Alexander Smoltczyk e Bernhard Zan, Il Fatto Quotidiano 10/4/2012, 10 aprile 2012
IL PICCOLO GIGANTE DEL GOLFO
Grazie alla sua ricchezza, alle capacità diplomatiche e all’emittente Al Jazeera, l’Emiro del Qatar, Hamad Al Thani, è divenuto uno dei più influenti politici del Medio Oriente. Restano però oscuri i suoi obiettivi.
Nel salone delle feste del Ritz-Carlton, circondato dai dignitari dei Paesi vicini e dai delegati della Lega Araba, Al Thani è nel suo elemento. Fa praticamente le fusa quando il presidente palestinese lo loda definendolo l’uomo che “illumina le moschee”, ovvero colui che garantisce energia elettrica e ispirazione ai fedeli. L’Emiro adora questi eventi, quali la “Conferenza Internazionale per la Difesa di Gerusalemme” tenuta alla fine di febbraio o il vertice di gennaio per favorire la riconciliazione tra le fazioni palestinesi. Eventi che terminano con una qualche “dichiarazione di Doha” garantendo, una volta di più, visibilità internazionale al nome della capitale del Qatar. “Tornando al petrolio ...”, dice Al Thani e continua ricordando che il suo emirato fornisce petrolio, denaro e cibo a Gaza sui cui grava l’embargo israeliano. Dalla platea, dove si trovano rappresentanti di Cisgiordania, Yemen, Marocco e dalla nuova Libia, si levano mormorii d’approvazione.
IL QATAR è una minuscola penisola desertica nel Golfo Persico. Nel 1949 aveva una popolazione di circa 16.000 persone di cui solo 630 sapevano leggere e scrivere. Oggi è il Paese più ricco del mondo con un reddito annuo pro capite di 73.000 euro. Nel 2022 ospiterà i Mondiali di calcio e per la costruzione di stadi, trasporti e infrastrutture sono stati stanziati 130 miliardi di euro.
Il Qatar, grazie a lui, è divenuto il perno intorno al quale ruota la diplomazia del Medio Oriente. È stato Al Thani a convincere la Lega Araba ad approvare le risoluzioni contro Gheddafi contribuendo al successo della missione Nato. Ed è stato il primo ad aiutare i ribelli siriani e a dirsi favorevole a un intervento militare per rovesciare Assad.
I successi diplomatici del Qatar non si contano più: la sua diplomazia ha svolto un ruolo chiave in Sudan nel conflitto tra governo e ribelli del Darfur, nella disputa tra l’Eritrea e l’Etiopia e tra gli Usa e i Taliban Il Qatar è ormai una sorta di organizzazione internazionale in miniatura tanto da dare rifugio un pò a tutti: oppositori laici dei militanti somali di Al-Shabab, generali iracheni deposti ed esponenti della Fratellanza musulmana. È stato l’emiro a convincere Hamas a spostare da Damasco a Doha il suo quartier generale. Ben presto anche i Taliban apriranno un ufficio nella città dove si respira un’aria che ricorda quella del film “Casablanca”. Il piccolo Qatar ha le più grandi riserve di gas naturale del mondo , ma è stretto tra due vicini ingombranti e con i quali le relazioni non sono delle migliori: Arabia Saudita e Iran. Per anni i sauditi si sono rifiutati di firmare un trattato che definisse una volta per tutte i confini con il Qatar. Forse questa è stata la ragione per cui il piccolo emirato si è visto costretto a cercare altre alleanze e a moltiplicare le sue ambizioni diplomatiche. Ha convinto Washington a trasferire in Qatar una delle più grandi base aeree Usa e, al tempo stesso, ha invitato il presidente dell’Iran, Ahmadinejad, a partecipare ai vertici arabi a Doha. Alla capitale del Qatar è legato il “Doha Round”, ultima fase dei negoziati commerciali svolti-si sotto l’egida del Wto. Non bastasse, a Doha sono intervenuti in occasione di conferenze e convegni esponenti di spicco di Israele quali l’ex ministro degli Esteri Tzipi Livni e l’attuale presidente Shimon Peres.
“L’Emiro del Qatar è l’ultimo baluardo della Realpolitik”, dice Ibrahim Sharqieh del Brookings Institution di Doha. “Sta sempre ben attento a non puntare mai su un solo cavallo”. Il Qatar ha usato la sua ricchezza per ritagliarsi un posto sulla scena politica internazionale. Ha finanziato i ribelli libici e il nuovo Egitto.
Tutto questo – e molto altro – viene continuamente ricordato, preferibilmente in diretta, dall’emittente Al Jazeera che, dopo i miliardi di euro, è diventato il più importante strumento in mano all’Emiro. Al Jazeera trasmette in arabo e in inglese e ha un canale interamente dedicato ai Balcani oltre a una programmazione riservata all’America Latina e all’Africa. L’influente religioso Yusuf al-Qaradawi, principale pensatore della Fratellanza musulmana, si serve di Al Jazeera per diffondere il suo messaggio e Al-Thani è un suo ammiratore.
Proprio questa ammirazione per Al-Qaradawi fa sorgere il sospetto che l’Emiro Al-Thani intenda rafforzare l’Islam sunnita. C’è anche chi teme che il minuscolo Qatar progetti “di conquistare il mondo”, come scrive Le Monde. In Germania il Fondo ufficiale del Qatar possiede il 17% della Volkswagen, il 10% della Porsche e il 9% del gigante dell’edilizia Hochtief. L’emirato sta acquistando terre dall’Ucraina al Pakistan alla Thailandia e sta tentando di acquistare una partecipazione nell’Eads in Francia dove già possiede una quota di Suez, della banca Dexia e della casa editrice Lagardere. E ha compratola squadra di calcio del Paris Saint-Germain. “Il Qatar rappresenta una minaccia per la nostra indipendenza nazionale”, ha detto la candidata di estrema destra all’Eliseo Marine Le Pen. “Lo dico con chiarazza: il Qatar sostiene finanziariamente il fondamentalismo islamico e i pazzi della Sharia”.
Hamad Al Thani è il prototipo dellla seconda generazione di monarchi del Golfo Persico. Nato nel 1952 in una famiglia beduina ha frequentato la Royal Military Academy a Sandhurst, in Gran Bretagna. A venti anni è’ tornato nel Qatar che l’anno prima aveva ottenuto l’indipendenza. Quando suo padre si rifiutò di abdicare, l’ambizioso principe ereditario lo depose. Una decisione che non gli è mai stata perdonata dalla famiglia reale saudita.
Il carattere di Al Thani, come quello di molti regnanti della zona, si è in larga misura formato alla luce di tre esperienze: gli anni bui della guerra di Suez e della sconfitta araba nella Guerra dei Sei Giorni, la condiscendenza con cui le Elite urbane del Cairo, Beirut e Bagdad li trattarono in quanto figli di beduini e l’enorme ricchezza accumulata dopo la crisi petrolifera del 1973. Il modello politico della sua generazione è stato Nasser. Ma i figli degli emiri e degli sceicchi hanno abbandonato le idee socialiste di Nasser per abbracciare il nazionalismo arabo. È proprio il desiderio di rilanciare l’identità araba uno dei motivi dietro l’attivismo politico dell’Emiro.
CON LA primavera araba l’emiro da mediatore ha assunto il ruolo di attore e la sua emittente, Al Jazeera, ha trasmesso in diretta quasi minuto per minuto le fasi delle rivolte. Le nuove classi dirigenti in Tunisia, Egitto e Libia sono estremamente riconoscenti al Qatar e Al Thani si considera già il capo di quella che definisce ”Arabellione”.
Le alleanze politiche del Qatar cambiano da Paese e Paese e da crisi a crisi. In questo l’emiro si è rivelato maestro di diplomazia e grande statista. Resta il fatto che il Qatar – a parte gli atteggiamenti filo-rivoluzionari – è tutt’altro che un modello di democrazia. In questo campo abbondano le promesse non mantenute. E non tutto fila liscio. A esempio, la luna di miele con Hezbollah è terminata. E anche Tripoli manifesta una certa insofferenza.
Il Qatar è una nuova potenza mondiale? È piuttosto una potenza in miniatura. L’Emiro non ha divisioni e il suo esercito è composto per lo più da mercenari. Proprio per questa sua debolezza militare il Qatar è un peso leggero in termini di realpolitik. Forse gli basta avere per amici i pesi massimi.
Der Spiegel, 2012 distribuito da The
New York Times Syndicate Traduzione di Carlo Antonio Biscotto