Laura Cesaretti, il Giornale 6/4/2012, 6 aprile 2012
L’incubo di Bobo il delfino: finire spiaggiato come Martelli - Malinconicamente affondato il Trota, è arrivata alfine l’ora del perpetuo Delfino? C’è un parallelo non fausto,che però in questi giorni di fango e tempesta sul Carroccio è stato più volte evocato
L’incubo di Bobo il delfino: finire spiaggiato come Martelli - Malinconicamente affondato il Trota, è arrivata alfine l’ora del perpetuo Delfino? C’è un parallelo non fausto,che però in questi giorni di fango e tempesta sul Carroccio è stato più volte evocato. Quello tra due capi carismatici di prima grandezza, Bettino Craxi e Umberto Bossi, e il destino dei loro eterni numeri due: Claudio Martelli e Bobo Maroni. Qualcuno lo ha citato con perfidia, come il fulminante Giorgio Stracquadanio, Pdl: «Bobo farà la fine di Martelli con Craxi:voleva ridare l’onore al Psi e finì indagato per il conto Protezione». Qualcun altro con lieve ironia, come Mario Lavia su Europa : «Numeri due, nati e cresciuti all’ombra del Capo, profondamente uomini di partito ma abili nel ritagliarsi un profilo istituzionale importante (ministro della Giustizia il socialista, dell’Interno il leghista). E soprattutto, entrambi velocissimi ad avocare a sé il suolo di salvatore dell’onore del proprio partito». Veloci sì, ma- almeno per Martelli - fuori tempo massimo. Se Martelli aveva libero accesso al frigorifero di casa Craxi, anche Maroni sedeva al desco familiare bossiano, immortalato, giovane e capelluto, in tenere istantanee col piccolo e già viziatissimo Trota sulle ginocchia. Faceva parte della family, lo zio Bobo. E se Martelli annunciò (poco prima dell’avviso di garanzia sul Conto protezione) di voler «restituire l’onore ai socialisti», Maroni ora ammonisce: «Bisogna fare subito pulizia, se qualcuno ha tradito la fiducia dei militanti va cacciato». Uno studioso della Lega come Leonardo Facco parla di «nemesi storica» che accomuna Carroccio e Psi, con «un capo indiscusso travolto dagli scandali e il suo delfino che fa finta di sganciarsi». Ma si chiede: Maroni può «rivendicare una verginità» rispetto alle scelte strategiche del gruppo dirigente della Lega, come ad esempio«l’appoggio deciso in una notte all’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio nei giorni della scalata di Giampiero Fiorani ad Antonveneta o all’epoca degli investimenti della CredieuroNord»? Martelli ci provò, ma non ci riuscì: era troppo parte di quel «convento povero» nel quale, secondo la definizione di Rino Formica, «i frati se la passano benissimo». Così come provò a smarcarsi politicamente da Craxi, ma solo all’ultimo e con qualche spregiudicatezza di troppo. Come Bobo: frondista sì, ma con parecchia oculatezza per uno che si è autonominato «barbaro sognante». Per dire, Maroni non ci pensa un attimo in luglio a dire sì all’arresto di Papa, contro i voleri del Capo: quel giorno gli serviva la prova di forza dentro la Lega, per contarsi e incassare spazio nel partito, dettare la linea rispetto al governo Berlusconi e decidere chi dovesse occupare poltrone importanti come quella di capogruppo. Ma basta poco più di un mese a fargli cambiare linea e riscoprire il garantismo: su Marco Milanese, Maroni dimentica le ansie di manette e si allinea a Bossi per salvare dalla galera (nonostante accuse ben più pesanti che per Papa) l’ex pupillo del ministro Tremonti. Non resta che augurare al delfino Maroni che la storia non si ripeta, passando magari- secondo la massima marxiana - da tragedia a farsa.