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 2012  aprile 10 Martedì calendario

Adesso persino il Wsj non ama più il nostro Caro Leader – Quel che è peggio, il WSJ accusa Nonno Mario di trascinare l’Italia verso un destino greco, prima di recessione, poi di miseria

Adesso persino il Wsj non ama più il nostro Caro Leader – Quel che è peggio, il WSJ accusa Nonno Mario di trascinare l’Italia verso un destino greco, prima di recessione, poi di miseria. Ma come? Io — proprio io trascinerei l’Italia verso un destino greco, cioè praticamente giù negl’inferi, come Proserpina nel mito! protesta (è quasi incredulo) il presidente del consiglio. Ma se io sono l’antidoto! Io sono Teseo e il Destino Greco è il Minotauro! Difendetemi, italiani, o vi trascino davvero nell’Averno, dove vagano le ombre dei popoli trapassati! Mancatemi di rispetto, o politici, o gazzettieri, ed è lì che vi conduco, giù nello sprofondo, come Angela Merkel, quando ne parliamo in privata sede, dice che vi meritate, né io so darle torto. * * * Attaccato dal Wall Street Journal per il «cedimento» del governo tecnico in tema d’Art. 18, e più in generale di riforma del lavoro, quando fino al giorno prima veniva esaltato sulle stesse pagine come l’erede delle politiche thatcheriane, il Caro Leader si dichiara doppiamente offeso. Prima di tutto perché non si sente affatto lusingato dal paragone con la Lady di Ferro, e poi perché nega d’essersi calato con i sindacati gli elegantissimi calzoni, secondo l’accusa del WSJ (e di Emma Marcegaglia, presidente uscente di Confindustria). * * * Così elegante e filiforme, un bell’uomo anche se ormai (diciamolo) d’una certa età, il sorriso ironico, oggi un passo avanti, domani due indietro, il Caro Leader piaceva agli snob, che adesso, sempre per snobismo, ne diffidano un po’, influenzati in parte da Confindustria, in parte dai sindacati, in parte dalla stampa straniera, che ci ascolta mentre noi — invece di tacere, pur sapendo che anche i muri hanno orecchie — parliamo, parliamo, parliamo. * * * Se si lamenta lui, il Caro Leader, della cattiva stampa, che cosa dovrebbe dire il Senatùr, povero nano? Dato per morto da chi gli vuol bene, pensate che cosa non gli augura (e a chi non lo paragona) chi gli vuol male. * * * Nonno Mario si lamenta, e in fondo è giusto, visto che il WSJ prima gli dà del Loden di Ferro e poi lo denuncia quale nemico del libero mercato, anzi dei «mercati», proprio lui, nientemeno. Ma allora che cosa dovrebbe dire il Trota, che anche prima dello scandalo dei rimborsi elettorali (quando ancora non si parlava d’automobili di lusso né d’appartamenti né di corsi di laurea per finta che però si pagano con soldi veri) veniva trattato, diciamo così, a trote in faccia? E Rosy Mauro, capogruppo padano alla camera, presidentessa del sindacato leghista e vicepresidentessa della camera, esponente di rango del «cerchio magico»? E «il suo gigolò», come ormai lo chiamano sia le carte giudiziarie che il gossip dei giornali, canterino da balera, sosia (ma con i baffi) d’Elvis Presley, poliziotto in aspettativa, lei 52 calendari dietro le spalle, lui trentaseienne? E la Signora Bossi, con la sua bibliotechina sociale di libri di magia nera, un po’ Elisabelita Perón e un po’ Maga Magò? * * * «La sua crudeltà, on l’a déjà dit, non era che platonica. Lenin non tirava dalle sue idee che delle conseguenze felici e, come diceva egli stesso, indolori. Come tutti i piccolo-borghesi fanatici, razza redoutable et actuelle, egli spingeva il suo fanatismo un tal punto che aveva il più profondo rispetto per le proprie idee, e spingeva a un tal grado il rispetto per le proprie idee che egli le credeva bienfaisantes. Vi era del filantropo in quel mostro allo stato platonico» (Curzio Malaparte, Lenin buonanima, Vallecchi 1962). * * * «Macché “lepenismi” o xenofobie come in Francia, da noi. Ma quando mai. Tradizionalmente — lo si è sempre studiato a scuola, ogni nostra memoria storica lo registra da secoli — piuttosto il contrario. Continuamente constatiamo che larghe masse di veri italiani regolarmente trovano così intollerabile la convivenza coi compatrioti da reclamare e provocare ad ogni corso un’invasione di stranieri possibilmente tremendi per far le peggiori vessazioni all’aborrito vicino di casa guelfo, ghibellino, fascista, comunista, settentrionale, meridionale, tifoso rivale. (...) Ormai indisponibili le milizie e truppe d’occupazione e vendetta (e rimpianto da molti come una chance perduta il mancato arrivo specialmente in Emilia dell’Armata rossa) benvenuti i gangster e killer sfruttatori» (Alberto Arbasino, Paesaggi italiani con zombi, Adelphi 1998). * * * «Morì a Ravenna, ingiustificato e solo come qualsiasi altro uomo. In un sogno, Dio gli rivelò il segreto scopo della sua vita e della sua fatica; Dante, meravigliato, seppe finalmente chi era e cosa era e benedisse le sue amarezze. La tradizione narra che al risveglio sentì d’avere ricevuto e perduto una cosa infinita, qualcosa che non avrebbe potuto recuperare, e nemmeno intravedere, perché la macchina del mondo è troppo complessa per la semplicità degli uomini» (Jorge Luis Borges, «Inferno», I, 32, in J.L. Borges, L’artefice, Adelphi 1999).