La Stampa 8/4/2012, 8 aprile 2012
100 anni di Titanic La storia e il mito - Nel week end di Pasqua i moli di Chelsea Piers a New York sono uno spettacolo
100 anni di Titanic La storia e il mito - Nel week end di Pasqua i moli di Chelsea Piers a New York sono uno spettacolo. Palestre con bambine ginnaste che sognano le Olimpiadi, barconi veloci che portano tra spruzzi d’acqua i turisti dalla foce del fiume Hudson, ripulito e popolato di pesci, in vista della Statua della Libertà. Su pazzesche bici in lega leggera sfrecciano i ragazzi che lavorano a progettare il grande campus di Roosevelt Island, dove New York sogna il sorpasso high-tech su Silicon Valley. Turisti, bambini, pescatori e maghi del software tutti però si fermano al molo 59, un tempo controllato dalla compagnia di navigazione White Star. Là, un secolo or sono, doveva approdare la Royal Merchant Ship Titanic. Non arrivò invece mai tra i muri di cemento di Manhattan e del New Jersey. I superstiti del piroscafo sbarcarono, scossi, affranti, svuotati, al molo 54 dal piroscafo Carpathia che li aveva salvati. Al 59 vennero scaricate senza cerimonie le scialuppe del Titanic. Che quel naufragio riesca a ipnotizzare ragazzi nati quattro generazioni più tardi stupisce e affascina: perché il mito del Titanic non si spegne e diventa anzi parte del nostro immaginario XXI secolo? La risposta è semplice: perché la nave «inaffondabile» che cola a picco dopo avere urtato un iceberg è solo un mito e si plasma davanti alla fantasia dei tempi nuovi. Dopo film, libri, esplorazioni sottomarine, migliaia di siti Internet, crediamo di sapere tutto del disastro e sappiamo poco. Se chiedessero a voi, come ai pellegrini sul moli di Chelsea Piers, «cosa ricordate del naufragio del Titanic» è facile che la risposta sia: «La nave considerata inaffondabile. L’orchestra che suona l’inno religioso “Più vicini a Te mio Dio”. L’eroico capitano Smith. L’ignobile armatore Ismay che comanda prima troppi nodi di velocità per aumentare prestigio alla compagnia ed è poi il primo a saltare su una scialuppa. Gli uomini travestiti da donna. Il destino tragico dei passeggeri di 3ª classe, rinchiusi nelle stive e presi a fucilate dai marinai». Peccato che nessuno di questi «fatti» trovi riscontri nei documenti. Nessuno, prima del disastro, aveva mai fatto riferimento al Titanic come «inaffondabile». La vera star era la nave gemella, Olympic che nel viaggio inaugurale del 1911 - al comando lo stesso capitano Smith - attrasse fotografi e reporter. Del Titanic pochi si curavano, niente cinegiornali, niente qualifica di «inaffondabile». L’orchestra suona, è vero, con coraggio, non ignorando il disastro incombente come proverbiale, ma per animare i passeggeri intirizziti. Che l’inno «Nearer my God to Thee» sia stato l’ultimo prima che le acque gelide si chiudessero sulle 1514 vittime è leggenda. I musicisti andarono avanti fino alla fine, i superstiti ricordano le note sacre perché le scialuppe s’erano già allontanate. Il capitano Edward J. Smith non fu un eroe e neppure un vile. Sul suo comportamento dal momento del disastro sappiamo poco, c’è chi lo descrive choccato, incapace di dare ordini, chi preciso nell’assegnarli senza enfasi, ma le testimonianze sono scarse. Smith, che ha statue in suo onore e in certi libri è protagonista di un salvataggio a nuoto di un bambino stile libro Cuore, non diede neppure l’ordine di «abbandonare la nave» (come Schettino sulla Concordia, per intenderci), rallentando le operazioni. La gloria stoica che gli viene attribuita è falsa, come l’ignominia. J. Bruce Ismay, armatore della White Star, non si impose affatto su una scialuppa. Fu un ufficiale a dargli il permesso. Fece forse pressione per la velocità, ma non sulla rotta finale. E salì su una barca per salvarsi solo quando nessun altro passeggero era più in coda, lo confermò la commissione d’inchiesta ufficiale di Lord Mersey. Quanto ai cancelli che rinchiudevano i passeggeri di 3ª classe non erano una crudeltà del Titanic, ma una richiesta della legge americana. I poveri immigranti non sarebbero scesi al molo 59 di Manhattan, il Titanic li avrebbe sbarcati secondo prassi a Ellis Island, dove oggi sorge il Museo dell’Emigrazione. Là visite mediche, quarantena, visto di ingresso. La segregazione era norma sulle navi. A bloccare i poveri non furono le sbarre, ma il dedalo di corridoi, ponti e scalette che avrebbe dovuto condurli alle scialuppe. Nessuno sparò, solo un paio di colpi vennero esplosi in aria per riportare l’ordine su un ponte gremito. I passeggeri di 1ª classe erano 325, annegarono in 124; 2ª 284 con 166 morti; 3ª 708 con 530 vittime; la strage maggiore nell’equipaggio: 908 persone e 692 morti. Non sappiamo di ufficiali suicidati con colpo alla tempia. La nostra immagine del disastro è così viva e lontana dalla storia, per la stessa ragione per cui parliamo, un secolo dopo, di Titanic. Perché il cinema, nato appena 15 anni prima, si getta sulla vicenda con emozione. La chiglia dell’Olympic - la star usurpata - era stata dipinta di grigio per brillare nei cinegiornali in bianco e nero. La stampa popolare, allora diffusissima, fece del disastro crociata popolare, incurante della verità. L’armatore Ismay s’era scontrato a New York col magnate dei quotidiani che oggi definiremmo di gossip, Hearst, che lo ripagò con le scandalose accuse di viltà. Allo sbarco un uomo indossava uno scialle da donna, glielo aveva prestato una compagna di sventura sulla scialuppa per difendersi dalla guazza della notte atlantica: bastò perché i reporter inventassero la favola dei passeggeri in abiti femminili ad aggirare il grido «Prima le donne e i bambini». Il Titanic affonda mentre nascono i mass media e i mass media fanno del naufragio un’epica. Nei film serve una trama nitida, Perfidi-Innocenti, e allora ecco l’Armatore Avido, il Comandante Stoico, l’Orchestra Sacra, i Poveri Massacrati. Il primo film appare l’anno del naufragio, 1912, si disse che Dorothy Gibson, sopravvissuta alla strage, recitasse con lo stesso abito indossato sul Titanic. Il primo sonoro è del 1929, si chiama «Atlantic» perché in tribunale la compagnia White Star ottiene la censura. Nel 1943 - a conferma che Titanic è mito polimorfo - il gerarca nazista Goebbels commissiona un «Titanic» antidemocratico. Ismay, ebreo, cerca il record di velocità per far alzare le azioni di White Star, l’unico a dare l’allarme-iceberg è un ufficiale tedesco a bordo, il disastro è metafora di sconfitta per gli Alleati. Hollywood arriva nel 1953, con una prima storia d’amore e i soliti cliché. Nel ‘58 il documentario di Walter Lord che la Bbc considera «il migliore sul Titanic», nel 1980 una fantasia di Guerra Fredda con russi e americani che cercano di recuperare il relitto e infine nel 1997 il kolossal di Cameron, ora in 3D. Cameron ammette «Ho cercato il dramma, non verità storica». E trionfa. Per questo i ragazzi con l’iPhone in tasca si fermano a Pasqua a pregare per le vittime della lontana notte. Non perché la tecnologia fu sconfitta o colò a picco una nave che mai si pensò «inaffondabile». Perché il mito, da Omero alla Chanson de Geste al Titanic non deve dire la verità. Deve parlare al nostro coraggio, alle nostre paure, alle nostre speranze e illusioni. E niente come la nave che mai arrivò qui al Molo 59 ci riesce. GIANNI RIOTTA *** Castello di prua Timoneria 10 Ufficio postale 13 Piscina Scalone 1ª classe 1 7 La nave aveva 16 Da questa zo- 2 i timonieri Con acqua ri- Illuminato con na parte l’allarme i servizi di una pic- scaldata, solo per lampadari dorati cola città la prima classe 17 Palestra Coffa 5 Lampada Morse Stiva 11 Cabine 1ª classe 14 Bagni turchi 2 Sull’albero, Per segnalare 8 Qui il carico Molto lussuo- Arredati con Con macchine elettriche inusuali ospita le vedette con altre navi Quanto sono durati i lavori se, 735 letti piastrelle colorate di costruzione? Cabine 3ª classe Iniziarono Bagagli nel 1ª gennaio classe 1909 e dura- Zona ufficiali Scafo Passeggiata 3 In luoghi sco- 6 9 12 Il «quartiere» 15 18 rono 36 mesi. Il deposito Vi lavorarono in 14 Da solo pesa- Privata, risermodi, ma decorose mila. Il costo: 7,5 milioni di dollari. a loro riservato va 26 mila tonn. vata alle 4 suite 4 Pozzo a proravia Ponte comando Qui si riversarono pezzi di ghiaccio Tre ufficiali per ogni turno No. S’imbarcarono 1.338 passeggeri, poco più della metà della sua ca- Quanto grande era il pacità. I membri dell’equipaggio Titanic? erano 885. Totale: 2.223. Ma sono Era lungo 268,8 metri, largo 28,4 e cifre indicative: i conti su liste e aveva una stazza lorda di 46.328 ruoli di bordo non tornano ancora. tonnellate. Dalla chiglia alla cima Chi la definì inaffondabile? dei fumaioli c’erano 53,3 metri. Stampa e riviste specializzate esal- Quanto costavano i tarono i compartimenti e le porte biglietti? Perché è stato costruito? stagni della nave e scrisseroo che Il più a buon mercato, in terza clasLa White Star Line, società arma- era «praticamente inaffondabile». se, circa 36.25 dollari. In prima si toriale di Liverpool presieduta da Nessuno smentì. partiva da 125, per arrivare ai Bruce Ismay (ma ceduta all’Immc 4.500 della suite più lussosa. di John Pierpont Morgan), doveva Era il suo primo viaggio? affrontare la concorrenza della Cu- Sì. Il viaggio inaugurale. La parten- Che cosa accadde? nard. Nel 1907 si era accordata za per New York era fissata per le Nella notte tra il 14 e il 15 aprile, la con William James Pirrie, presi- 12 del 10 aprile 1912 da Southamp- nave a circa 300 miglia a Sud deldente dei cantieri navali Harland ton, Inghilterra, ma la nave salpò l’isola di Terranova fece collisione & Wolff di Belfast per costruire tre un’ora dopo per una mancata colli- contro un iceberg, avvistato dalle «liner» che avrebbero dovuto sfi- sione con il «liner» New York du- vedette in coffa alle 23,40, ora di dare la Cunard con un servizio at- rante la manovra in porto. La nave bordo. A due ore 40 minuti dall’urlantico settimanale. Navi che, oltre fece scalo a Cherbourg, in Francia, to, alle 22,20, affondò. a trasportare posta e merci, si sa- e a Queenstown, in Irlanda. rebbero imposte per comfort: Da dove arrivava l’iceberg? l’Olympic, il Titanic e il Gigantic. A bordo era tutto esaurito? Secondo i giornalisti francesi Djana e Michel Pascal («Titanic, oltre la maledizione», Corbaccio) l’iceberg si era staccato nel 1907, quindi nello stesso anno in cui fu firmato il contratto per la costruzione del Titanic, da Ilulissat, in Groenlandia, baia di Disko: un luogo maledetto per gli Inuit perché utilizzato per compiere sacrifici umani. Il comandante era stato allertato sui ghiacci? Sì, aveva ricevuto diverse segnalazioni da altre navi durante tutta la giornata del 14 aprile. È stata ridotta la velocità? No. Smith apportò una correzione di rotta, ma non fece ridurre la velocità, che al momento dell’impatto era di circa 21,5 nodi. Le vedette avevano un binocolo? No. La vedetta Frederick Fleet di- Sala di ricevimento 19 Vicino a quella da pran- za, con pannelli bianchi 20 Sala da pranzo 1ª classe Lunga circa 30 metri, poteva ospitare 554 persone Sala da pranzo 2ª classe 21 La cucina era in comune con quella di 1a classe Galleria di 3ª classe Caldaie Galleria 1ª e 2ª 31 Scalone di 1ª 22 25 28 Collegava cabi- A poppa, era Sopra le caldaie, porta- 24, pesavano va alla sala da pranzo 100 tonn. l’una ne e sala da pranzo collegato al salone 23 Salone di 1ª classe 26 Chiglia 29 Scialuppe 32 Parisien Café In sitle Luigi XV, era il ri- Era lunga cir- Erano 16, per Si trovava sul trovo per giocare a carte e ca 300 metri 1178 persone ponte B, i camerieri conversare erano francesi 24 Bussola Passeggiata 1ª Motori Sala fumatori 1ª 27 Qui si saliva 30 2 alternativi a 33 Con pannelli Giroscopica, era posizionata a circa metà nave sulle scialuppe vapore, 1 a turbina di mogano chiarerà durante l’inchiesta che se lo avesse avuto avrebbe avvistato l’iceberg prima. Ma tali dotazioni erano chiuse in un armadietto e le chiavi le aveva l’ufficiale David Blair, sbarcato prima della partenza. Ci furono altri errori umani, negligenze dei membri dell’equipaggio? Sarebbe stato fatale l’indugiare, per circa 30 secondi, del primo ufficiale Murdoch nell’ordinare l’accostata per evitare l’ostacolo. Decisivo anche l’ordine di «indietro tutta», che fece perdere la velocità necessaria a rendere il «liner» più reattivo all’accosto. Fu la falla ad affondarlo? No. O meglio, non quella prodottasi nell’urto, limitata a una area di lacerazione non più grande di una porta di appartamento. E allora, perché si inabissò? La vera causa della tragedia fu una somma di difetti di progettazione e di costruzione. La nave non aveva il doppio fondo sulle murate. E le paratie dei compartimenti stagni erano meno alte del dovuto, 34 Veranda Café Sala pranzo 2ª Giardino d’in- 37 Cucina in coverno con vimini mune con la 1ª cl. 35 Ritz 38 Cassero Il ristorante A’ Era il ponte la Carte scoperto a poppa 36 Fumaioli 39 Entrata 2ª classe Tre funzionan- Ogni classe ne ti, uno finto aveva una propria perché l’armatore aveva voluto uno scalone di prima classe più imponente. Non solo. L’acciaio con cui era stato costruito lo scafo era di qualità scadente, e ciò lo rendeva più fragile e meno elastico, soprattutto a contatto con l’acqua gelata (-2˚ quella notte). I rivetti utilizzati per inchiodare le lamiere a poppa e a prua, poi, erano di ferro anziché di acciaio, perché solo così si potevano battere a martellate: in tali zone era impossibile lavorare con la rivettatrice pneumatica. Quale fu dunque la dinamica dell’affodnamento? Accadde che l’acciaio poco elastico non assorbì il colpo e tutto il carico dinamico della collisione andò a pesare sui rivetti, che saltarono. Donatello Bellomo («Titanic, l’altra storia», Mursia) scrive che le lamiere si scollarono, che l’acqua entrò nelle fessure e inondò lo scafo. Le paratie basse non riuscirono a impedire che traboccasse da un compartimento e riempisse a cascata il seguente, fino a cinque. La nave sarebbe rimasta a galla con 4 compartimenti inondati da 32 mila tonnellate d’acqua. Ne entrò di più e il peso dell’Oceano contribuì a spezzare la chiglia. Da qui, l’affondamento. Quanti furono i superstiti e quante le vittime? I superstiti furono 706. Le vittime 1517. Ma il conto è inquinato dalle incertezze sulla cifra esatta della popolazione di bordo. Le scialuppe di salvataggio erano sufficienti a salvare, almeno in teoria, tutti i passeggeri e l’equipaggio? No. I progettisti ne avevano previste 48 da 60 passeggeri . L’armatore impose che ne venissero tolte 32 perché ingombravano la visuale ai passeggeri di prima classe. Vi erano dunque 16 lance, più quattro canotti. Da subito, almeno mille persone erano condannate. Dove si trova esattamente il relitto? A 12,5 miglia SudOvest della posizione di 41˚ 46’ N 50˚ 14’ W segnalata negli Sos, su un fondale di 3.810 metri. Lo localizza Robert G. Ballard il 1˚ settembre 1985. Sale di 3ª classe 42 Erano superiori agli standard Cabine 2ª cl. 40 Pari a quelle di 1ª di altre navi 41 Ponte di attracco Fabio Pozzo *** Miserie e nobiltà in quei 150 minuti prima della fine - Quando capì che non c’era più niente da fare, e dopo avere accompagnato la sua amante francese Léontine Aubart alla scialuppa numero 9, Benjamin Guggenheim si sfilò la cintura di salvataggio e tornò nella propria cabina. Chiese a Victor Giglio, il valletto che lo accompagnava sempre, di aiutarlo a togliersi il pesante maglione che aveva indossato poco dopo l’urto del Titanic contro l’iceberg e di prendere dall’armadio di quercia l’abito da sera. Quando si fu rivestito, ordinò al servitore di indossare a sua volta il tuxedo: poiché dovevano morire, disse, era più opportuno farlo da gentiluomini. Scrisse un biglietto, che consegnò a una donna diretta al ponte delle scialuppe: «Se mi accadesse qualcosa, dite a mia moglie che ho fatto del mio meglio per compiere il mio dovere». Salirono il Grande Scalone, diretti alla sala fumatori come in una serata qualunque di quella traversata. Dopo avere chiuso la porta alle spalle, quasi per non essere disturbato, l’erede di uno dei più grandi imperi minerari del mondo si fece servire un cognac e accese un sigaro. Guggenheim se ne andò da signore, ma non tutti ebbero lo stesso coraggio. Nessun evento come le grandi tragedie del mare apre uno squarcio sulle grandezze e miserie dell’umanità, sulla nostra capacità di dare il meglio o il peggio nei momenti più difficili. Nei 150 minuti che trascorsero tra l’impatto e l’affondamento della nave, 2.224 persone hanno dovuto decidere come comportarsi, sapendo che sulle scialuppe non ci sarebbe stato posto per tutti. In un libro che resta insuperato sui fatti di quella notte, «A night to remember», pubblicato da Longmans nel 1956, Walter Lord ha raccolto le testimonianze dei sopravissuti, trasformandole in un affascinante viaggio nella psiche umana. Tra i ricchi e famosi della prima classe c’era una straordinaria intimità. Si incontravano di continuo in ogni parte del mondo senza mostrarsi sorpresi, che fosse alle Piramidi, in Costa Azzurra, alle regate di Cowes o alle terme di Baden-Baden. Era come se avessero tutti la stessa idea nello stesso momento, e una di queste idee era stata quella di essere a bordo della più grande nave del mondo nel suo viaggio inaugurale. Mentre Ben Guggenheim fumava l’ultimo sigaro della sua vita, Sir Cosmo Duff Gordon, la moglie Lucy e la segretaria, Laura Francatelli, salivano sulla scialuppa N. 1 con due passeggeri americani e sette marinai. Lady Lucy era una famosa disegnatrice di moda, molto seccata per tutto quel trambusto e assolutamente incapace di rendersi conto della situazione: «È un peccato che tu abbia rovinato il tuo abito da sera», disse dispiaciuta alla segretaria. «Lei si preoccupa per un abito da sera, ma noi non abbiamo più niente, signora – le disse un marinaio -. Abbiamo perso i nostri effetti personali e da stasera anche il lavoro». «Anche noi abbiamo perso tutto» rispose Lady Duff Gordon. «Ma voi lo riavrete». «Certo, anche di più». Per porre fine alla discussione, sir Cosmo diede cinque dollari a ogni marinaio. Era inteso che l’imbarcazione, che era stata calata semivuota, sarebbe dovuta tornare indietro a raccogliere altri naufraghi, ma forse grazie ai quei cinque dollari non lo fece. Bruce Ismay, presidente della White Star Line, mancava raramente un viaggio inaugurale delle navi della compagnia e non poteva perdersi questo. Fu uno dei primi a mettersi in salvo, mentre centinaia di donne e bambini erano ancora a bordo. Passò il resto della sua vita annientato dalla vergogna e osteggiato dalla società londinese, che lo aveva definito il più grande codardo della storia britannica e insinuato il sospetto che avesse indossato abiti femminili per trovare posto su un battello gonfiabile. La stampa americana era alla ricerca di eroi, e non fece fatica a trovarne. C’erano i componenti dell’orchestra, che avevano suonato fino alla fine, e c’era l’« inaffondabile» Molly Brown. Era figlia di immigrati irlandesi dai quali aveva ereditato modi decisi e un forte carattere che non l’aiutarono, nonostante la grande ricchezza, ad essere accettata dalla buona società di Denver. Molly fu straordinaria, nei momenti dell’emergenza. Aiutò instancabile i passeggeri a salire sulle scialuppe e quando venne calata quasi a forza sulla N. 6 insieme ad altre 21 donne e due uomini, ne prese il comando decidendo di tornare indietro, contro il parere dai maschi, a raccogliere i naufraghi caduti in acqua. A bordo del Carpathia, la nave che per prima arrivò sul luogo del disastro, assistette le donne che avevano perso i mariti e i figli e non avevano più nulla, raccogliendo per loro 10 mila dollari tra i sopravvissuti della prima classe. John Jacob Astor IV era l’uomo più ricco a bordo. Si racconta che quando la nave urtò l’iceberg abbia commentato: «Avevo chiesto del ghiaccio, ma questo è troppo!». Aveva un salvagente in più e sul ponte lo aprì con un coltellino per mostrare alla moglie Madeleine com’era fatto dentro. Poiché Madeleine era incinta, chiese di poterla assistere sulla scialuppa, ma non glielo consentirono. Dopo averla abbracciata andò ad aspettare il suo turno con gli altri uomini. Il suo cadavere fu riconosciuto per le iniziali J.J.A. ricamate sul colletto della camicia e per l’anello con tre diamanti. Anche Isidor Straus, fondatore e proprietario, a metà con il fratello Nathan, dei grandi Magazzini Macy’s di New York, aveva accompagnato la moglie Ida a una scialuppa. Ida vi era quasi salita, quando cambiò idea e ritornò sul ponte: «Abbiamo vissuto insieme per tanti anni – disse al marito -. Io voglio andare dove vai tu». Si sedettero su una panchina, mano nella mano, mentre le scialuppe ancora disponibili venivano calate. Quando se ne andò anche l’ultima, l’eccitazione e la confusione non avevano più ragione di essere e sulla nave calò uno straziante silenzio. I passeggeri si ammucchiarono istintivamente al centro del ponte, lontano dai parapetti, mentre la prua del gigante cominciava ad affondare. L’orchestra suonava «Più vicino a te, mio Signore». V ITTORIO S ABADIN *** All’asta un secolo di memorie Chi offre di più? - Il centenario dell’affondamento del Titanic è un’occasione da non perdere per i mercanti d’arte. Che hanno messo a calendario delle sedute d’aste di sicuro successo. Quattro per il momento: due in Gran Bretagna e altrettante negli Stati Uniti. La prima, organizzata dall’inglese Henry Aldbridge, si è già svolta lo scorso 31 marzo. Ma la più ricca, forte di 5500 pezzi, con un valore di base di 189 milioni di dollari, pari a 142 milioni di euro, sarà quella della Guernsey’s Auctioneers & Brokers dell’11 aprile a New York. Nella stessa città, il 15 dello stesso mese, sarà la volta di Bonham’s. La RR Auction inglese, organizzerà infine un’asta online dal 19 al 26 di aprile. Alcuni degli oggetti battuti hanno una storia legata a persone coinvolte nel tragico evento. Ad esempio, il banchiere americano Washington Dodge, che con la moglie riuscì a imbarcarsi su una scialuppa di salvataggio, portando con sé una borsa con i valori e una copia del ricco menù del «lunch» dell’ultimo giorno di vita della nave. Gli eredi lo hanno ceduto e verrà battuto a un prezzo base di 112 mila euro. Dagli oggetti personali del comandante del Titanic Edward John Smith, morto in plancia, è stata recuperata una cassetta in legno portasigari con «humidor». Su di essa spiccano le sue iniziali e lo stemma della compagnia, che l’aveva offerta in dono conoscendo le sue abitudini di raffinato e accanito fumatore. Probabilmente l’oggetto si trovava nella sua dimora, perché è molto ben conservato. Verrà battuto partendo da 30 mila euro. Ci vorranno invece 150 milioni di euro per aggiudicarsi una splendida collana in oro con la scritta in brillanti «Amy». Venne trovata sul relitto a 3600 metri di profondità e recuperata venticinque anni fa. A chi apparteneva? Fra le passeggere di prima classe c’erano una Amanda e un’Amelia, e la ricerca della proprietaria si è fermata a questi due nomi. Resta il fascino segreto di un dono pre- zioso, forse legato a una storia d’amore. Wallace Hartley era uno dei violinisti dell’orchestra di bordo, uno di quegli eroi che continuò a suonare sul ponte per stemperare il panico, fino a essere inghiottito dai flutti. Su carta intestata del Titanic scrisse una lettera ai suoi familiari durante l’ultimo scalo della nave in Irlanda, prima della traversata atlantica. Fra l’altro vi si legge: «Vi scrivo per dirvi che tutto va bene. Questa è un’ottima nave ed è piena di gente ricca. Ho una buona orchestra e i ragazzi sono molto gentili. Al mio ritorno sarò a casa domenica mattina». Un triste documento, il cui valore venale è stato fissato in 150 mila euro. Ma un ricordo del Titanic si può conquistare anche con cifre minori. Per 400 euro si acquista la scatola di metallo delle saponette messe a disposizione dei passeggeri di prima classe, con il marchio «Vinolia Shaving Soap». Mentre bisogna arrivare a 2000 per un paio di chiodi che reggevano il fasciame, messi sotto accusa da recenti ricerche perché giudicati di cattiva qualità e quindi, almeno in parte, responsabili del cedimento dello scafo. Ma persino tre chiavi con una targhetta hanno una loro storia. Appartenevano al marinaio Samuel Hemming che le usò, su ordine del comandante, per aprire il ripostiglio che conteneva le lampade a petrolio destinate a essere utilizzate a bordo delle scialuppe di salvataggio della nave che, com’è noto, potevano ospitare solo una parte dei passeggeri. Fra questi c’era una ricca dama inglese, che riuscì a imbarcarsi indossando solo un kimono di seta. Che ora viene anch’esso messo all’asta. VINCENZO ZACCAGNINO