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 2012  aprile 06 Venerdì calendario

Sul «Corriere» le mani di Fiat-Mediobanca - L’uscita di Diego Della Valle dal consiglio e dal patto di sindaca­to del Corriere della Sera cambia le carte sul tavolo degli equilibri della grande finanza

Sul «Corriere» le mani di Fiat-Mediobanca - L’uscita di Diego Della Valle dal consiglio e dal patto di sindaca­to del Corriere della Sera cambia le carte sul tavolo degli equilibri della grande finanza. Da martedì 4 aprile è nato un nuovo asse: quel­lo tra Mediobanca e Fiat. Sono sta­ti i primi due soci del patto, che de­tengono rispettivamente il 13,7 e il 10,3% della cassaforte che ora controlla il 58% del capitale di Rcs, a fare blocco sul nuovo assetto di Rcs. E cioè a chiedere e ottenere un passo indietro degli azionisti­imprenditori dal cda in cambio dell’ingresso di consiglieri indi­pendenti. Non a caso lo scontro al­­l’interno della riunione del patto, durissimo nei toni, è stato proprio tra Della Valle e la coppia Renato Pagliaro-John Elkann, presidenti di Piazzetta Cuccia e Lingotto. Un «ragazzino» e un «funzionario», li ha definiti il patron della Tod’s, non nuovo agli epiteti d’effetto che scombussolano il paludato mondo dei poteri forti. Come gli «arzilli vecchietti» dello scorso an­n­o per Cesare Geronzi e Gianni Ba­zoli; o la «famiglia Addams» per la genia dei Romiti. L’asse Mediobanca-Fiat si è im­posta come largamente maggiori­taria non avendo all’interno del patto contrapposizioni altrettan­to forti. L’unico in grado di tenere botta è stato il presidente di Intesa e Mittel, Gianni Bazoli, che, aven­do dalla sua la storica influenza sulle cose del Corriere ereditata per cooptazione diretta dall’Avvo­cato Agnelli, nonché qualche fede­le amico come i Pesenti, è riuscito a salvare il salvabile. Bazoli ha dife­so il direttore Ferruccio De Borto­li, non esattamente adorato in ca­sa Fiat, sul quale era in atto una manovra per spedirlo alla presi­denza di Rcs. Dove invece arrive­rà Angelo Provasoli, avvocato ami­co di B­azoli e ben accettato dal tut­to il resto del sistema. L’asse con la Fiat, invece, ha permesso a Me­diobanca di far passare un’ «opera­zione indipendenza» nel cda del­la società editrice del Corriere che però, malignamente, si può an­che leggere come una mossa che taglia fuori dal bo­ard i più «rognosi» azionisti priva­ti, per sostituirli con soggetti che, a ben guardare, sono poi funziona­li ad accrescere il business della stessa banca d’affari. Non ce ne vogliano gli inte­ressati se questo può valere sia per l’ad del­l’Enel, Fulvio Conti, sia per il consulen­te Roland Ber­ger, sia per An­drea Bonomi, ap­pena portato da Piazzetta Cuccia al vertice della Banca Popolare di Milano. I nuovi equilibri nascono dunque sulla dialet­tica tra Mediobanca­Fiat e Bazoli, che pren­de­il posto di quella tra Ba­zoli e Geronzi, morta e sepol­ta dopo che lo stesso Della Val­le, sostenuto un anno fa proprio da Mediobanca, ha fatto fuori Ge­ronzi dalle Generali; mentre un al­tro pezzo del sistema geronziano, tradizionalmente più vicino al centro destra quale quello dei Li­gresti, si è fatto fuori da solo con il naufragio della Fonsai. Ma non è bastato, a Della Valle, per imporre il suo pensiero: quello che «i salot­ti non esistono più, c’è solo il mer­cato ». Per cui bisogna uscire dalla logica dell’ar­rocco­del capi­talismo di rela­zione, incapa­ce di gestire le aziende come Rcs, che inve­ce richiedono la presenza at­tiva degli im­prenditori che ci hanno mes­so i soldi e che altro non vogliono che farli rendere. Non è bastato an­che perché il vuoto è stato riempi­to da Mediobanca che, alle prese con la grana Fonsai, non poteva permettersi di allentare la presa sul Corriere rischiando di indebo­lirsi. E questa volta non ha seguito Dieghito come fece l’anno scorso a Trieste. Il quale non ha nemme­no potuto ricevere l’appoggio de giro di Luca di Montezemolo e Pa­olo Mieli, tagliati a suo tempo fuo­ri dal gioco e che avevano il Anto­nello Perricone, l’ad di Rcs,un ulti­mo baluardo. Tutta da interpretare la reazio­ne di ieri della Borsa, dove il titolo, anche per lo scarso flottante, è schizzato del 20,1%: per Elkann «il segnale che viene dal mercato è positivo e ci incoraggia a prosegui­re sulla strada che abbiamo im­boccato ». Per Della Valle il signifi­cato è opposto: l’imprenditore marchigiano è più battagliero che mai e convinto che molti soci del patto «non abbiano affatto gradi­to l’esito della tenzone e al prossi­mo giro non ci staranno più». Co­me a prefigurare che per il settem­bre 2013, quando bisognerà dare le disdette per il rinnovo del patto che scade nel marzo 2014, potreb­be nascere una nuova maggioran­za. Anche perché, fuori dal patto, con il 5,4% di Della Valle ci sono già il 5% di Toti, il 5% di Benetton e l’11% di Rotelli.