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 2012  aprile 10 Martedì calendario

Il diktat delle star inglesi: «Niente israeliani a teatro» - La cultura che eleva gli uomi­ni, affratella i popoli e scardina i pregiudizi

Il diktat delle star inglesi: «Niente israeliani a teatro» - La cultura che eleva gli uomi­ni, affratella i popoli e scardina i pregiudizi. E’ la cultura che Lon­dra rischia seriamente di mettere all’indice,come nei tempi e nei re­gimi più bui, con l’iniziativa plate­ale e faziosa di diversi artisti più o meno noti, tra i quali Emma Thompson, Mike Leigh e Mark Ry­lance. Peccato che a finirci in mez­zo sia Shakespeare, il genio uni­versale al di sopra di qualunque fanatismo. Proprio al grandissi­mo d’Inghilterra è dedicata una bella sezione nelle Olimpiadi del­la cultura, in programma nel Re­gno Unito: trentasette compa­g­nie teatrali di tutto il mondo chia­mate a portare sul palcoscenico del Globe, nella loro lingua, un’opera del sommo.Tra i gruppi invitati l’«Habima», il teatro na­zionale israeliano, con la produ­zione in ebraico del «Mercante di Venezia». «Habima», ovvero «Il Teatro», è una compagnia che ha più di un secolo di storia alle spal­le: l’esperienza nasce già nella Russia zarista d’inizio Novecen­to, prosegue a New York e alla fine degli anni ’20 trova a Tel Aviv la sua sede definitiva. La sua missio­ne è mantenere viva la tradizione, la cultura e la lingua ebraica, ma non solo. Eppure è proprio questo invito a scatenare una furiosa reazione in una certa parte del mondo arti­stico inglese, L’«Habima» non è gradito. In una lettera al «Guar­dian », firmata da una trentina fra attori, registi, sceneggiatori, si leg­ge: «Apprendiamo con costerna­zione e rammarico l’invito rivolto al teatro nazionale israeliano, Ha­bima. Habima è vergognosamen­te coinvolto con gli insediamenti illegali israeliani nei Territori Oc­cupati. Il Teatro Globe, con il suo invito, si associa alle politiche di esclusione praticate dallo stato israeliano e condivise dalla com­pagnia del suo teatro nazionale. Chiediamo perciò che il Globe riti­­ri l’invito, così da non rendere il fe­stival complice della violazione dei diritti umani e della colonizza­zione illegale delle terre occupa­te ». La pesante chiusura, che sot­trae brutalmente all’arte il suo in­sostituibile ruolo ideale, si sposa in questi giorni con l’iniziativa di Gunter Grass, accusato da Israele di filo-nazismo mascherato, per la pubblicazione del contestato poema «Le cose che vanno det­te », scritto sferzante sulla politica israeliana verso l’Iran. Non a ca­so, dopo averlo definito «persona non gradita», Israele ha ricordato subito il passato giovanile di mili­tare SS dello stesso scrittore, per tanti anni tenuto debitamente na­scosto. L’eterno tema dell’antisemiti­smo, che riaffiora ciclicamente nei contesti aridi e degradati del­le bande giovanili, del tifo negli stadi, del fanatismo settario, tor­na prepotentemente anche al centro del dibattito culturale. La crociata contro «Habima» ripro­pone il solito gioco degli equivoci e delle incomprensioni: gli artisti inglesi accusano Israele per il suo atteggiamento contro i palestine­si, accomunando la compagnia teatrale alle scelte politiche del go­verno. Israele, da parte sua, si sen­te costantemente al centro di un pregiudizio insuperabile. E nem­meno stavolta, nemmeno per Shakespeare, sembra di intrave­dere la possibilità che almeno l’ar­te sia lasciata fuori, o al di sopra, della feroce contesa. Quanto meno, gli organizzato­ri del Festival fanno sapere che la partecipazione di «Habima» non viene «in alcun modo messa in di­scussione ».Sembra qualcosa.An­che nei momenti più cupi resta sempre accesa una timida luce.E’ la ragione.