Fabio Cavalera, Corriere della Sera 11/04/2012, 11 aprile 2012
«E IL PRINCIPE CARLO ORDINO’: ROVESCI IL DRINK SUL MIO RIVALE» —
Se il «Maestro» parlasse ne verrebbero fuori di belle. E i giornali, tabloid o non tabloid, si divertirebbero all’infinito.
Per forza. I nobili e i reali di mezzo mondo, gli oligarchi russi di Belgrave o Chelsea e gli sceicchi arabi di Kensington, i banchieri della City, gli attori e le attrici che sbarcano da Los Angeles, le star della musica: da trent’anni schiere di vip si accomodano nei privé dei suoi locali per lasciarsi servire il migliore Martini di Londra (quello che lo ha reso famoso) o i deliziosi cocktail che la «fantasia artistica» gli suggerisce o quei superalcolici da collezione che scova chissà dove e che ti cavano dalle tasche anche 5 mila sterline a bicchiere.
Tutti adorano il «Maestro» Salvatore Calabrese e tutti se ne fidano ciecamente: lui vede, ascolta e tiene la bocca cucita. «È il minimo se intendi fare strada». Ma un «segreto», visto che ora può, avrà il modo e il tempo di svelarcelo: l’incontro casuale fra Carlo e l’amante di Diana, l’ufficiale di cavalleria James Hewitt. Il principe che meditò la vendetta alcolica contro il rivale. Neppure le biografie ufficiali lo riportano. Prima assoluta.
All’ingresso del «Salvatore at Playboy» in Old Park Lane, uno dei club esclusivi della mondanità londinese, l’ultimo dei suoi business, nelle vetrinette illuminate a forma di alveari ci sono un cognac del 1788, uno del 1805, uno del 1865, un whisky del 1805 e uno del 1917. Assieme a tante altre bottiglie di annate storiche: un tesoro da un milione di sterline. La fama, Salvatore Calabrese, classe 1955, se l’è costruita a partire dal lontano 1982.
Appena arrivato e in cerca di lavoro, era il 5 dicembre, sua moglie Sue gli mostra un annuncio sull’Evening Standard.
Lui risponde ma scelgono un tipo un po’ maldestro che infatti manda a fuoco una parte del locale, il bar del Dukes Hotel in St James e allora alla fine non hanno che una scelta, proprio Salvatore.
E così comincia l’avventura: semplice barman nella saletta con pochi tavoli al Dukes Hotel, poi manager, autore di libri e imprenditore al Fifty, oggi al Playboy. Un vulcano. È l’autorità massima dei locali alla moda. E non è un caso se lo chiamano «Maestro». La lista dei clienti è il suo caveau pieno d’oro. Uno sguardo. I Windsor e le consorti o ex consorti: Carlo, Andrea, Sarah Ferguson («piuttosto esuberante»), una volta Diana. La regina? «Sì, l’ho servita eccome».
Tanto tempo fa, quando era ancora un ragazzo di bottega, lo convoca il capo del Dukes. «Salvatore arriva una donna speciale e per una donna speciale devi trovare qualcosa di speciale». «E chi è?». «La regina».
«Oh maronnna e ch’aggio a’ fa’». «Nessun bacio mi raccomando». Noi italiani siamo così. «Io vengo da Maiori, costa amalfitana, siamo particolarmente affettuosi». Però gli ordini sono ordini. Lui deve trovare «qualcosa di speciale». Ci pensa e azzarda: una bottiglia di cognac del 1926, l’anno di nascita di Elisabetta. E come finisce? «La sovrana si accomoda. Le servo un Martini, poi mi avvicino con il cognac in mano e dico: A great year for a great lady... (un grande anno per una grande signora). Qualcuno al tavolo è imbarazzato, altri lanciano occhiatacce. La regina mi sorride e mi dice di aprire. Un bel successo».
Trattamento di riguardo per Elisabetta e trattamento di riguardo per i divi del cinema, del pop e del rock. Gli habitué hanno i nomi di Robert De Niro e Daniel Craig, di Kevin Spacey e Bruce Willis o Jude Law, di Paul McCartney e Bon Jovi, di Elton John, di Madonna e Stevie Wonder che una sera per Salvatore andò al piano sussurrandogli «questo è un regalo per te, da un artista a un artista», di Mick Jagger dei Rolling Stones che assieme a Ronnie Wood si presentò chiedendo un paio di quei cognac da collezione. Salvatore non sapendo chi fosse («me lo disse poi un cameriere») stava per cacciarli: temeva che non avessero i soldi per il conto, un migliaio di sterline a testa.
«In fin dei conti il bar è un grande teatro». Come dargli torto. E, allora Maestro, qualche nuova storiellina la racconti. «Oh santo cielo e cumme facc’j’? A’ discrezione, me l’hanno insegnata che ero un ragazzino». Magari qualche parola d’italiano l’ha dimenticata ma il dialetto e l’inflessione delle sue parti restano intatti. «Ho imparato l’arte dell’ospitalità a Maiori, al Regina Palace Hotel, poi a Positano. Primo impiego a 11 anni, durante le vacanze scolastiche. Volevo fare il capitano di lungo corso ma per guai fisici sono diventato barman». La sua fortuna.
Insistiamo: un aneddoto. «E vabbuono». Roba di fine anni Ottanta, primi anni Novanta. Charles Spencer, fratello di Diana, prenota un tavolo con James Hewitt, ufficiale di cavalleria. I pettegolezzi girano: l’avvenente James ha una relazione con Diana. I due uomini arrivano al Dukes e ordinano. «Poco dopo ricevo una telefonata: è Carlo». Il principe prenota un angolo per sé e per un amico. «E mo’ che combino». Salvatore corre da Charles Spencer: «C’è Carlo». «Faccia del suo meglio, che non s’incrocino».
Pur con le migliori strategie è impossibile. E difatti, mentre si avvia al bagno, Carlo punta lo sguardo su James. Finge di non vederlo, poi ritorna e chiama Matteo, uno dei camerieri, 140 chili di muscoli su 1 metro e novanta di altezza. Ordina il suo «Red earl», il cocktail preferito. Ma aggiunge: «La prego una cortesia, passi davanti a quel signore (e indica James), inciampi, glielo rovesci addosso e cada con la sua mole sopra di lui. Lo schiacci». Il tutto seguito da una risata in perfetto stile Windsor.
Piccoli aneddoti e chissà per quante ore, per quanti giorni Salvatore potrebbe spingersi con le sue memorie. Ma è tardi. Forse un giorno scriverà un bestseller, l’enciclopedia dei gossip inglesi. L’ultima cosa che tiene a dire è che, pur frequentando questo mondo, lui non si è montato la testa. «Resto quello di Maiori. Il vero segreto è l’umiltà di ricordare da dove vieni». E così l’italiano Salvatore Calabrese prende per la gola e confessa da 30 anni i vip di Londra.
Fabio Cavalera