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 2012  aprile 11 Mercoledì calendario

LA PRIMA VOLTA SENZA TRIBUTO AL SENATÙR

Con la scopa in mano, anche lui. Ad ascoltare Umberto Bossi nel suo comizio più straziante, mentre dice «vi chiedo scusa».
Ad abbracciarlo e baciarlo, poi. Perchè alle dieci di sera è già tutto finito e i leghisti di questo padiglione della Fiera avranno molto da raccontare. Roberto Maroni accanto a Bossi, per cominciare, con quella scopa in mano. E poi che l’applausometro è stato anche impietoso, con il vecchio Bossi. Con Bobo mai. E che Bobo, i suoi venti minuti, li ha cominciati con parole decise: dolore, rabbia, onta, orrore. «Umberto Bossi non si merita quello che è successo, ma da questa sera si cambia».

Fosse stato un congresso per acclamazione l’avrebbe vinto, Bobo con la scopa in mano. Ma questa doveva essere la serata dell’Orgoglio Padano, dei militanti che vogliono la verità della Lega e di Bossi, che al momento non sembrano del tutto identiche. Maroni che disegna una Lega diversa, con il ritorno agli entusiasmi e alla purezza degli anni ‘90. Maroni che vuole il congresso dellla Lega Nord al più presto, non più in autunno, entro la fine di giugno. Accelerare, perchè Bossi sembra voler prender tempo. Nelle prime file uno sviene, e a Bobo scappa la battuta: «Ho parlato di congresso e qualcuno è già svenuto...».

Per Maroni il primo sms della giornata era stato di un amico che crede nella Madonna di Medjugorje e prega sempre: «Dice il Calendario di Frate Indovino: "Oggi l’ulivo benedetto vuol trovar pulito e netto"». Un altro, via mail, aveva mandato frasi di Bossi di ventuno anni fa, al primo congresso del 1991, la nascita della Lega Nord alla Fiera di Assago: «Noi dobbiano essere esempio di pulizia morale. Alla Lega non manca la democrazia, mancano i soldi». Frasi da cattivi pensieri, queste. Ma Bobo se le ricordava bene. Così come si ricorda questi ultimi otto anni di storie di Lega, da quell’accidente dell’ictus, 11 marzo 2004.

In questi giorni ha pensato spesso a quei momenti. «Bobo, per voi niente sarà più come prima», diceva Daniele Marantelli, deputato allora dell’Ulivo, avversario e amico di Bossi e di Maroni. «Speriamo di no», era stata la risposta in privato, davanti all’ascensore dell’Ospedale di Varese. «Sicuramente no», era quella in pubblico. La domenica di Pasqua questi otto anni se li è ripassati, rivisti, riletti tutti. Sa di chi si può fidare e di chi no. Sa chi lo voleva cacciare e chi l’avrebbe lasciato cacciare. Ma non è a questo che pensava alle sette del pomeriggio, quando è partito da Lozza, da casa, per raggiungere Bergamo.

«Sì, dovrebbe esserci anche Umberto, però non so altro». Alla Fiera i leghisti di Varese erano arrivati già alle cinque del pomeriggio, con il segretario Luca Pinti, uno che quando è nata la Lega andava all’asilo: «Se sono nella Lega è perchè c’è Bossi, e spero che stasera venga anche lui». Non si sapeva ancora, alle cinque del pomeriggio. E nemmeno lo sapeva Maroni. Ma già si sapeva, si capiva come sarebbe andata. Il primo striscione è degli "Universitari Padani" e dice tutto: «La nostre lauree sono vere. Espulsioni subito!». Il secondo è in rima: «Bossi e Maroni in Padania, quei coglioni in Tanzania».

Ma non poteva, non doveva essere un processo a Bossi: nemmeno Maroni l’avrebbe voluto. I suoi «barbari Sognanti», corrente che ormai non c’è più, non serve più, avevano lasciato a casa bandane di seta, sciarpe di lana, gli adesivi di plastica. Solo un paio di cartelli, «Noi barbari continuiamo a sostenere Umberto». Che è poi la linea di Bobo: La Lega ha ancora bisogno di Bossi e Bossi ha bisogno della Lega. Una nuova Lega, però, dopo questa notte delle scope e dei militanti che non ce la fanno più. E la notte dell’"Orgoglio Padano", per Bobo, doveva servire a questo. Ripartire senza vergogna e paure. Recuperando credibilità e dignità.

«Chi non salta Rosi Mauro è!», ballano nel capannone della Fiera, con gli schermi che rimandano immagini del raduno di Pontida e le luci che illuminano il ritratto di Bossi sul palco, il pugno chiuso e lo sguardo deciso, quando manca mezz’ora al via della serata. Non ci volevano credere che la Rosi non si è dimessa dalla vicepresidenza del Senato. Non è questo, e non solo per Maroni, il miglior modo per ripartire. E non ci volevano credere, i Barbari Sognanti, che arrivassero fin qui anche gli amici del Cerchio Magico di Gemonio. Bobo li aveva avvertiti: «State attenti, mi raccomando, evitiamo che finisca in rissa».

Nessuna rissa, ma qualche sbandamento tra cori e fischi. Per la prima volta l’urlo «Bossi Bossi» è stato coperto da «Lega, Lega!». Per la prima volta, davanti a Bossi, un leghista non ha concluso con l’evviva di tributo al Capo. Ed è stato sempre Maroni, «Viva la Lega, viva la Padania». Ma Bobo non ha infierito, anzi. Non ha insistito sull’espulsione di Renzino, ha placato le voglie di vendette interne, la caccia ai reduci veri o presunti del Cerchio Magico. «Nessuna caccia alle streghe, però basta con le scomuniche, i complotti e i Cerchi. E lo dice uno come me, uno per cui chiesero l’espulsione e sono ancora qua».

Ma chissà se Maroni si aspettava quel Bossi straziante, che chiede scusa e però tiene ancora in sospeso la sua teoria del complotto, dei servizi segreti che non potevano ignorare i traffici dl tesoriere Belsito. Che sarebbe un modo contorto e tutto bossiano per lasciare volteggiare un punto interrogativo: sapeva niente, l’ex ministro dell’Interno? Maroni, ormai, lascia perdere. E magari nelle prossime ore, a dimostrazione che al complotto non crede, s’incontra con i magistrati che indagano sulla Lega. Per confermare la voglia di pulizia. Come sul palco, mentre parla Bossi, con la sua scopa in mano.