FULVIA CAPRARA, La Stampa 7/4/2012, 7 aprile 2012
L’altra donna che nessuno amava - Ci sarà tanta Hollywood, come in una specie di «mea culpa» collettivo, nel film che la documentarista Liz Garbus sta realizzando a partire da Fragments , il libro (Feltrinelli) in cui sono raccolte le memorie autobiografiche di Marilyn Monroe
L’altra donna che nessuno amava - Ci sarà tanta Hollywood, come in una specie di «mea culpa» collettivo, nel film che la documentarista Liz Garbus sta realizzando a partire da Fragments , il libro (Feltrinelli) in cui sono raccolte le memorie autobiografiche di Marilyn Monroe. La sfilata di celebrità, annunciata durante l’ultima Berlinale insieme alla notizia dell’uscita, il prossimo 5 agosto,incoincidenzacon il cinquantesimo anniversario della morte della diva, comprende Uma Thurman, Viola Davis, Lindsay Lohan, Ellen Burstyn, Eva Rachel Wood, Lili Taylor, David Strathaim, Zoe Saldana e altri ancora. A Paul Giamatti è stato affidato il ruolo del regista George Cukor, mentre Murray Abraham sarà lo psichiatra. Per una volta tanti nomi importanti al servizio della vittima di un mondo che si rifiutò di riconoscere la sua fragilità: «Non le fu mai concessa - ha dichiarato Arthur Miller - la dignità che chiedeva...». Nello star-system all’apice della gloria «gli attori vengono trattati come strani animali che sanno fare certi trucchi, per questo introiettavano il disprezzo, una cultura del genere non è facile da sopportare, io sono convinto che abbia contribuito a distruggerla». Dal docufilm di Garbus verrà fuori una Marilyn intima e inattesa, e sarà lei stessa a raccontarsi perchè gli attori del cast daranno voce alle sue confidenze, ai diari, alle poesie, agli appunti custoditi nei taccuini, ma anche su fogli sparsi e perfino sul retro di vecchie fatture. Alla sua morte i materiali vennero consegnati al maestro Lee Strasberg che, distrutto dal dolore, senza nemmeno leggerli, li relegòinsoffitta.Lìsonorimastiperanni, fino al ritrovamento da parte della vedova Strasberg: «Gli attori - spiega Garbus - dovranno trasmettere al pubblico i timori e le ansie di Marilyn, raccontare le storie con gli uomini della sua vita, cause sia di felicità che di infelicità, descrivere l’insieme dell’ambiente in cui viveva». La colonna sonora, curata da Bonnie Greenberg e da Randy Edelman, avrà molta importanza e il produttore Stanley Buchtal ha già fatto sapere di aver preso contatti con diverse popstar che potrebbero essere ingaggiate per l’occasione: «In un primo tempo - ha annunciato Buchthal - avevamo pensato a un grosso nome che potesse leggere i testi di Marilyn in prima persona, ma poi abbiamo preferito celebrarla in un modo diverso». La miniera cui attingere è ricchissima, in Fragments , di cui Buchthal è curatore insieme a Bernard Comment, sono raccolti materiali provenienti dall’eredità di Miller e di Capote, ma soprattuttoquellepagineepaginedipensieri inediti e personalissimi. E poi le scoperte inattese, come la biblioteca cui la diva teneva moltissimo, comprendente oltre 400 classici tra cui Milton, Whitman, Dostojevski insieme a Hemingway, Beckett e Kerouac. La «dumb blonde» non finì mai di stupire: «Le poesie e le lettere - dice Buchthal rivelano una Marilyn diversissima da quella che siamo abituati a conoscere. Era colta, per nulla frivola e leggera, e questarivelazioneèstatapermemolto eccitante. C’è ancora un sacco di gente che non ha mai preso sul serio una persona così seria. Il film mostrerà quanto Marilyn fosse profonda, ispirata e interessante». Se ne accorsero, solo in parte, quelli che l’avevano conosciuta: «Marilyn non aveva fiducia in se stessa - confessa il regista George Cukor al collega Peter Bogdanovich che le dedica un capitolo nel suo libro (Fandango) Chi c’è in quel film? -. Le era molto difficile concentrarsi e non riusciva a credere di essere brava. Si angustiava per ogni genere di minuzie e faceva benissimo le cose più difficili». Howard Hawks rammenta che, quando l’aveva conosciuta, prima di Gli uomini preferiscono le bionde, «Marilyn non era tanto sexy, almeno nella vita reale. Non riusciva a trovare nessuno che la portasse fuori. La scarrozzava in giro un buffo agente alto un metro e mezzo». Truman Capote la definì «una bellissima bambina», ma Simone Signoret, che l’aveva conosciuta in America, insieme a Yves Montand, e che non le aveva mai serbato rancore, anche dopo la breve avventura fra lei e il suo compagno, rievoca, nel libro autobiografico, la Monroe solitaria del tempo libero, consumato chiusa in casa, senza trucco, spettinata, con addosso una vestaglietta da pochi soldi. Allora veniva fuori la vera Marilyn, quella delle confessioni amare e degli incubi che fanno venire i brividi: «Mi aprono... e non trovano assolutamente niente... è uscita soltanto segatura così sottile - come da una bambola di pezza - che si sparge sul pavimento e sul tavolo». Fragments mostrerà, ancora una volta, che dentro quella bambola c’era ben altro. A iniziare da un presagio oscuro, coltivato proprio al culmine del successo hollywoodiano: «Oh Dio, come vorrei essere morta/ assolutamente inesistente/scomparsa da qui/ da ogni posto».