Maria Teresa Veneziani, Corriere della Sera 10/04/2012, 10 aprile 2012
L’INGANNO DELLE TAGLIE: ABITI PIU’ LARGHI RISPETTO A TRENT’ANNI FA
La magrezza è il nuovo valore da vendere, insieme a giovinezza e bellezza. E nel nome del dio commercio si può anche barare un po’ sulla taglia del vestito. Perché se la donna si sente più magra, l’acquisto è pressoché assicurato. Ma ora a svelare l’arcano ci pensa l’Economist: si è impegnato a condurre una ricerca per dimostrare come una donna che pesa più o meno gli stessi chili di 20 o 30 anni fa oggi indossi abiti di taglie inferiori. La spiegazione è l’«inflazione» delle taglie. «Le banche centrali non possono controllare tutti i tipi di inflazione», sottolinea ironico il settimanale londinese. In pratica, i vestiti hanno la stessa taglia ma negli anni si sono via via allargati. Lo studio parla chiaro: un paio di pantaloni size 14 inglese, una 48 italiana, dagli anni 70 a oggi è cresciuto di ben 10 centimetri in vita e quasi 8 sui fianchi. La tabella entra nel dettaglio: una Large (48) odierna veste una XL (52) di ieri. Secondo i britannici la moda ha dovuto adeguarsi alla nuova morfologia del corpo che ha visto la vita delle donne allargarsi progressivamente. Un esempio? I 60 centimetri simbolo di bellezza di Marilyn e le altre icone di bellezza oggi sarebbero arrivati a 66-71 centimetri. A fronte del nuovo corpo «a tronco», per effetto di cibo, ormoni e stile di vita, alle aziende di moda non sarebbe rimasto che rimodellare i loro vestiti, anche spinte dalla convinzione che fa sentire meglio ogni donna l’idea di poter infilare l’abito della giovinezza.
«Certo, è un fatto psicologico: una taglia 48 per una donna è una resa, te la indica a voce bassa. Una debolezza femminile adorabile», interviene lo stilista Ermanno Scervino per nulla sorpreso dalla notizia della riduzione delle taglie. «Io lo faccio da sempre. Scalo di una o al limite di mezza, soprattutto dalla 44 alla 42 e dalla 46 alla 44, le taglie centrali in Italia. È un gesto di felicità nei confronti delle donne. L’ho imparato dalle mie amiche, altrimenti le mandi in analisi». Lo stilista fiorentino conferma anche che nell’arco di 20 anni è cambiata la silhouette femminile: «Tocca a noi lavorare sul punto vita, rimasto punto d’attrazione fondamentale».
Il fenomeno della svalutazione delle taglie coinvolge anche l’America e non riguarda soltanto il sesso femminile. Gli studi in Gran Bretagna e negli Stati Uniti hanno rilevato marchi di pantaloni da uomo con l’etichetta «36» (91.4 cm), in realtà di 12,7 centimetri più grandi.
L’inganno delle taglie nutre la vanità del cliente ma crea un pericolo — mette in guardia la ricerca inglese —: «per i 3/5 degli adulti anglosassoni in sovrappeso le dimensioni (e l’apparenza) ha una grande rilevanza. C’è il pericolo che sottovalutino i rischi per la salute e non siano incentivati a mettersi a dieta».
Il nutrizionista Marcello Ticca concorda sull’effetto psicologico della taglia «svalutata». «Per quanto mi riguarda, però, non ho osservato alcuna mutazione antropologica — spiega —. Continuo a vedere adolescenti esili o ben piazzati secondo la struttura mediterranea. Per capire se si è o no in sovrappeso occorre esaminare la composizione corporea confrontando massa grassa e magra. Non basta un vestito».
Maria Teresa Veneziani