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 2012  aprile 11 Mercoledì calendario

Il partigiano ucciso dall’«eroe» Bentivegna – Anche dopo morto, Rosario Bentivegna continua a far parlare di sé

Il partigiano ucciso dall’«eroe» Bentivegna – Anche dopo morto, Rosario Bentivegna continua a far parlare di sé. Riguardo all’attentato di Via Rasella, e al conseguente eccidio delle Ardeatine si è dibattuto ampiamente, anche in tribunale. Il presidente Napolitano ha recentemente avuto parole di elogio per il partigiano comunista, definendolo una «figura indiscutibile». Diversi politici di centrodestra hanno però manifestato dissenso su queste celebrazioni, ricordando che fu proprio in seguito all’at - tentato causato da Bentivegna in Via Rasella, che i nazisti misero in atto la terribile rappresaglia delle Fosse Ardeatine. Non è nostra intenzione suscitare nuove polemiche su questa vicenda, tuttavia, crediamo sia utile e necessario riportare alla memoria collettiva un personaggio dimenticato che ebbe a che fare con Bentivegna. Pochi sanno infatti che il partigiano comunista uccise, sparandogli con la pistola, un altro partigiano, il 22enne sottotenente della Guardia di Finanza Giorgio Barbarisi, zio di chi scrive, che appena il giorno prima di morire aveva risparmiato a Roma una cocente umiliazione. Barbarisi è una figura su cui è sceso un velo di pesantissimo e colpevole oblìo. Egli faceva parte della resistenza monarchica e cooperava con gli Alleati; interrogato dalla Milizia, aveva taciuto dei suoi rapporti col comunista Andrea Arena e aveva nascosto ai nazifascisti diversi militari italiani sbandati e altri fuggiaschi. Il colonnello inglese Bettersbey, ammirato, lo aveva nominato suo aiutante di campo. Il 4 giugno del 1944, Barbarisi era comandante della guardia del Campidoglio e non appena giunsero i generali angloamericani, che volevano issare solamente le bandiere alleate sul pennone, il giovane ufficiale italiano si oppose con fermezza, pretendendo che sul Campidoglio venisse issato anche il Tricolore, come doveroso simbolo della partecipazione della Capitale alla liberazione. Il giorno dopo, nel primo pomeriggio, il finanziere tornava dal comando alleato verso casa sua, nei pressi di Campo de’ Fiori. Era appiedato: non avendo la patente, aveva rifiutato di usare la jeep che il colonnello Bettersbey gli aveva messo a disposizione. L’inglese, la stessa mattina, era stato a casa nostra per prendere un bagno, gelato naturalmente, dato che non vi era carbone disponibile. La jeep inglese - come ricorda mio padre - aveva il caratteristico palo verticale sul cofano, per evitare che i piloti potessero essere decapitati dai fili metallici tesi ad arte lungo le strade. Così, tornando a piedi dalla zona del Quirinale, Barbarisi decise di tagliare per Via delle Tre Cannelle (la traversa di Via IV Novembre) dove era stata appena aperta la nuova sede de L’Unità. L’uffi - ciale aveva l’uniforme di ordinanza, con le maniche della giacca tirate su, in segno di festa. Vide un manifesto che recitava «W L’Unità». Siccome, a quanto pare, un’ordinanza proibiva l’affis - sione di manifesti di contenuto politico (che potessero sovreccitare ancor più gli animi), ligio al suo dovere cominciò a strapparlo. A quel punto, la partigiana comunista Carla Capponi, allora amante di Bentivegna, vide questo soldato in divisa grigioverde. Subito corse dal suo uomo per avvertirlo: «Corri, che c’è un fascista! ». Bentivegna si avvicinò così al finanziere e gli sparò al cuore, a bruciapelo. Il giovane ufficiale cadde con l’aorta recisa, con gli occhi azzurri spalancati verso il cielo. In quel momento, sua madre Dalma Cionci, a casa, faceva inavvertitamente cadere un fazzoletto. «Ah quanto male mi ha fatto il mondo!» disse, senza spiegarsi, lì per lì, il perché. Era stata proprio sua madre a volere che il giovane Giorgio intraprendesse la carriera nella Guardia di Finanza, invece che in Artiglieria, come da tradizione di famiglia. Dalma Cionci ebbe la vita letteralmente spezzata dalla morte del figlio. Il processo fu sottratto alla giurisdizione italiana e si aprì il 14 luglio. Il pubblico ministero sostenne la colpevolezza di Bentivegna e numerosi testimoni esclusero che Barbarisi avesse estratto la pistola, che fra l’altro era stata trafugata dal Bentivegna subito dopo l’uccisione. La sentenza parlò di «doloroso incidente» e diede a Bentivegna 18 mesi per eccesso di legittima difesa: la ricostruzione dei fatti sosteneva che il finanziere avesse estratto la pistola e avesse persino fatto fuoco, ma né bossoli né proiettili da lui sparati furono mai trovati. L’imputato Bentivegna fu assolto in appello e tornò libero. Visse onorato come eroe della resistenza mentre Carla Capponi divenne addirittura parlamentare del Pci. Giorgio Barbarisi fu decorato alla memoria direttamente dal Generale Clark (il comandante della V Armata americana, che entrò a Roma) in Piazza Venezia, davanti a un reparto militare americano schierato. Al finanziere fu conferita la Bronze Star Medal, una decorazione delle Forze armate statunitensi che premia atti di particolare coraggio in azioni speciali. Considerato che il giovane studiava legge presso l’Accademia della Guardia di Finanza, gli fu anche conferita la laurea honoris causa in Giurisprudenza alla memoria e il suo nome fu scolpito sul frontespizio della caserma della GdF di Bologna. Ma ciò che più resta oggi è il silenzio assordante sceso sul suo storico gesto e sul suo martirio: non una strada, non il vialetto di un parco ricorda, a Roma, il combattente della libertà che fece sventolare il Tricolore su Roma il giorno della liberazione, e che, invece di morire per mano tedesca, si era lasciato ammazzare, sebbene per un tragico errore, da un partigiano comunista. È di pochi giorni fa la notizia secondo cui si vorrebbe intitolare una strada a Rosario Bentivegna. Il sottoscritto, in qualità di discendente di Giorgio Barbarisi ha scritto due giorni fa all’assessore alla Cultura di Roma, Dino Gasperini, chiedendo che, «qualora si realizzasse l’idea molto discutibile di intitolare a Bentivegna una strada, sarebbe quantomeno doveroso intitolarne una a Giorgio Barbarisi, un partigiano la cui figura è davvero immacolata e splendente». L’idea è stata raccolta dal presidente della commissione Sicurezza, Fabrizio Santori, che ha promesso di farsi promotore di una mozione per intitolare una via al finanziere.