Nicola Borzi, Plus - Il Sole 24 Ore 7/4/2012, 7 aprile 2012
Uno sportello a metà - Per il sistema bancario sono ormai lontani i tempi d’oro, quando i rendimenti del capitale proprio - RoE - erano a doppia cifra, con picchi al 20%
Uno sportello a metà - Per il sistema bancario sono ormai lontani i tempi d’oro, quando i rendimenti del capitale proprio - RoE - erano a doppia cifra, con picchi al 20%. Era il biennio 2006/07, quando la grande ondata di fusioni e acquisizioni portava a valutare gli sportelli bancari interessati dalla campagna di shopping a una media di 9,8 milioni di euro l’uno. Quindi a strapagare – con somma gioia di molti azionisti, dai piccoli sino alle Fondazioni – istituti diversi per redditività, patrimonio, operatività. Ma, si disse, occorreva fare "massa critica", essere cacciatori e non lepri. Oggi però i bilanci 2011 dei 13 maggiori gruppi fanno paura: la perdita netta aggregata, anche per le svalutazioni degli avviamenti (goodwill), supera i 26 miliardi. Il taglio dei maxiavviamenti (la valutazione delle banche fuse o acquisite, basata sulle prospettive di redditività) è costato 28,38 miliardi alle prime cinque. Il valore degli sportelli, così, è crollato di pari passo. La svalutazione (impairment) degli avviamenti è dovuta agli Ias, i principi contabili internazionali. UniCredit l’ha effettuata per prima, cancellando 8,67 miliardi sui 20,428 di fine 2010 (gran parte relativi all’acquisizione di Capitalia). Intesa Sanpaolo ha ridotto di 10,233 miliardi i 19 di goodwill basati sulle valutazioni della fusione Milano-Torino. Mps ha azzerato 4,48 dei suoi 4,86 miliardi (Antonveneta era già in carico ad "appena" 3,34 miliardi dai 9 pagati), Banco Popolare per 2,8 da 4,409 legati all’aggregazione Popolare Verona e Novara - Banca Popolare Italiana e Ubi Banca per 2,2 miliardi sui 4,42, basati sulla fusione Popolari Unite - Banca Lombarda e Piemontese. Cifre superiori del 22,5% alle stime degli analisti. In uno studio del 20 gennaio, Kepler Capital Markets calcolava che nel 2010 il goodwill pesava in media il 30% del capitale proprio: 39,2% per Mps, 38% per Ubi, 37,4% per Banco Popolare, 32,8% per Intesa Sanpaolo e 22% per UniCredit. Per i primi cinque istituti il taglio degli avviamenti era atteso a 23,2 miliardi: oltre agli 8,7 di UniCredit ne erano previsti 5 per Intesa Sanpaolo, 4,5 per Mps e 2,5 ciascuno per Ubi e Banco Popolare. Dei 53,1 miliardi di avviamenti nei bilanci 2010, così, i primi cinque gruppi hanno azzerato in media il 53,4%: dal 42,4% di UniCredit sino al 92,2% di Mps. Se si applicano queste percentuali alla valutazione degli sportelli del 2006/07, il valore per filiale cala da 9,8 a 4,6 milioni, con un forchetta che ha come estremi Mps (i 9 milioni pagati per gli sportelli di Antonveneta si riducono a 0,7) e UniCredit: dai 10,8 milioni pagati per le filiali di Capitalia a 6,2. Crollo che equivale a quello dell’operatività allo sportello: meno 50% dal 2008 a oggi. È vero che la maggior parte delle rettifiche di avviamenti riguardano fusioni e acquisizioni non-cash, cioé carta contro carta. Visto che si è trattato di impatti puramente contabili in Borsa l’effetto è stato blando: sono solo emerse perdite già realizzate, senza incidere su patrimoni né liquidità. Però i tratti di penna sono legati alle attese sulla redditività, vero tallone d’Achille del settore. Kepler ha tagliato le stime medie sui ricavi 2012/13 del 3,3% per l’aumento medio del 7% delle perdite su crediti (da 82 a 89 punti base nel 2012 e da 74 a 83 nel 2013 rispetto ai 91 medi del 2011) e ha ridotto le previsioni medie sugli utili netti del 23,6 per cento. Il presidente dell’Abi Giuseppe Mussari, in un’audizione alla commissione Industria del Senato, il 4 aprile ha spiegato che «le banche mostrano una strutturale riduzione della generazione di redditività a ogni livello di conto economico. Il rendimento sul capitale proprio investito (Return on Equity) è tornato sui livelli di metà anni 90. Il Roe 2010 è stato poco superiore al 2%, penalizzante nel confronto internazionale e intersettoriale in un contesto prospettico che resta particolarmente sfavorevole per il mercato bancario italiano. Le banche non guadagnano il giusto, rischiano di cambiare natura e venir fagocitate dall’esterno, con grave danno per l’economia nazionale». La strada per recuperare valutazioni più realistiche sarà lunga e difficile. Nicola Borzi