti bancari, fatture e bilanci che secondo l’ex vicesegretario espulso proverebbero le presunte irregolarità nella gestione del partito a livello locale, «riguarda il territorio di Reggio Emilia — ha precisato Grandinetti — con qualche piccolo sconfinamento nelle province vicine». «Non sappiamo né i nomi né il perché... difficile far commenti» ha affermato Alessandri. «Sono molto tranquillo, e chiederò un incontro col procuratore. Sono tirato in ballo continuamente sui giornali, trovo giusto chiarire». Corriere della Sera 12/04/2012 L’IRA DI BELSITO: «SONO PAZZI, NON CI STO PIU’» — Un Francesco Belsito in versione serale impreca davanti alla televisione. «Ma che dici? Che c... stai dicendo?». Più ascolta Bossi parlare più s’innervosisce. Il Senatur piange a Bergamo, lui si infuria a Genova. Figurarsi quando tocca a Maroni: potesse, gliene direbbe di tutti i colori. Mentre dal palco dell’orgoglio padano i vertici della Lega tirano su barricate per provare a difendersi, dal suo attico genovese di via Fiasella l’ex tesoriere del Carroccio medita come smaltire «tutta questa amarezza per il fango che stanno buttando a palate su di me». «Ma ti rendi conto di cosa vanno parlando?» si sfoga al telefono con Paolo Scovazzi (il suo avvocato). «Ma dico: siamo pazzi? Hai sentito cos’ha detto il capo? Sono arrivati a dire che mi ha messo lì la ’ndrangheta, che ci sono dietro i servizi segreti. Io e la ’ndrangheta? Ma se io non so nemmeno bene cos’è la ’ndrangheta! Ma quali servizi segreti? Ma di che c... stanno parlando? Io sono sempre stato un buon amministratore e loro lo sanno». «Loro»: la Lega. «Perché il mio partito mi tratta così?» si chiede Belsito. «Lo so, all’improvviso sono diventato il mostro, il capro espiatorio, la carne da macello... Capisco che possano decidere di sacrificarmi ma massacrarmi così... io non ci sto a questo gioco». Eccola lì, la promessa. Rovesciare il tavolo e sparigliare tutte le carte. Andare davanti a un magistrato e spiegare i particolari che mancano al puzzle di questa storia. Un’intenzione venuta d’istinto mentre sullo schermo della televisione scorrevano le immagini di Bergamo, dei militanti della base con le scope in mano, dell’abbraccio fra i leader... «Aspettiamo che succeda qualcosa» rimane vago Scovazzi. Dove per «qualcosa» si intende una convocazione in Procura, un interrogatorio, la possibilità di sapere qualche dettaglio in più sulle indagini. «E poi decideremo come agire» cioè quali contromisure prendere. In tutti questi giorni di terremoto con se stesso come epicentro, Belsito (racconta chi gli ha parlato) ha commesso l’errore di credere che la Lega lo avrebbe in qualche modo protetto, nonostante tutto. Era convinto di meritare e ottenere un «trattamento diverso», perché «quello che ho fatto è stato sempre corretto» e «non l’ho fatto mai di nascosto, era sotto gli occhi di tanti». Mai si sarebbe aspettato «solo plotoni di esecuzione». Era sicuro che qualcuno, ai vertici, avrebbe cercato di capire, di chiedergli spiegazioni, approfondimenti, di concordare un’uscita quantomeno più dignitosa. Tanto sicuro da «aspettarsi un nuovo incarico dalla Lega», dice di aver saputo il suo più grande nemico genovese, Edoardo Rixi, candidato sindaco per la Lega e da sempre suo avversario. Altro che nuovo incarico... Speranza abbattuta con quel salto sulla sedia e quella rabbia crescente davanti alla tivù, mentre Bossi e Maroni lo scaricavano per sempre, come buttarlo direttamente giù dal palco di Bergamo, in pasto ai militanti con le scope in mano. La reazione sta tutta in quell’annuncio: «A questo gioco non ci sto». Non si sente certo un Primo Greganti del Carroccio ed è difficile pensarlo nei panni del «Compagno G». Semmai sarebbe più vicino al tesoriere della Margherita Luigi Lusi, come linea di condotta. E questo sembra non faccia dormire sonni tranquilli a molti, dentro e fuori dal movimento leghista. A cominciare da un bel po’ di persone che hanno avuto a che fare con la Fincantieri, di cui Belsito è stato vicepresidente. La sua memoria è un registratore acceso. Adesso è in «standby». Basterà schiacciare il tasto «play». Per dirla con le parole dell’avvocato Scovazzi: «Aspettiamo che succeda qualcosa». Giusi Fasano, Corriere della Sera 12/04/2012 «ULTIMO» GUIDA GLI INVESTIGATORI - È il capitano «Ultimo» a guidare la squadra che sta indagando sui soldi spesi dalla Lega per la famiglia Bossi e sull’attività del tesoriere Francesco Belsito. Sergio De Caprio, l’ufficiale dell’Arma diventato famoso per la cattura di Totò Riina, da tempo collabora con il pubblico ministero Henry John Woodcock. E in questa occasione, mentre verificava l’attività dell’imprenditore Stefano Bonet, ha afferrato il filo che porta in via Bellerio, negli uffici amministrativi del Carroccio. E ROSI MAURO SIDERTA L’AULA: «PROVERO’ LA MIA INNOCENZA» — Ieri, le 12.30, Palazzo Madama. In programma c’è la discussione generale sul principio del pareggio di bilancio da introdurre nella Costituzione. A presiedere i lavori è attesa, anzi attesissima, la vicepresidente del Senato, Rosi Mauro. La sera prima, durante Porta a Porta, ospite di Bruno Vespa, l’esponente della Lega, su cui adesso piovono accuse infamanti, aveva annunciato di volersi difendere proprio in Aula, davanti a tutti, prima di decidere se dimettersi o no dall’incarico. Potrebbe, dunque, essere questa l’occasione giusta e invece ecco la sorpresa: Rosi Mauro non c’è, ha saltato il suo turno di direzione dei lavori ed è rimasta chiusa al terzo piano del palazzo, barricata nel suo studio con accanto i collaboratori più stretti, la bionda Elisabetta Gatti, l’avvocato Ivana Maffei, l’assistente Federica Boccaletti, il caposcorta Pierangelo Moscagiuro, alias Pier Mosca («Non è il mio compagno», ha smentito lei l’altra sera da Vespa). Così, a sostituirla sullo scranno più alto, è venuto il presidente del Senato in persona, Renato Schifani, che si sobbarcherà il «doppio lavoro» anche nelle prossime sedute quando sarà il turno di Rosi. È lui stesso più tardi a comunicarlo ufficialmente alla Conferenza dei capigruppo. Ma il Senato ormai da giorni è in subbuglio: il Pd ha già chiesto le dimissioni della vicepresidente leghista e i dipietristi dell’Idv si son detti pronti perfino ad abbandonare l’Aula se sarà lei a guidare i lavori. Per non parlare del suo stesso partito, la Lega, che anche ieri ha continuato il pressing chiedendole espressamente di fare «un passo indietro». Insomma, clima pesante e così Rosi Mauro ha preferito prendersi ancora un po’ di tempo, restando fuori dalla bolgia e meditando sul da farsi. Solo oggi, il giorno del consiglio federale della Lega in via Bellerio, deciderà. Lo ha confermato ieri sera al Tg1: «Domani valuterò cosa fare, ma sono innocente e potrò provarlo, non temo l’espulsione, non ho mai preso un euro per me stessa, i conti sono in regola», ha detto la fondatrice del Sin.Pa, il sindacato padano, perquisito nel pomeriggio dalla Guardia di Finanza che ha portato via diversi documenti. Dalle indagini sull’ex tesoriere del Carroccio, Francesco Belsito, è emerso infatti — val la pena di ricordarlo — che al Sin.pa sarebbero andati tra i 200 e i 300 mila euro provenienti dalle casse del partito. Le verifiche sono in corso. E comunque anche se la «pasionaria» leghista si difende a spada tratta dalle accuse e rifiuta per il momento di farsi da parte, contro di lei la polemica non si placa. Durissima, la presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro: «Tutti i gruppi parlamentari hanno apprezzato molto la decisione del presidente Schifani di presiedere l’assemblea anche nei turni della vicepresidente Mauro, fino a quando ci sarà l’opportunità di salvaguardare il decoro del Senato. E io mi auguro che avvenga per il più breve tempo possibile». Tradotto: che la senatrice lasci al più presto l’incarico. Lo stesso capogruppo della Lega a Palazzo Madama, Federico Bricolo, è perentorio: «I vertici della Lega hanno chiesto a Rosi Mauro di dimettersi, di fare un passo indietro, anche io gliel’ho chiesto e consigliato. Ma sarà lei a decidere, la conosciamo da tanti anni, in televisione ha dato elementi importanti agli inquirenti e speriamo che questi facciano chiarezza con celerità». «Non ci sono precedenti di mozioni che impongano alla Mauro di dimettersi — taglia corto Maurizio Gasparri, presidente dei senatori del Pdl —. Valuterà lei cosa fare e prenderà le decisioni che ritiene opportune, ma non credo sia opportuno un dibattito su una vicenda ancora tutta da chiarire». Decisamente controcorrente, invece, le deputate di Fli Flavia Perina e del Pd Paola Concia, che esprimono palese solidarietà alla collega parlamentare del Carroccio. «Venti righe in difesa della strega Rosi Mauro, bruciata sul rogo come le fattucchiere di Salem per purificare la comunità padana», scrive la Perina in un editoriale sul sito di Futuro e Libertà. E la Concia, dal canto suo, dichiara: «La senatrice non è altro che un capro espiatorio. Trovo vergognoso il modo con cui i capetti della Lega assetati di sangue si sono accaniti come un branco di selvaggi contro di lei solo per ripulirsi la coscienza». Si mostra comprensiva, infine, anche l’ex ministro Mariastella Gelmini: «La senatrice risponde alla propria coscienza e al proprio operato. Se le accuse che le sono rivolte sono false e ha gli strumenti per dimostrarlo, credo che la sua resistenza abbia un senso». Rosi Mauro, che l’altra sera in tv l’aveva detto («È molto più facile attaccare una donna...»), di sicuro apprezzerà. Fabrizio Caccia, Corriere della Sera 12/04/2012 IL SENATUR E IL VIA LIBERA A BOBO LEADER: «MA IO RESTO COME GARANTE DELL’UNITA’» — «La Lega deve restare unita e, in questo momento, tanti guardano a te. Ma io non esco di scena. Anzi: io sono e resterò il garante dell’unità della Lega». Nella notte bergamasca, Umberto Bossi è a capotavola. Alla sua destra, Roberto Calderoli. A sinistra, Roberto Maroni, il destinatario delle parole di colui che, a dispetto delle dimissioni da segretario, resta «il Capo». Il convivio è assai più vasto: una settantina tra dirigenti e militanti che hanno partecipato alla serata dell’orgoglio padano appena conclusa. Il popolo leghista ha letto nella serata il passaggio della bandiera tra il leader storico, Re Lear tradito da figli adulatori, e Roberto Maroni, l’erede che non ha mai voluto blandire l’anziano sovrano e che per questo è stato sul punto di essere diseredato. Eppure, il re di Padania non è pronto a ritirarsi. Sembra aver accettato che a venire dopo di lui, con il Congresso Federale che si svolgerà nell’ultima domenica di giugno, sia il leader dei Barbari sognanti. Ma avvisa: quella del successore non sarà monarchia assoluta. Di certo, questo non è il più piccolo dei problemi del capo leghista in pectore. Anzi, lo stesso ex ministro dell’Interno, riferiscono gli amici, è assolutamente consapevole che la strada verso la leadership non sia una discesa in slittino. Il primo problema, in ordine di arrivo, è certamente l’affaire Rosi Mauro. Secondo alcuni, non necessariamente nemici «del Bobo», Maroni l’altra sera si è esposto molto nell’annunciare che alla vicepresidente del Senato «penserà la Lega». Perché nel Consiglio Federale che si svolgerà oggi in via Bellerio ci sarà chi tira il freno a mano con tutte e due le mani rispetto alla promessa espulsione della «Badante». Un dirigente leghista, la racconta così: «Lei, ospite di Bruno Vespa, si è difesa come una leonessa. Se soltanto una delle cose che ha detto si rivelasse falsa, di problemi non ce ne sarebbero più. Però, fino a quel momento, a che titolo la si espelle, visto che neanche è indagata e che è al centro dell’attacco dei giornali dei poteri forti? Certo, l’impatto sui militanti di qualunque soluzione diversa dalla pulizia radicale sarebbe devastante. Resta il fatto che il Consiglio Federale è quello che è». Maroni, per superare l’ostacolo, ha fatto riferimento al poco noto «codice etico» della Lega. E ieri sera, sempre da Vespa, ha osservato che «quando la Lega ha deciso, Umberto Bossi ha fatto un passo indietro senza essere indagato. La Mauro dovrebbe farlo per questioni di credibilità e correttezza». Resta il fatto che fioriscono le ipotesi. Una per tutte, quella di compromesso, la massima sanzione tolta l’espulsione. E cioè, la sospensione per nove mesi. Che comporta, tra l’altro, il declassamento a semplice sostenitore e dunque l’incandidabilità alle prossime politiche. In secondo luogo, esiste un problema di regole. L’articolo 15 dello statuto leghista sancisce che «il Presidente e il Segretario Federale devono appartenere a due diverse Sezioni Nazionali». Che significa? Che secondo la carta fondante del movimento, non possono coesistere un Bossi presidente con un Maroni segretario (lombardi entrambi). Secondo i benevoli, un’inconsapevole distrazione rispetto alle tavole della legge, frutto dei momenti concitati. Secondo i maligni, il cavallo di Troia che permetterebbe ai veneti di reclamare la segreteria — ed è qui che entrerebbe in scena Luca Zaia, a dispetto del suo schermirsi — oppure l’alquanto improbabile revoca di Bossi dalla carica di presidente, fino a giovedì scorso ricoperta dall’emiliano Angelo Alessandri. Gli amici del capo dei Barbari sognanti sono al lavoro per preparare emendamenti in grado di superare il problema. Inoltre, la formula del triumvirato ai vertici del movimento, frettolosamente sancita nel giorno delle dimissioni di Bossi, sarebbe non adeguatamente rappresentativa. Un direttorio che dovrebbe garantire massima rappresentatività. Ferma restando quella del lombardo Maroni, meglio sarebbe una trimurti della indiscutibile autorevolezza rispetto alle grandi «nazioni» padane. Ipotesi: meglio Roberto Cota che Roberto Calderoli, meglio Luca Zaia — di nuovo lui — che Manuela Dal Lago. Mica finita. Esiste anche un problema di Consiglio Federale. Il massimo organo politico del Carroccio, formato da un gran numero di membri di diritto di emanazione bossiana, «rappresenta — secondo un maroniano convinto — la vecchia Lega. Che, come tale, non ha alcun interesse a rendere la vita più facile al Bobo. Anzi». Gli strateghi vicini al primo barbaro, inoltre, si pongono il problema che sempre più viene agitato dai nemici interni. Sintetizzato dalla domanda: «Poteva un dirigente del suo rango, già ministro dell’Interno, non sapere?». Ferma restando l’opacità dei conti leghisti, gli amici sottolineano «l’indiscutibile estraneità di Maroni al gruppo che circondava Bossi. I problemi sono venuti dal cerchio magico, nato proprio per non far sapere nulla a Bossi e nulla fuori». C’è, infine, il rapporto con Roberto Calderoli. I fondamentalisti maroniani lo vedono come il più insidioso dei nemici, dominus quale è di via Bellerio e della struttura del partito. Loro l’idea, superata dall’anticipazione del Congresso Federale, di una contestazione del coordinatore delle segreterie nazionali nella «sua» Bergamo. Maroni sembra non avere deciso se aprire un altro fronte. Eppure, giurano in parecchi, «l’equilibrio resta instabile». LA «NERA» DEL MISTERO NON ERA L’INFERMIERA - Più ombre che luci sulla misteriosa «Nera», vale a dire la donna che, secondo le intercettazioni del tesoriere leghista Francesco Belsito, si sarebbe intascata 29 mila franchi svizzeri (all’incirca 22 mila euro) provenienti dalle casse del partito. Gli inquirenti dicono che la «Nera» è il nomignolo con cui nel Carroccio viene identificata la vicepresidente del Senato Rosi Mauro, ma la diretta interessata, durante la trasmissione «Porta a porta», ha smentito: la destinataria del denaro sarebbe invece un’infermiera che avrebbe assistito Umberto Bossi nella convalescenza dell’ictus patito nel 2004. Ieri è partita la caccia alla «Nera» ma l’ipotesi avanzata da Rosi Mauro ha ricevuto per il momento più smentite che conferme. Il primo a ignorare l’esistenza di un’assistente con quel nome è Luciano Bresciani, attuale assessore alla sanità della Regione Lombardia ma anche medico personale del Senatur proprio nel periodo più acuto della malattia. «Non l’ho mai vista, anche se mi sono occupato di Bossi per un anno e mezzo, né mi è mai stata presentata, forse — scherza — per questioni di gelosia». «Era un momento in cui il paziente aveva bisogno dello specialista — racconta Bresciani —. Le sue condizioni richiedevano che fosse seguito da un gruppo di infermieri con un progetto riabilitativo e semmai di un medico riabilitatore. Ma io questa infermiera "Nera" non l’ho mai vista». Una volta uscito dall’ospedale di Varese, Bossi venne ricoverato prima al Cardiocentro di Lugano poi alla clinica Hildebrand di Brissago, sempre in Svizzera; ma anche alla Hildebrand(nella foto) ignorano l’esistenza di un’infermiera con quel nomignolo. «È un nome che non ci dice niente — fanno sapere i vertici della clinica elvetica —; da noi lavora personale altamente specializzato e che presta servizio qui da molto tempo. Ma un’infermiera "Nera" non risulta nella maniera più assoluta». C. Del., Corriere della Sera 12/04/2012 REGUZZONI: «CIRCOLA FANGO. IO FUORI DAL MOVIMENTO? NELLE CARTE NON COMPAIO» — Che fine ha fatto Marco Reguzzoni? Solo pochi mesi fa era l’astro nascente del firmamento bossiano: numero uno dei deputati padani, spesso ospite in tv, uno dei pochi volti giovani della politica italiana. Poi il destino gli ha voltato le spalle: via le stellette di capogruppo, bersaglio delle invettive dei maroniani, minacciato di espulsione dai cori dei raduni leghisti. Ma il ritorno di Reguzzoni è previsto oggi, quando parteciperà al consiglio federale in via Bellerio. Ha visto la manifestazione di Bergamo? Cosa ne dice? «Ci sono stati momenti emotivamente molto forti e alcuni passaggi del discorso di Bossi sono destinati a restare nella storia. La Lega è viva e la situazione è in evoluzione». Però quelle scope brandite come le picche nella Parigi rivoluzionaria: le sono piaciute anche quelle? «Il segnale è chiaro: la base vuole pulizia. Ma occorre la verifica dei fatti, occorre distinguerli dalle illazioni e dal fango. E a mio parere in questi giorni è circolato anche parecchio fango». Quella che è scattata è un’operazione moralizzatrice o un regolamento di conti all’interno del partito? «I comportamenti di alcuni esponenti del movimento sono indubbiamente sospetti. Ma il rischio che trovino spazio anche vendette di natura personale c’è e va scongiurato. Perché se la Lega si divide o si dissolve non è solo un problema di Reguzzoni o di altri, ma di tutto il Nord, che si troverebbe privo di qualunque rappresentanza politica. E questo concetto, a mio giudizio, deve prevalere su tutto». Bossi è ancora in grado di garantire la sintesi e l’unità? Come l’ha visto a Bergamo? «Bossi che si dimette solo qualche settimana fa era un’ipotesi impensabile. E devo dire che alcune sue parole mi hanno scosso: quale altro leader politico avrebbe ammesso le sue responsabilità come ha fatto lui?». Ma seriamente, lei ce lo vede Bossi che si ritira a Gemonio? «L’ho sempre visto come capo della Lega e faccio fatica a immaginarlo in un’altra veste. Anzi, per me l’ipotesi migliore è che Bossi resti alla guida del movimento». Eppure in molti hanno interpretato la «rivoluzione delle scope» come l’investitura ufficiale di Maroni... «Le investiture le fanno i congressi, non altri organismi. Detto questo Maroni ha un ruolo importante nella Lega, è stato tre volte ministro, è stato abile nel crearsi l’immagine di uomo delle istituzioni. Lui ha fatto cenno anche a Bergamo al segretario che nel ’95 ne chiese l’espulsione: sì, lo ammetto, quel segretario ero io. Però per la Lega erano momenti difficilissimi, dopo l’uscita del governo Berlusconi eravamo sottoposti a tensioni durissime...». E ora c’è chi chiede la testa di Reguzzoni: che effetto le fa? «Non vedo come potrebbe essere motivata una mia espulsione: in 2.000 pagine dell’inchiesta il mio nome non compare una sola volta, sono da 20 anni nel movimento, ho ricoperto ruoli istituzionali, non ho mai parlato male di altri leghisti, non ho fondato correnti...». La indicano come appartenente al cerchio magico... «Non c’è nessun cerchio magico...». Maroni ha detto che quando doveva parlare con Bossi doveva passare da questa specie di filtro... «Bossi è un abitudinario dunque era facile per tutti incontrarlo. E poi in Consiglio dei ministri c’erano Bossi, Maroni e Calderoli, mica Reguzzoni». Col senno di poi difenderebbe ancora la candidatura di Renzo Bossi? «Col senno di poi siamo capaci tutti di giudicare». Claudio Del Frate, Corriere della Sera 12/04/2012 ALLA CENA DEI BIG PASTA ALL’ARRABBIATA E COCA COLA - Dopo la serata dell’«orgoglio leghista», martedì, i vertici del Carroccio hanno cenato tutti insieme al «Pasta e Basta» di Bergamo: avevano prenotato per 20, si son presentati in 70. Bossi a capotavola, Roberto Maroni alla sua sinistra e Roberto Calderoli alla sua destra (nella foto). Intorno, lo stato maggiore leghista: i bergamaschi, i bresciani, i veneti (non Zaia), i piemontesi e i toscani. Alla cena Bossi si sarebbe mostrato disteso, ripetendo a Maroni: «Vai, vai avanti. Ma ricordati che il movimento deve essere unito». Nessuna traccia, invece, del cerchio magico. Il menu? Pasta all’arrabbiata («così esorcizziamo») e casoncelli, innaffiati dal Senatùr con l’immancabile Coca Cola. Corriere della Sera 12/4/2012 *** Da Repubblica: "BOSSI E TREMONTI SAPEVANO ANCHE DEI SOLDI IN TANZANIA TEMEVANO LA FINE DELL’EURO" LA DIFESA DI BELSITO. LE 11 CASE DI MANUELAREGGIO CALABRIA - Umberto Bossi e Giulio Tremonti sapevano degli investimenti dei fondi della Lega all’estero, compresi quelli in Tanzania. E degli immobili intestati alla moglie del leader della Lega. Ben undici, mentre altri sarebbero stati intestati ad altri membri che costituivano la corrente del "Cerchio magico". Nello scandalo appena scoppiato si fanno tanti commenti e diverse previsioni sul "futuro politico" della Lega che sarebbe finita nelle «mani» di Maroni, il quale stava spingendo su Formigoni che «gli aprirà tutta la Lombardia». È quanto emerge dalla lunga informativa della Dia di Reggio Calabria che ha intercettato per mesi il tesoriere della Lega Nord, Francesco Belsito, l’imprenditore Stefano Bonet, le segretarie e dipendenti della Lega che lavorano nel gruppo parlamentare della Camera. Un’indagine coordinata dal pm della Dda Giuseppe Lombardo che ha svelato l’uso dei fondi della Lega gestiti da faccendierie politici. «Scenari che non lasciano alcun dubbio - sottolineano gli inquirenti - circa l’esistenza di un sistema contaminato di malaffare a cui si alimentavano poteri istituzionali, politici e dell’economia». BOSSI E TREMONTI SAPEVANO In una telefonata tra il tesoriere Francesco Belsitoe l’imprenditore Stefano Bonet, intercettata il 10 gennaio scorso quando lo scandalo era appena scoppiato, Belsito rivela a Bonet: «Bossie Tremonti erano d’accordo sul fatto che la Lega Nord, con l’operazione (in Tanzania ed a Cipro ndr), avesse voluto diversificare i loro risparmi». Ed aggiungeva che gli importi bonificati erano riportati in bilancio anche perché, con il 2009 e 2010 il movimento politico aveva chiuso con un attivo di 16,5 milioni di euro. Il tesoriere della Lega rivela anche a Bonet che «Bossi mi ha fatto divieto di rilasciare interviste». Non solo, sempre l’ex tesoriere del Carroccio racconta che in occasione dello stanziamento a favore del fondo della Tanzania, l’ex ministro dell’Economia suggeriva: «Fate bene a diversificare perché tra due mesi l’euro salta». GLI INCONTRI CON I VERTICI DELLA LEGA Dieci giorni dopo Lubiana Restaini, dipendente della Lega nel gruppo parlamentare chiama Stefano Bonet per chiedergli se vuole incontrare Maroni, Giorgietti e Calderoli per spiegare cosa è accaduto con i fondi gestiti da Francesco Belsito. «Vi potete incontrare in una villa a Varese per spiegare tutta la vicenda» specifica la segretaria che aggiunge: «Ormai la linea politica della Lega è in mano a Maroni. Cambierà il capogruppo che sarà un maroniano, e anche Zaia è passato sotto la sua corrente. E loro stanno anche spingendo su Formigoni che gli aprirà tutta la Lombardia». GLI UNDICI IMMOBILI ALLA MOGLIE DI BOSSI Quattro giorni dopo, il 24 gennaio, è Stefano Bonet che chiama Lubiana Restaini e la donna lo informa che ha appena mandato un messaggio a Maroni che lo riguardava e questo in previsione di un incontro per il venerdì successivo con i vertici della Lega che Bonet teme possa diventare pubblico paventando una fuga di notizie «poiché Belsito si manifestava particolarmente nervoso». Lubiana spiega a Bonet che Belsito era nervoso «per il fatto che il tesoriere era finito sui giornali per la vicenda dei fondi, ma anche, soprattutto per quello che riguardava tutta una serie di acquisti di immobili da parte di Bossi (11 intestati alla moglie) ed altri da parte di altri membri che costituivano la corrente del "Cerchio Magico". E se ciò fosse vero il partito ne verrebbe fuori distrutto e tutti sarebbero andati sotto la corrente di Maroni» «. GLI INCONTRI DI BONET CON ROBERTO CASTELLI I Vertici della Lega sono in agitazione, cercano di parare i colpi dello scandalo e, soprattutto, premono per fare rientrare nelle casse del partito i milioni di euro che Belsito aveva trasferito a Cipro e in Tanzania. Ed il 3 febbraio Roberto Castelli s’incontra, in maniera riservata, con Stefano Bonet, nella sala d’aspetto dell’aeroporto di Linate. Bonet lo comunica al suo uomo a Cipro, Paolo Scala e definisce Castelli una persona "precisa e puntigliosa" e che « «all’interno della Lega erano scattate delle indagini sulla vicenda Belsito-Fondi» «. Castelli, tra l’altro,« «avrebbe espresso il desiderio di chiudere la vicenda nel più breve tempo possibile». Ma Bonet cambia parere dopo che Castelli gli fa capire che la Lega non è disposta a restituirgli i soldi che l’imprenditore aveva anticipato per l’affare a Belsito. Per questo chiama il suo socio Romolo Gerardelli e minaccia di fare scoppiare il caso: «Vado in Procura e ai giornali e mi porto dietro mogli e ministri». IL GIALLO DI MARONI Dalle intercettazioni si parla spesso di incontri fissati tra Bonet e Roberto Maroni. Il primo appuntamento risalirebbe al 27 gennaio. In realtà a quella riunione Maroni non avrebbe partecipato, e non è chiaro se vi siano state altre occasioni. Una cosa è certa e si tratta di una telefonata tra Bossi e Maroni alla presenza di Belsito. E lo stesso tesoriere che la racconta a Rosy Mauro. «Perché il Capo, quando sono stato (incompr.) ha detto: "Devi avvisare due persone: Stiffoni e Castelli". Ed io li ho chiamatie gliel’ho detto. Poi lui, di sua iniziativa, ha detto al commesso di chiamargli Maroni. ... e a Maroni gli ha detto: "Stronzo! Adesso non puoi più dire niente in giro...". E lui rideva... e lui rideva! Gli fa: "Aspetta che ti passo Belsito". .. ed io gli ho detto: "Ciao. .. come avrai già sentito dal Capo,è tuttoa poBELSITO E I FONDI NERI DELLA COOP7 sto"... "Bene, bene... sono contento...", e basta». C’è anche dell’altro nella mani del pm Giuseppe Lombardo. È lo sfogo di Belsito con Girardelli. Dice che «gli aprirà una fiumara... la Coop7. .. tutto, il conto corrente che aveva in Svizzera che pagava la Coop7. Facendo riferimento a quella terza persona, non identificata, dice che era stato fermato con 100.000 euro». Quindi dice «che farà venir giù un terremoto di quelli pesantissimi e di sapere anche in quale Procura farlo». Giuseppe Baldessarro Francesco Viviano, la Repubblica 12/4/2012 ORO, DIAMANTI, BONIFICI DALLO "SHAMPATO" ECCO I CONTI DI BELSITO E DELLA LEGA MILANO - Vederle scritte come causale di un bonifico bancario, le cifre di quelle consulenze hanno tutt’altro sapore. Fin qui i rapporti tra Francesco Belsito, ex segretario amministrativo della Lega Nord, e Stefano Bonet, l’imprenditore veneto detto "lo shampato", entrambi indagati per appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato in relazione ai soldi destinati alla Lega come finanziamento pubblico, erano emersi solo dalle intercettazioni telefoniche del Noe, il Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri. Gli estratti conto dei depositi di Belsito e della Lega, le cui movimentazioni sono giudicate sospette dagli inquirenti della procura di Milano, non sembrano invece lasciare scampo. Eccoli, i documenti bancari. Ecco, cifra per cifra, i prelievi di contanti, i bonifici dai conti della Lega a quelli di Belsito, le compravendite di oro, diamanti, valute estere, le operazioni immobiliari che hanno lasciato traccia sui rendiconti dell’istituto di credito che custodiva la cassa del Carroccio. I BONIFICI Tra agosto 2011 e gennaio 2012, l’ex segretario amministrativo della Lega riceve dalla Polare tre bonifici: uno da 120mila euro (causale: «vs competenze 20092010 compenso professionale»), un altro da 11mila euro («saldo fattura») e un terzo da 180mila euro («saldo fattura numero tre»). Oltre 300mila euro che sanciscono il legame tra Belsito e la Polytechnic Laboratory of Reasearch (la Polare scarl, appunto), finita al centro dell’inchiesta milanese del secondo dipartimento guidato dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo. La società è riconducibile a Stefano Bonet e nelle carte acquisite dal Nucleo tributario della Guardia di Finanza risultano a suo carico anche altre operazioni sospette: nel corso del 2010 la Polare avrebbe ricevuto dalla Siram, società del gruppo Veolia che opera nella gestione energetica di edifici pubblici e privati, circa 5 milioni dei quali poi la Siram sarebbe rientrata in possesso attraverso un dubbio giro di fatture con altre società di Bonet. L’operazione circolare sarebbe servita per lucrare gli incentivi fiscali previsti dalla Finanziaria 2007 per gli investimenti in attività di ricerca industriale e sviluppo di cui la Polare si occupava. Perché poi Bonet, cliente della Siram, società attività con molte pubbliche amministrazioni di tutto il Nord Italia, abbia ricompensato l’ex segretario amministrativo della Lega, Belsito, nonè dato sapere. Ma che Belsito si fidasse di Bonet è certo, visto che come segretario amministrativo della Lega gli ha affidato ben 4,5 milioni dei soldi del partito da investire in Tanzania, proprio tre giorni prima (il 30 dicembre 2011) di ricevere l’ultimo bonifico da 180mila euro sui suoi conti personali. I SOLDI PER GIRARDELLI Le entrate dei conti correnti di Belsito riservano qualche sorpresa in più, come un altro bonifico da ben 300mila euro. A versare, a Natale 2009, sono Chiara Spadoni e Marco Sanfilippo. La causale, «Lotto in Serra Ricco Genova», lascia immaginare una operazione immobiliare. La Spadoni non sembra essere una figura irrilevante, perché nel corso del 2011 riceve dai conti della Lega gestiti da Belsito assegni circolari per 240mila euro, mentre Serra Ricco è il paese di residenza di un socio di Belsito nella Effebi Immobiliare, Fabrizio Cassissa, figlio di un agente immobiliare locale. Nella Effebi siede come socio anche Alex Girardelli, figlio di Romolo Girardelli, "l’ammiraglio", già indagato dalla procura di Reggio Calabria e considerato dagli inquirenti un link con la ’ndrangheta, pizzicato dal Noe al telefono proprio con Bonet. Il giro di soldi non è chiaro. Belsito, una settimana dopo aver ricevuto i 300mila euro dalla Spadoni, dispone un bonifico di 52mila euro ad Alex Girardelli. E non finisce qui, perché il 26 gennaio 2010 altri 132mila euro finiscono a un tale Massimo Ciciriello. I DIAMANTI Sui conti di Belsito transita anche un’altra operazione sospetta, portata a termine a dicembre 2011. Il cassiere della Lega diversifica gli investimenti del partito. Oltre ai tentativi, noti, di acquistare fondi "esotici" in Tanzania e Cipro, di speculare su valute (corone norvegesi e dollari australiani) Belsito pensa bene di buttarsi sull’oro e sui diamanti. Mentre per l’oro può agire direttamente dai conti della Lega (204mila euro versati alla 8853 Spa, società che compra e vende oro, dagli anelli ai denti, dai lingotti ai gettoni d’oro), per i diamanti Belsito deve prima trasferire i soldi sui suoi conti e poi operare, poiché la compravendita di diamanti è possibile solo attraverso bonifico e per persone fisiche. Belsito dirotta 100mila euro della Lega sui suoi conti personali e da lì compra quanto gli viene offerto dalla Intermarket Diamond Business. I CONTI DELLA LEGA La stessa padronanza Belsito dimostra nella movimentazione dei rapporti bancari della Lega Nord. Qui, dopo la scomparsa di Balocchi, Belsito fa il bello e cattivo tempo, tanto da chiedere a Banca Aletti di trasferire gli estratti dei conti correnti al proprio indirizzo di casa a Genova. Stando alla contabilità relativa al 2011, il cassiere, senza la necessità di altre firme, preleva in contanti nell’ultimo trimestre oltre 240mila euro e muove assegni circolari per 900mila euro. Soldi che, oltre alle operazioni in diamanti e oro e con la Spadoni, finiscono tra gli altri al Sindacato padano (30mila euro), alla Equitalia di Sestri (126mila euro) e al gruppo Immobiliare Minetti (oltre 78mila euro). «Io non ho mai fatto nulla da solo. In tanti nella Lega sapevano, avevano il controllo di tutti i miei atti. E, per la mia parte, so di aver sempre amministrato correttamente», si è difeso Belsito. Walter Galbiati, la Repubblica 12/4/2012 LUBIANA E I DUE CELLULARI SEGRETI (senza firma) REGGIO CALABRIA - Compare una "dama bianca" tra le file leghiste. La sua figura emerge dal filone calabrese dell’inchiesta sui conti del Carroccio. Una dipendente del gruppo alla Camera che si rivela in realtà il trait d’union tra l’imprenditore veneto Stefano Bonet e i dirigenti lumbard nei giorni convulsi della scoperta dell’investimento leghista in Tanzania. Quel che colpisce i magistrati è che l’imprenditore l’ha dotata di due schede telefoniche internazionali (una senegalese e una bengalese) per le «comunicazioni riservate». Lubiana Restaini, nata a Roccagorga (Latina) nel 1966, è dipendente di un piccolo Comune laziale, Cori, ma «distaccata in Parlamento». Secondo i magistrati «risulta vicina al senatore Roberto Castelli e all’onorevole Roberto Maroni e allo stesso Stefano Bonet». L’imprenditore ha intrapreso con lei «un’ampia collaborazione con lo scambio di costanti e continui contatti telefonici». Il 20 gennaio scorso è lei a contattare Bonet facendogli presente di essere «in grado, qualora lo avesse voluto, di farlo incontrare con i vertici della Lega Nord (Maroni, Giorgetti e Calderoli) in una villa di Varese per spiegargli tutta la vicenda che lo vedeva coinvolto con Belsito», il tesoriere del partito. Era già esplosa la grana dei milioni investiti in Tanzania. Lubiana sostiene che «sarebbe stata in grado di riabilitare Bonet ai loro occhi affermando che lui era un tecnico che collaborava con enti ed organizzazioni di primissimo piano». Il 22 gennaio la Restaini contatta quindi l’imprenditore per informarlo che l’appuntamento con i vertici della Lega è stato concordato a Varese «per il venerdì o il sabato successivo» (27-28 gennaio). Il 2 febbraio altro contatto, stavolta Lubiana, che non risulta indagata, dice di essere stata contattata dal Grande Capo (Umberto Bossi). In un altro passaggio si fa riferimento alla «rete di comunicazione clandestina» creata dall’imprenditore vicino al Carroccio per parlare «in modo sicuro e riservato». Lubiana dice a Bonet che il partito sta spingendo su Formigoni, affinché gli apra «tutta la Lombardia».