Giorgio Ponziano, ItaliaOggi 11/4/2012, 11 aprile 2012
La vera zavorra è il carico fiscale – Basta con la resa dei conti sull’articolo 18. A contestare il tormentone che coinvolge partiti, sindacati e Confindustria è un imprenditore bolognese, ex-vicepresidente della Confindustria locale
La vera zavorra è il carico fiscale – Basta con la resa dei conti sull’articolo 18. A contestare il tormentone che coinvolge partiti, sindacati e Confindustria è un imprenditore bolognese, ex-vicepresidente della Confindustria locale. La sua è una voce fuori dal coro: se le aziende faticano, se gli investimenti stranieri latitano, se il mercato del lavoro è in crisi, è subdolo fare risalire le colpe all’articolo 18. Quindi: affrontiamo i problemi veri dell’economia e smettiamola col feticcio. È un appello lanciato prima di tutto al nuovo corso di Confindustria quello di Gianluigi Baccolini, proprietario e amministratore delegato di Remografica, media azienda bolognese con una quarantina di dipendenti che si occupa di progetti grafici, stampa, litografie e volumi di vario genere. Egli non ha dubbi: smettiamola coi falsi problemi e concentriamoci su quelli veri. Lo ascolterà il neo-presidente Giorgio Squinzi? Parole chiare, quelle di Baccolini: «La modifica dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori è un puro pretesto. A me va bene così com’è. Non è certo il suo cambiamento che risolverà i problemi delle imprese in crisi». Lui ha scelto la strada del dialogo col sindacato e non se ne pente. Ha introdotto la sanità integrativa per i dipendenti, in modo che siano più tutelati rispetto alle prestazioni di base offerte dal servizio pubblico nazionale, e ha messo a bilancio borse di studio per i figli degli occupati. «Se i dipendenti sono sereni - spiega Baccolini - anche l’azienda ne guadagna». Perciò condanna la contrapposizione tra imprese e lavoratori: «Tutti debbono collaborare ad aumentare la capacità produttiva delle aziende, riducendone i costi e senza intaccare il potere d’acquisto dei dipendenti. Poi va aumentata la capacità d’esportazione e qui ci vorrebbero contributi pubblici. Sarebbero soldi della collettività spesi bene perché risulterebbero un volano per rimettere in moto l’economia e tornare a crescere. Ecco mi aspetterei più attenzione e più discussioni sulla riorganizzazione del lavoro, sugli alti livelli degli oneri sociali, sull’aiuto all’export, cioè su quello di cui le imprese hanno davvero bisogno anziché l’inutile, attuale diatriba sull’articolo 18, che più volte è stata sul punto di mandare all’aria il governo e che, in realtà, è aria fritta». Baccolini non è nuovo ad andare controcorrente. Quando era vice-presidente di Confindustria fu dimissionato per avere criticato l’associazione, che voleva più vicino agli imprenditori e meno burocratizzata. Adesso i fatti, cioè il programma di Squinzi, sembra dargli ragione, tutti o quasi si schierano contro la Confindustria-elefante. Ma quando a sostenerlo era un medio imprenditore emiliano la risposta fu il siluramento. Motivo ufficiale: avere invitato a cena un gruppo di colleghi per tramare contro l’establishment confindustriale. Poiché le critiche arrivarono sui giornali, egli dovette fare le valigie. Adesso torna alla carica, anche se da semplice iscritto, ma sul dente dolente dell’articolo 18. «Ogni volta che leggo i giornali, confesso, mi preoccupano il futuro dell’impresa, la debolezza di Confindustria nazionale, la forza di Marchionne, la debolezza del sindacato - dice. - È evidente che il mondo imprenditoriale sta cambiando poiché la grande impresa, intesa grande come dimensione, non esiste più. Oggi è la testa che fa grande l’impresa, non la dimensione». Aggiunge che vorrebbe parlare di futuro e non del passato: «Se l’imprenditore darà valore etico alla propria impresa allora vincerà il prodotto. L’ imprenditore deve ricordare che il prodotto viene sempre prima del business finanziario. Efficienza significa produttività e miglior prezzo. Miglior prezzo significa competitività e consumi. Tutto il resto sono bugie».Insomma, su questo articolo 18 mettiamoci una pietra sopra, lasciamolo al suo destino, non strappiamoci le vesti e andiamo avanti superando la crisi. «Perché non si parla - conclude - del carico fiscale che schianta gli stipendi reali dei lavoratori e gonfia i costi lordi ? Guardo le buste paga dei miei dipendenti: se uno prende al netto 100, significa che a me costa 220. Voglio che i ragazzi che lavorano per me vadano a casa la sera senza l’assillo della rata del mutuo che non riescono a pagare e invece siamo tutti impegnati a far finta di credere che il nodo da sciogliere sia l’articolo 18». Alla Confindustria storcono il naso e non si esprimono, forse perché sono in mezzo al guado tra Emma Marcegaglia e Giorgio Squinzi. Gongola invece il sindacato. «Per fortuna ci sono imprese in grado di parlare in maniera propria sull’articolo 18 - dice (Slc-Cgil) - la norma contro i licenziamenti discriminatori non ha nulla a che vedere con lo sviluppo». Chissà se a Elsa Fornero fischiano le orecchie.