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 2012  aprile 10 Martedì calendario

L’AUTISTA-BANCOMAT E I SEGRETI DEL TROTA

«L’autista del Trota confessa: "Lo pasturavo io"», ammicca un twitterista nel gergo dei pescatori. Sintesi feroce, ma ci sta.
Manco il tempo che l’ormai ex aspirante «delfino» di Umberto Bossi, sotto la tempesta, annunciasse l’addio al seggio regionale e gli cascavano addosso altre tegole. Le testimonianze imbarazzanti di due ex autisti.
Uno di questi racconta a Oggi (corredando le rivelazioni con dei video) che forniva a Renzo, per le spese personali, soldi della Lega. Cioè, visti i rimborsi elettorali, dei cittadini italiani: «Praticamente ero il suo Bancomat».
Sarà dura, adesso, per il figlio prediletto dell’anziano e ammaccato leader leghista. In questi anni, par di capire, si era abituato bene. Prendeva, come consigliere della Regione Lombardia dove era stato eletto due anni fa nella scia di una campagna elettorale in cui il cognome che portava era un marchio che voleva dire fiducia («se lo candida il papà...») 150.660 euro netti l’anno. Vale a dire quanto il governatore del Maine Paul LePage (52.801 lordi), quello del Colorado John Hickenlooper (67.888 lordi) e quello dell’Arkansas Mike Beebe (65.890 lordi) messi insieme. Il triplo abbondante di quanto guadagna (66.000 lordi) un deputato all’assemblea della California, Stato che se fosse indipendente avrebbe il settimo Pil mondiale.
Sarà dura senza quella spettacolare prebenda e senza tutto il contorno al quale il principino della Real Casa Senaturia era stato abituato. Pranzi, cene, inviti, ragazze vistose, auto blu, chauffeur. Lo si capisce guardando la naturalezza con cui, nei video girati con il telefonino da quello che è stato per alcuni mesi il suo autista, Alessandro Marmello, video messi online da Oggi che questa mattina pubblica l’intervista esclusiva, afferra le banconote da 50 euro come fossero il resto di un caffè alla cassa di un bar.
Il racconto dell’autista, anticipato dal settimanale, getta sale sulle ferite sanguinanti di tanti leghisti duri e puri che in questi anni avevano digerito di tutto. La prima mazzetta da 200 milioni di Carlo Sama al tesoriere-idraulico Alessandro Patelli, imbarazzante per chi come il Senatur aveva invitato Antonio Di Pietro e il pool Mani Pulite ad andare «avanti a tutta manetta». Poi le storiacce dell’investimento in un villaggio turistico croato. Poi il crac della «banca padana», quella Credieuronord sulla quale gli ispettori della Banca d’Italia stilarono un rapporto durissimo («incoerenze nella politica creditizia nonché labilità dei crediti»; «ridotta cultura dei controlli»; «scarsa cura prestata alle evidenze sui grandi rischi»; «ripetuti sconfinamenti autorizzati dal Capo dell’esecutivo» e «acriticamente ratificati dall’organo collegiale») ricordando che buona parte del capitale era evaporato per finanziare la società (fallita) Bingo.Net che aveva tra i soci leghisti di primo piano come Enrico Cavaliere (già presidente del consiglio del Veneto) e Maurizio Balocchi, il tesoriere del Carroccio, sottosegretario e addirittura (incredibile, ma vero) membro del consiglio di amministrazione della banca. Poi i ministri che prendevano come consulenti per le carceri dei grossisti di pesce congelato. Poi la notizia di tanti leghisti capaci di accumulare poltrone su poltrone, di assumere reciprocamente l’uno la moglie dell’altro, di usare l’auto blu con tanta strafottenza da finire sotto inchiesta...
Tutto, avevano digerito i militanti legati al sogno della Padania, del prato di Pontida (dove una mano ignota ha cambiato in questi giorni la scritta «padroni in casa nostra» con «ladroni in casa nostra») del mito celtico, del sole delle Alpi, del rito dell’ampolla. Sempre convinti che certo, nessuno è perfetto, ma Bossi! D’accordo, aveva fatto assumere da Francesco Speroni e Matteo Salvini, come portaborse all’Europarlamento, suo fratello Franco e suo figlio Riccardo, fatti rientrare solo dopo la denuncia del Corriere, ma come si poteva mettere in discussione Bossi? Ed ecco quel sale sulle ferite gettato oggi dall’autista: «Non voglio continuare a passare soldi al figlio di Umberto Bossi in questo modo: è denaro contante che ritiro dalle casse della Lega a mio nome, sotto la mia responsabilità. Lui incassa e non fa una piega, se lo mette in tasca come fosse la cosa più naturale del mondo».
Tutto filmato col cellulare: «Poteva essere la farmacia, ristoranti, la benzina per la sua auto, spese varie, cose così. Insomma, quando avevo finito la scorta di denaro andavo in cassa, firmavo e ritiravo. Mi è capitato anche di dover fare il pieno di benzina pure per la sua auto privata. Il pieno in quei casi dovevo farlo con i soldi che prelevavo in cassa per le spese della vettura di servizio. La situazione stava diventando preoccupante e ho cominciato a chiedermi se davvero potevo usare il denaro della Lega per le spese personali di Renzo Bossi».
«L’ho fatto presente a Belsito, spiegandogli che avevo pensato addirittura di dimettermi», continua Marmello, «Lui non mi ha dato nessuna spiegazione chiara. Io stavo prelevando soldi che ufficialmente erano destinati alle spese per l’auto di servizio ed eventualmente per le mie esigenze di autista e invece mi trovavo a passarne una parte a lui, per fare fronte anche ai suoi bisogni personali. Erano spese testimoniate da scontrini che spesso non riguardavano il mio lavoro. Non so se lui avesse diritto a quei soldi: tanti o pochi che fossero, perché dovevo ritirarli io? Ho cominciato ad avere paura di poter essere coinvolto in conti e in faccende che non mi riguardavano, addirittura di sperpero di denaro pubblico, dal momento che i soldi che prelevavo erano quelli che ritengo fossero ufficialmente destinati al partito per fare politica. Soldi pubblici».
Poco prima che il web fosse allagato dai commenti più salaci, Renzo aveva annunciato le dimissioni da consigliere regionale. Capiamoci, non aveva altra scelta se non quella di togliersi di dosso quanto più possibile i riflettori. Per allentare le pressioni su di sé, sul padre, sulla madre, sui fratelli con i quali, nei giorni del delirio d’amore leghista, aveva condiviso perfino lo stupefacente trionfo nella «classifica dei campioni dello sport più amati» pubblicata dall’adorante Padania dove alle spalle di Alex del Piero, Roberto Baggio o Fausto Coppi c’erano loro: «Bossi Sirio Eridanio voti 591; Bossi Renzo voti 588; Bossi Roberto Libertà voti 583». Davanti a mostri sacri come il libero del Milan Franco Baresi (553), il re delle volate Mario Cipollini (492) e addirittura Primo Carnera (437) Gustavo Thoeni, staccato a 433 miserabili punti.
L’annuncio: «In questo momento di difficoltà, senza che nessuno me l’abbia chiesto faccio un passo indietro e mi dimetto da consigliere regionale». Oddio, non è che fosse proprio vero se i leghisti di Brescia avevano fatto sapere già la loro intenzione di chiedere l’espulsione. Ma gli va dato atto che altri, al suo posto, non dovendo limitare i danni di papà, si sarebbero imbullonati al seggio per almeno altri sei mesi, così da maturare il diritto, fra una quarantina d’anni, al vitalizio: «Sono sereno, so cosa ho fatto e soprattutto cosa non ho fatto. In consiglio regionale ci sono stati avvenimenti che hanno visto indagate alcune persone. Io non sono indagato, ma credo sia giusto e opportuno fare un passo indietro per il movimento».
Parole studiate una per una, come il giorno in cui diede la sua prima intervista «importante» alle «Invasioni barbariche» di Daria Bignardi e si preparò per bene con l’autista-consigliere Oscar Enea Morando: «Davanti al pc studia qualche frase saggia qua e là per poterla far sua in caso di necessità, vediamo insieme una serie di puntate precedenti per capire la strategia della conduttrice, cerchiamo di capire quali sono le domande di routine per poter preparare qualche risposta da catapultare negli schemi degli italiani, prepariamo un bigliettino con i tempi della scuola prima di un’importante interrogazione...». «Tre valori in cui credi», gli chiese la Bignardi. E lui: «Beh, l’onestà sicuramente... Poi... No, perché l’onestà credo sia uno dei valori più importanti». «Poi?». «Non saprei...». «Sono valori tuoi...». «L’onestà prima di tutto, essere onesti, oggi, in questo mondo...». Si sentiva così sicuro, in quei giorni, il giovane erede del Capo, da spiegare che no, non gli pesava il soprannome di Trota: «Mi sono fatto anche le magliette».
Alla giornalista di Vanity Fair, per la sua prima vera intervista, diede appuntamento sul lago d’Iseo, dove arrivò con un’ora di ritardo al volante di una fiammante Audi A3. Spiegò che aveva un solo mito, suo padre: «È sempre stato il mio modello. Quando lo vedevi passare a Gemonio, dietro c’ero sempre io, con le mani in tasca come lui. A dieci anni ero già sotto il palco dei suoi comizi ad ascoltarlo». Quando gli fu chiesto se avesse mai provato delle droghe, rispose: «Nella vita penso si debba provare tutto tranne due cose: i culattoni e la droga». Spiegò quindi che il Mezzogiorno doveva puntare sul turismo anche se «sullo stato degli alberghi, giù, c’è tanto da fare». «Lei c’è mai stato?». «Mai sceso a sud di Roma».
Bocciato a ripetizione agli esami di maturità, disse che si abbeverava alla cultura paterna: «Amo la storia, come mio padre. Quando giriamo a Roma chiede continuamente: "Quella che chiesa è?". Sa sempre tutto, impressionante». Lo prendevano tutti in giro, per quelle bocciature. Perfino il Giornale del Cavaliere, amico di papà, si spingeva a pubblicare le battute più carogna del Web: «Il Trota non usa la posta elettronica perché ha paura di prendere la scossa». «Il Trota quando ha visto un quadro elettrico ha chiesto: chi è il pittore?». Ma lui, tranquillo. Sentiva dalla sua l’alone di quel «cerchio magico» familiare che oggi il «vero» sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini dice che «va distrutto in tutti i suoi elementi» con «una pulizia etnica, radicale, perché lì c’era un muro costruito attorno a loro che non permetteva a nessuno di mettere il naso dentro per vedere ciò che combinavano».
Un alone di amicizia, solidarietà, piaggeria. Che toccò vette ineguagliabili il giorno in cui sembrò che il «Caro Leader» avesse deciso di passare il testimone a lui, il Trota. «Io e Maroni siamo vecchi, siamo della Lega della prima ora. Noi dobbiamo lavorare per l’oggi e poi affidare il movimento a qualcuno che si sta formando», si inchinò Roberto Calderoli spiegando che quel qualcuno poteva essere proprio Renzo: «È la fotocopia del papà. Se lo facciamo crescere, avremo un ottimo cavallo da corsa».
Roberto Castelli, deciso a non essere meno flessuoso nell’inchino, sviolinò: «La Lega prima che un partito è un modo di essere, quindi è naturale che un padre voglia trasmettere i propri valori ai figli. Conosco bene i figli di Bossi, quello più grande è un ragazzo eccezionale...». Il titolo di Libero fu da collezione: «I fedelissimi incoronano il principe: giusto così, buon sangue non mente».
Il guaio è che la Real Casa Senaturia, a quel principino adorato dai cultori delle gaffes (svetta sul web un video in cui si felicita per la scelta australiana di aprire un «training center» nel Varesotto per ospitare gli atleti impegnati in Europa: «Ci sarà un boom di collegamenti quindi sarà possibile trovare tanti canadesi in giro per Varese») ha riservato via via attenzioni crescenti.
Fino al punto di prendere degli autisti-body guard apposta per lui. Come il già citato Marmello o Oscar Enea Morando, assunto il 5 agosto 2010 dal tesoriere Francesco Belsito con un contratto di 3.859 euro lorde al mese per 14 mensilità e il benefit di una casa arredata e presa in affitto dalla Lega (altri 9.600 euro l’anno: «Ma che casa! Un appartamento in una villa fantastica chiamata villa Paradiso... Il nome dice tutto!») nei dintorni di Gemonio.
L’uomo, dopo aver iniziato come autista del Senatur, racconta in un memoriale traboccante di punti esclamativi del quale ha già in mente la copertina (titolo: «Il giocattolo del Trota») di essere stato dirottato sul rampollo per una scelta diretta di Rosi Mauro e della moglie del Senatur Manuela Marrone. Indimenticabile il saluto al neoassunto dell’ardente vicepresidentessa del Senato al centro di mille polemiche in questi giorni per le spesucce messe a carico del partito e di Palazzo Madama in favore del suo diletto e impomatato cantante-segretario-boy-friend.
Disse: «Benvenuto nel nostro mondo».
Gian Antonio Stella