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 2012  aprile 08 Domenica calendario

Vedi alla voce Tullio De Mauro - Vocazione e vocabolario hanno in comune lo stesso etimo (una cosa che Tullio De Mauro sa bene e inconsciamente deve aver agito nello scrivere queste Parole di giorni un po’ meno lontani): alla base di entrambi c’è la voce

Vedi alla voce Tullio De Mauro - Vocazione e vocabolario hanno in comune lo stesso etimo (una cosa che Tullio De Mauro sa bene e inconsciamente deve aver agito nello scrivere queste Parole di giorni un po’ meno lontani): alla base di entrambi c’è la voce. La voce, le voci delle persone che negli anni decisivi dell’adolescenza hanno rappresentato per lui una guida e un modello: quella dei genitori e dei fratelli Franco e Mauro, quella di Elio Themelly e dei vari maestri incontrati dentro e fuori le mura scolastiche e universitarie (come Leopoldo Traversi, Giulio Gamberale, Luigi Fiorito, Alberto Vegezzi, Antonio Cervi, Antonino Pagliaro). La voce, le voci del personalissimo vocabolario che scandisce i ricordi di questo racconto autobiografico, avviato qualche anno fa con le Parole di giorni lontani. Vedi alla voce memoria. Un vocabolario – appunto – privato e personale, fondato su quel tipo di espressione individuale che i linguisti chiamano idioletto («la mia privata ortografia mentale»); ideale per raccontare le vicende di un ragazzo che – educato ai valori del duce e rimasto legato, dopo la caduta del regime, a un «fascismo protoadolescenziale» – vede rapidamente il suo «guscio fascista» incrinarsi e poi rompersi, «caduto in pezzi per via di studio e riflessioni». Un vocabolario storico, dunque, sia pure molto sui generis. Non un Itabolario (come quello curato da Massimo Arcangeli per i tipi di Carocci) pensato per riassumere in centocinquanta parole tutta la storia dell’Italia unita; piuttosto un Idiobolario, capace di rendere attraverso il lessico famigliare un decennio di vita italiana: dal dicembre 1942 (Incis) al novembre 1952 (Rune). Un originalissimo vocabolario poliglotta, che con glottovora voracità divora e fa proprie voci di lingue diverse, intorno alle quali prendono forma gli episodi narrati: voci italiane, ovviamente, ma anche tedesche (Ist das ein Tisch?), latine (Romani opi sunt), romanesche (La palla è ritonna), greche (Boá?), inglesi (Pea soup: «una zuppa che, imparammo, si chiamava pea soup, e si pronunziava comunemente peasùpp»). Con il senno del post, lo sguardo intenerito del linguista si sovrappone a quello del ragazzo, mescolando in continui cortocircuiti parole di ieri e di oggi («i pantaloncini da figlio della lupa mi stavano strettissimi, a mo’ di hot pants») e – procedendo per frammenti – imprime al racconto un ritmo costante, posato, lemmatico. Vedi alla voce memorie di un brillantissimo ottuagenario (Tullio De Mauro ha appena compiuto 80 anni). Un romanzo a suo modo espressionista, questo delle parole e dei giorni, per il suo indulgere talvolta a ironici arcaismi (L’Enchiridio dell’eloquio gensore); intertestuale, anche, visto che La Colonia Elioterapica di Coltano riprende I bagni di sole del volume precedente; e allusivo, se è vero che un bombardamento può essere chiamato una volta con un nome (Le fortezze volanti: Napoli, 4 dicembre 1942), la volta dopo con un altro (La guerre, je vous dis, la guerre: Roma, 19 luglio 1943). Romanzo di formazione e, appunto, di vocazione. La vocazione per «il mestiere più bello del mondo» (forse anche uno dei più antichi, sebbene in altri casi ciò non sia considerato motivo di merito). Non quello del lessicografo, a cui De Mauro si è dedicato con passione negli ultimi decenni («nel caso della lessicografia, "mestiere" rinvia al concetto di alto artigianato ... da un certo punto di vista, si può dire che quella del lessicografo è la più "proletaria" tra le attività connesse con la linguistica», ci scherzava su Mario Cannella, nel recente Idee per diventare lessicografo, Zanichelli). E neanche propriamente quello del linguista, con tutto che già al liceo il professor Ippolito Galante, durante una lezione «sulla parentela etimologica dei numerali greci, latini, sanscriti, germanici», gli aveva predetto il futuro: «tu sei un etimologo, diventerai un bon glottologo». Il mestiere è quello dell’insegnante, del professore: «mi pareva il mestiere più bello del mondo». La vocazione per le parole si era già rivelata – si può dire – in tenera età («con una parlantina interminabile e ciarle continue») e si era sviluppata negli anni grazie anche a un gusto diffuso in famiglia (L’Enchiridio dell’eloquio gensore, cioè «Il manualetto del parlar più nobile», è un elenco di parole arcaiche messo insieme in gioventù dal fratello Mauro durante la lettura di una vecchia edizione dello Zingarelli). La vocazione per l’insegnamento s’innesta sull’altra, grazie anche alla progressiva presa di coscienza politica, producendo il frutto maturo di un impegno che Tullio De Mauro ha portato avanti fino a oggi. Non solo come professore universitario («ho insegnato cinquant’anni tondi»), ma anche nelle sue instancabili battaglie per lo svecchiamento dei programmi scolastici e dell’educazione linguistica: «spendere in scuola e in educazione è un investimento per la democrazia», ammonisce ancora nel suo recente In principio era la parola? (il Mulino). Una vita tra le parole, insomma, raccontata attraverso le parole. Anche se in questa vivace e delicata rievocazione degli anni di gioventù, il momento di massima nostalgia (e per chi legge, emozione) è segnato dal silenzio. «Un giorno dopo molto colloquiare di lettere e arti nella stanzetta della mia ragazza era sceso il silenzio. Di qua e di là di una piccola scrivania ci guardavamo senza parole. Lo so che erano altri tempi, ma auguro a figli, figlie e figlie e figli di figli di vivere frammenti di tempo simili». Giuseppe Antonelli