Giuseppe Conte, il Giornale 6/4/2012, 6 aprile 2012
Elogio dei piccoli regali che riceviamo dalla vita - Un anziano clinico che in un ospedale di Parigi si prodiga per i suoi pazienti, manda una cartolina dalla Scozia a un’amica, definendo«rubata»la propria settimana di vacanze
Elogio dei piccoli regali che riceviamo dalla vita - Un anziano clinico che in un ospedale di Parigi si prodiga per i suoi pazienti, manda una cartolina dalla Scozia a un’amica, definendo«rubata»la propria settimana di vacanze. L’amica è Françoise Héritier, antropologa di fama, allieva e erede di Claude Lévi-Strauss sulla cattedra del Collège de France. Dalla reazione affettuosa a quella cartolina, all’idea di sentirsi quasi in colpa per la propria vacanza, nasce questo aureo libretto, Il sale della vita (Rizzoli, pagg. 94) che, in tempi di fosche crisi e di inviti all’indignazione, è un omaggio alla vita e al gusto di vivere. È un invito a imparare a far tesoro della propria esistenza quotidiana rintracciando e ritagliando in essa momenti che posseggono qualità di leggerezza e di grazia, tanto da diventare il sale, il sapore, il bello della vita stessa. Il libro, sotto forma di monologo che procede per libera associazione di idee, è una clamorosa lista, un catalogo ondoso, sinuoso, senza ordine gerarchico, delle minime cose che per l’autrice hanno reso e rendono la sua vita degna di essere vissuta. Ne restano fuori l’attività professionale, l’amore-passione, la fede politica e quella religiosa: niente grandi temi. Solo un flusso di verbi all’infinito che propongono senza sosta azioni, sensazioni, emozioni, ricordi apparentemente insignificanti, ma in grado di mostrare la quasi assurda bellezza dell’essere vivi. Ho sussultato e spesso riso, leggendolo, perché molti piccoli piaceri elencati sono gli stessi che elencherei io, che sono italiano, appartengo alla generazione successiva e al Collège de France ho tenuto appena una conferenza: e se si trattasse di una sintonia astrale, tra nati a metà novembre? Il sale della vita , dunque, è una infinità di cose: ridere a crepapelle, chiacchierare al telefono, scrivere lettere a mano, partecipare a pranzi in famiglia. È cedere ai piaceri della gola, mangiare ostriche in riva al mare, sentire il profumo delle brioche calde per strada, divorare in due bocconi una grossa pralina di cioccolato, essere ghiotti di lukum e pasticcini al miele. Può consistere in veniali trasgressioni: fumare una sigaretta con noncuranza, poltrire a letto il mattino, assopirsi durante una conferenza noiosa, imprecare come un carrettiere, stiracchiarsi, entrare in un hotel di lusso durante una passeggiata e usare i bagni senza chiedere permesso (è meraviglioso, dovrebbero tutti provare una volta). O in contatti felici con la natura:annusare l’aria fresca all’alba, guardare le fronde di un albero agitate dal vento, camminare con i piedi nel mare, sfiorare le mimose, raccogliere more, restare in estasi di fronte a un fiore di ibisco. Ma il sale della vita può essere anche il saper guardare un artigiano al lavoro (io sto studiando un calzolaio per scriverne un giorno l’elogio), inventariare le ricchezze di un negozio di ferramenta, restare a bocca aperta davanti ai giochi di prestigio, assistere alla processione del Corpus Domini con le bandiere alle finestre e le ceste piene di petali di fiori. E leggere libri polizieschi o di fantascienza di buona qualità, andare pazzi per i romanzi storici di Robert Graves ambientati nell’antica Grecia, ricordare di aver pianto leggendo Senza famiglia , non stancarsi mai di Miles Davis, Thelonious Monk, Bix Beiderbecke (io non mi stanco mai di Stan Getz e Chet Baker, ma non cambia), sdilinquirsi di fronte al portamento di Robert Mitchum, seguire Jean-Louis Trintignant nella corsa sul porto di Nizza in Senza movente . Qualche momento di piacere è localizzato, veleggiare in feluca sul Nilo (l’esperienza di viaggio più estatica, per me, che si può fare), sentire l’odore caldo e speziato della terra in Africa, sedere al sole a Piazza Navona in febbraio. Ma forse il sale della vita è soprattutto nella capacità di non vergognarsi di essere se stessi, nell’aver coscienza della fugacità delle cose e della necessità di goderne sinché è possibile, nel restare fedeli alle proprie idee, ai propri amici, ai propri amori, nell’avere grandi slanci di entusiasmo, e nel saper convivere con terribili inquietudini. Questa lettura è un invito a vivere con intensità, sensualità, libertà. Ad aprirsi alle più svariate, incredibili curiosità. Il libro di Françoise Héritier non è solo da leggere. Ha anche il merito raro di invitare ognuno di noi a riscriverlo per suo conto. Ognuno in cerca del proprio «sale», di ciò che rende la vita vivibile, la gioia possibile e sopportabile il dolore.