MAURIZIO MOLINARI, La Stampa 10/4/2012, 10 aprile 2012
Caraibi, la Cina nel cortile di casa Usa - Stadi, resort turistici, ospedali, scuole, aeroporti, porti, ponti e perfino la nuova residenza di un premier: la Cina sbarca nei Caraibi accompagnata da una pioggia di investimenti che cela la strategia di insediarsi nel cortile di Washington
Caraibi, la Cina nel cortile di casa Usa - Stadi, resort turistici, ospedali, scuole, aeroporti, porti, ponti e perfino la nuova residenza di un premier: la Cina sbarca nei Caraibi accompagnata da una pioggia di investimenti che cela la strategia di insediarsi nel cortile di Washington. Nel 2011 il governo di Pechino ha garantito, in forma diretta o tramite aziende pubbliche, prestiti agevolati e aiuti per almeno 6,3 miliardi di dollari a più nazioni dei Caraibi portando a 75 miliardi il totale degli investimenti compiuti in America Latina dal 2005. A documentare l’offensiva è il rapporto The New Bank in Town, redatto da una task force del Dialogo inter-americano di Washington, nel quale si sottolinea la differenza fra quanto avvenuto fino al 2010, con la Cina impegnata a investire in America del Sud per ottenere materie prime in maniera analoga all’Africa, e la svolta del 2011 nei Caraibi dove tali ricchezze naturali sono assenti, ad esclusione del greggio nelle acque di Trinidad e Tobago. Nell’arco di pochi mesi c’è stata un’accelerazione nella determinazione di Pechino di insediarsi nei Caraibi. Il maggiore slancio è verso le Bahamas, con la costruzione di uno stadio, porti, ponti e un megaresort, subito dopo viene la Repubblica Dominicana dove sono state realizzate scuole e ospedali, seguita da Grenada, Giamaica e anche da Trinidad e Tobago dove gli ingegneri di Pechino hanno ristrutturato la residenza del primo ministro. «Dobbiamo chiederci il perché di uno sforzo così massiccio in una regione per loro non di primario interesse sul piano delle risorse», osserva Dennis Shea, presidente della Commissione economica e sicurezza creata dal governo Usa per monitorare i rapporti con la Cina. Le risposte che arrivano da economisti e politologi vanno in tre direzioni. Per Zhinqun Zhu, docente di Scienza della politica alla Bucknell University in Pennsylvania, l’intento di Pechino è anzitutto «isolare Taiwan» in quanto Taipei è riconosciuta solo da 23 nazioni al mondo e ben 12di queste sitrovanoinAmerica Centrale e nei Caraibi. Sebbene la competizione internazionale fra Pechino e Taipei sia diminuita dal 2008, quando a Taiwan è stato eletto presidente Ma Yung-jeou con un’agenda di collaborazione con la Cina, nell’establishment della Repubblica popolare vi sarebbe chi vuole utilizzare l’accresciuta potenza economica per chiudere la gara sui riconoscimenti diplomatici. E per mettere in ginocchio Taipei bisogna strappargli le simpatie dei Caraibi, dove in effetti gli investimenti cinesi sono arrivati spesso - per esempio alle Bahamas - a seguito della rottura dei rapporti con Taipei, che al momento sta riuscendo a difendere solo le roccaforti di St. Kitts e Nevis, St. Lucia e del Belize. Ma un veterano dei Caraibi come Ronald Sanders, ex diplomatico a AntiguaeBarbuda,spiegaalNewYorkTimes che l’obiettivo di Pechino è assai più ambizioso perché «continuando a investire a questi ritmi in nazioni così povere e indebitate, soprattutto nel settore delle infrastrutture, la Cina renderà presto gli Stati Uniti irrilevanti in questa regione». Si tratterebbe dunque di una ripetizione in grande stile della strategia tentata dal Venezuela di Hugo Chavez negli ultimi dieci anni di ricorrere agli investimenti per strappare i Caraibi all’influenza americana. Poiché le Bahamas sono ad appena 305 km dalle coste degli Stati Uniti, Pechino potrebbe essere impegnata in una «mossa strategica» tesa, come suggerì un cablogramma Usa del 2003 rivelato da Wikileaks, a prepararsi alla fine dell’era di Fidel Castro a Cuba, quando l’Avana potrebbe tornare a guardare verso Washington privando la Cina di un solido alleato. Visto dai Caraibi, lo sbarco di Pechino è accompagnano dal proliferare di aziende private create da immigrati cinesi con l’intento di rimanere in loco nel prossimo futuro importando manodopera dalla madrepatria per sviluppare ogni sorta di commerci così come per esportare beni alimentari dalla frutta allo zucchero al caffè - di cui la Repubblica popolare è destinata ad aver crescente bisogno per sfamare una popolazione con un progressivo aumento del tenore di vita. L’acquisto in agosto di tre piantagioni di canna da zucchero in Giamaica, come l’inizio dell’importazione del caffè, lasciano dunque supporre che la materia prima che abbonda nei Caraibi a cui Pechino sia più interessata possa essere il cibo.