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 2012  aprile 06 Venerdì calendario

BOSSI SE NE VA E SALVA LA LEGA

Vedere Umberto Bossi avviarsi al­l’uscita dalla Lega desta malinco­nia. Ha 70 anni, non è vecchio, ma è come se fosse vecchissimo. Ha avuto una vita spericolata, maleducata, una vita che non è mai troppo tardi, una vi­ta esagerata. Talmente esagerata da non es­sere mai stata raccontata in una biografia, benché su di lui ne siano state scritte tante, tutte lacunose, piene di buchi. Studente svogliato, sognatore, solitario. Un uomo co­­sì così. Che ne ha viste e passate di ogni colo­re, attraversando esperienze estreme: su e giù per le valli a improvvisare comizietti nelle osterie, convincendo gli avventori che la colpa dei guai nordici fosse dei terro­ni. Lo prendevano per matto, all’inizio, ma lo ascoltavano in tanti, sempre più numero­s­i e incuriositi da quel tipo stram­bo e un po’ guascone.
Poi un successo, piccolo picco­lo: l’ingresso in Parlamento nella Roma ladrona. Sembrava conclu­sa lì: una legislatura e via, tornare a casa a cercarsi un lavoro vero. Macché, alla seconda tornata il Fenomeno da baraccone guada­gna una quantità impressionan­te di voti. L’ascesa è irresistibile. Ma arriva la fatidica doccia fredda che se­gue immancabilmente quella calda: Bossi è colpito da un infartino, che lui definisce preinfarto, dandosi arie da quasi medico, quale in effetti è: solo quasi. Rientrato in pi­sta e, forte dell’affermazione ottenuta alle elezioni regionali (Lombardia), si getta nel­la mischia: infuria Mani pulite, il pentapar­tito è in crisi, c’è un clima da rivoluzione.
La gente vuole il nuovo. «Il nuovo che avanza» diventa uno slogan che non ha ri­scontro nella realtà, ma tutti si illudono che avanzi davvero e molti lo identificano nel leader paesano in canottiera, che arringa folle straripanti a Pontida. La caduta della Prima Repubblica è anche merito, o demerito, della Lega. Memora­bile un faccia a faccia televisivo tra Bossi e Ciriaco De Mita. Que­sti parla ininterrottamente un quarto d’ora sfoggiando un elo­quio arzigogolato e ostico. Il Se­natùr ascolta in silenzio, non batte ciglio, non tradisce alcun sentimento. Quando il microfo­no è suo, esordisce con questa frase, rivolta all’interlocutore sussiegoso: «Ma tachés al tram» (attaccati al tram).
Mai nessuno era riuscito a smontare con un verbo e un so­stantivo l’intellettuale della Ma­gna Grecia. Da morire dal ride­re. Sono soltanto episodi, ma servono per appassionarsi alla vita spericolata del signor Ca­nottiera, che non ha cercato di nascondere le sue origini pro­vinciali, direi rurali, anzi le ha ostentate, consapevole che il contrasto tra la sua schiettezza villana e il birignao dei politi­canti favorisse lui nel giudizio degli elettori. Aveva ragione.
Quanto avvenuto dopo, con la famosa discesa in campo di Silvio Berlusconi, è stato narra­to in tutte le salse dai media. Oc­corre aggiungere che il centro­destra si è imposto sul centrosi­nistra con l’apporto decisivo del Carroccio, dal quale Bossi scende ora nel peggiore dei mo­di, addolorando non solo la ba­se padana: anche l’amico Berlu­sconi non potrà più contare su di lui, almeno non quanto ave­va fatto fino ad alcuni mesi orso­no. Andiamo giù piatti. Termi­na un’era, bella o brutta che sia stata. E non sappiamo cosa ci aspetti.
I detrattori dei nordisti oggi hanno gioco facile. Compiaciu­ti, affermano che la Lega è un partito uguale agli altri: con i suoi furfanti, i furbetti e i delato­ri, per tacere degli arrampicato­ri indulgenti con se stessi e rigo­rosi con gli altri. Eppure il ma­landato Senatùr ha mille atte­nuanti, la più importante delle quali è la malattia micidiale che lo ha dimezzato, reso vulnerabi­le, bisognoso di assistenza e in­cline ad appoggiarsi a che gli sta vicino: il cosiddetto cerchio magico e la famiglia.
Lo stato di necessità è stato fa­tale per il Fondatore ferito. Si è dovuto affidare e fidare delle persone a lui care, che non gli hanno fornito un buon servi­zio. Lo hanno sopraffatto, pessi­mamente consigliato, spinto al­lo sbaraglio.
Emergono dall’inchiesta det­tagli imbarazzanti: soldi di qua e soldi di là, miserie umane e im­brogli che attribuire a Bossi, conciato com’è,sarebbe crude­le oltre che ingiusto. La verità è destinata a venire fuori, ma ci vorrà del tempo. Intanto, il vec­chio e acciac­cato leader molla il co­mando. Lo fanno presi­dente, figura inesistente fi­no a ieri nella Lega. Signifi­ca che i suoi non se la sono sentita di uc­cidere il pa­dre, si sono ac­contentati di toglierselo dai piedi, is­sandolo su un altare davan­ti al quale nes­suno preghe­r­à più per rice­vere la grazia di un posto. Questa è la gloria del mondo: sali in alto, voli, ti illudi di esse­re un’aquila, poi un pistola qualunque con la fionda ti abbatte co­me un piccio­ne. Voglio pensare che Bossi non ab­bia inganna­to le camicie verdi, ma sia stato inganna­to dagli affetti. E sia quindi per­donabile. Un leader malato è per definizione debole. Lascia­molo in pace.