Giuseppe Pennisi, Avvenire 10/04/2012, 10 aprile 2012
LE RICETTE PER SALVARE LA LIRICA
La crisi delle risorse (pubbliche e private) per la cultura, in particolare per lo spettacolo dal vivo, è un problema dell’intero mondo occidentale: sembrano sfuggirne solo Germania e Francia – la prima per la priorità che l’intero mondo di lingua tedesca ha sempre dato a musica e teatro e la secondo per l’exception française ed il peso politico attribuito alla diffusione della lingua e della cultura francese. In Portogallo si è giunti alla misura estrema: depennare il Ministero della Cultura e le sovvenzioni che distribuiva. In Olanda, è stato introdotto, da un lato un taglio lineare del 25% ai contributi e, dall’altro, un aumento dal 5% al 19% dell’Iva sui biglietti (con esenzioni per il cinema, gli eventi sportivi ed il circo). Tagli analoghi sono stati varati in Gran Bretagna, Irlanda, Spagna e Ungheria. Per non parlare della Grecia dove le arti e la cultura sono al lumicino.
Gli Usa reagiscono così
La crisi morde anche negli Stati Uniti, dove i finanziamenti sono in gran misura elargizioni culturali private agevolate con sgravi tributari e nel solo 2010 ci sono state ben 12 «prime mondiali» di opere liriche. Negli Usa, però, non si reagisce con proteste e nostalgia del passato. Negel Redden, direttore del Lincoln Center Festival a New York e dello Spoleto Festival a Charleston vede la crisi «come un’opportunità per giovani autori in grado di scrivere drammi e commedie solo tre o quattro attori, opere liriche con organici all’osso e cameristica di livello». In un’altra prospettiva, utilizzando la tecnologia, Peter Gelb, sovrintendente del Metropolitan di New York, ha portato gli spettacoli in diretta ed alta definizione in 1.700 cinema in tutto il mondo: mai prima d’ora la lirica di alta qualità ha avuto tanta diffusione. Anche perché le capitali asiatiche pullulano di nuovi teatri costruiti per l’opera europea – in gran misura, italiana. Con la crescita della produzione e dei redditi aumenta l’appetito per la cultura europea, specialmente per quelle forme che combinando teatro, canto, musica e danza hanno radici analoghe alle espressioni orientali di arte dal vivo.
La difficile situazione italiana
In questo quadro si pone l’Italia. Il teatro di prosa (nonostante alcuni punti di crisi – ad esempio l’incertezza sul futuro del Teatro Valle di Roma, occupato da mesi) sta reagendo con flessibilità: nella capitale, funzionano circa 40 teatri, con spettacoli a costi bassissimi ma con un pubblico fidelizzato che li preferisce a cinema e televisione. In difficoltà serie la grande sinfonica e soprattutto la «musa bizzarra ed altera», la lirica. Pur se grazie al circuito micro cinema (che porta in ex-cinema parrocchiali spettacoli in diretta) ed alla rete Nexodigital (che cura in 40 sale la diretta del Met), mai come oggi ci sono stati spettatori di produzioni d’opera di livello.
Solo 4 fondazioni in attivo
Il nodo sono le 13 fondazioni liriche (a cui si aggiunge la ’sinfonica’ Santa Cecilia), dove i costi medi per rappresentazione, anche se scesi negli ultimi tre anni, superano il 30% della media dell’UE a 15 e sono il doppio della media dell’UE a 27. Producono in media 80 spettacoli l’anno rispetto ad una fascia europea che va dai 150 dell’Opéra di Parigi ai 230 della Staatsoper di Vienna. Nel 2010, unicamente quattro hanno chiuso i conti in attivo: Napoli (un saldo attivo di 4.200 euro), Palermo (1,2 milioni di euro). Roma (23.000 euro) e Verona (156.000 euro). Il consuntivo della Scala segnava un passivo di circa 6 milioni di euro saldato da «contributi in conto patrimonio in corso d’esercizio» (presumibilmente da soci privati). Per il 2012, il disavanzo scaligero si profila sui 9 milioni di euro, come ha scritto anche il New York Times. I ’cavalieri bianchi’, intervenuti nel passato, fanno sapere che i loro destrieri sono sfiancati.
La Scala ha una fama tale che avrebbe una possibilità: come ha suggerito l’agente in Europa della Borsa delle Arti di Shangai, se diventasse una SpA potrebbe raccogliere aumenti di capitale in Cina, assicurando, in cambio, dirette HD e tournée.
Un buco di 300 milioni di euro
Il debito accumulato dalle 13 fondazioni liriche supera i 300 milioni di euro; tre sono commissariate, altre quattro minacciano di esserlo presto. Migliore la situazione dei 23 ’teatri di tradizione’; operano a bassi costi, circuitano gli allestimenti, hanno supporto locale e producono ’bilanci sociali’ anche al fine di alimentare il sostegno delle comunità in cui operano (particolarmente pregevoli quelli di Jesi e di Pesaro).
Chi non si rinnova è perduto
Eloquente il titolo dell’ultimo rapporto annuale dell’Eunic (Europan Union National Institutes of Culture); Between crisis and new beginnings (Tra crisi e nuovi inizi) – un modo elegante per dire che chi non si rinnova, è destinato a sprofondare. I modi per ridurre i costi ed aumentare la produttività ci sono. Chi si oppone facilita il realizzarsi di uno scenario nella Patria della lirica: ci saranno unicamente tre teatri, la Scala, il Teatro dell’Opera della capitale, e il San Carlo di Napoli o il Massimo di Palermo. Ed una miriade di dirette in HD.