Antonella Olivieri, Il Sole 24 Ore 7/4/2012, 7 aprile 2012
Mediobanca: «Rompere con il passato» - «Uscire dalla logica della "lottizzazione" e del personalismo per poter dotare Rcs di un consiglio e di un management adeguato ad affrontare la complessità e le sfide di un gruppo che opera in un settore già di per sè attraversato da profondi cambiamenti»
Mediobanca: «Rompere con il passato» - «Uscire dalla logica della "lottizzazione" e del personalismo per poter dotare Rcs di un consiglio e di un management adeguato ad affrontare la complessità e le sfide di un gruppo che opera in un settore già di per sè attraversato da profondi cambiamenti». Così Mediobanca ha ritenuto di interpretare il ruolo di primo azionista (fino a ieri, col 13,7%) della casa del Corriere della Sera, assumendosi la responsabilità di proporre la rottura degli schemi del passato. Schemi che, secondo la visione condivisa con il presidente Fiat John Elkann (secondo azionista del patto col 10,3%), avevano prodotto nell’ultimo decennio il risultato di soffocare la dinamica operativa del gruppo, subordinandola a considerazioni di ritorno "personale", e non invece finanziario, dell’investimento. L’esempio più eclatante? Secondo il vertice di Piazzetta Cuccia, la cacciata di un manager di successo come Vittorio Colao, l’attuale ceo di Vodafone, passato come una meteora dopo essere entrato in rotta di collisione con l’allora direttore del Corriere Paolo Mieli e gli azionisti del patto a lui più vicini. È vero che c’era ancora Colao alla guida di Rcs, quando il gruppo prese in considerazione l’ipotesi di acquistare Recoletos. Il manager bresciano era convinto della valenza strategica dell’operazione, ma scettico sul prezzo. Lo stesso management di Mediobanca riteneva che valesse il 30% in meno. Ma erano altri tempi e la Spagna non era certo il mercato sottopressione che è diventato oggi. Così nel 2007, subentrato l’attuale ad Antonello Perricone, fu completata l’acquisizione che oggi non ha retto alla prova dell’impairment, ma ha lasciato a Rcs l’eredità di un debito miliardario da rimborsare. Meglio fare un passo indietro come azionisti e lasciare spazio in consiglio a "indipendenti" che nel loro campo hanno un track record da vantare, è stata la considerazione per cercare di spezzare le logiche delle cordate. Logiche che si traducevano - si sottolinea – anche in continue discussioni nel board tra le varie anime dell’azionariato. Da ultimo si ricordano le contrapposizioni tra Diego Della Valle e Giuseppe Rotelli. Sulla cessione di Flammarion, per esempio, l’uno favorevole alla cessione di Flammarion, l’altro contrario, o sull’opportunità di un aumento di capitale, su sponde opposte a ruoli invertiti. Così, la scelta di voltar pagina con un board più snello e l’innesto di mager di importanti società e di caratura internazionale. Ma si è voluto intervenire anche sull’assetto di vertice, perchè convinti che una presidenza esecutiva, come quella interpretata da Piergaetano Marchetti, finisse per confliggere con le decisioni di business in capo all’ad. Su questa linea il tandem Mediobanca-Fiat ha trovato l’appoggio del presidente di Intesa-Sanpaolo Giovanni Bazoli, mentre all’inizio, a detta dei promotori del cambiamento, anche l’imprenditore della Tod’s era interessato a promuovere una svolta. È finita altrimenti. Mercoledì, all’inizio della riunione del patto, il nome di Diego Della Valle era nella lista di maggioranza, dove il numero dei consiglieri espressione dell’azionariato sindacato era di quattro e non di due, ma non c’era più quello di Perricone. Poi la discussione si è accesa. Della Valle forse ha avuto la percezione che avrebbe perso peso specifico nel nuovo board e comunque, come poi ripetuto nelle sue interviste, ha avuto parole pesanti per il triumvirato dei "cospiratori" – il presidente di Mediobanca Renato Pagliaro, Elkann e Bazoli – suscitando la reazione del presidente del patto Giampiero Pesenti. Alla fine non c’è stata altra scelta che consentire l’uscita dal patto di Della Valle. Fin qui il resoconto della vicenda, visto dall’ottica di Piazzetta Cuccia. Ma non è strano che a fare la rivoluzione siano stati proprio due azionisti, fino a ieri i primi due azionisti, che, secondo la vulgata, al prossimo rinnovo del patto tra un anno e mezzo potrebbero disimpegnarsi? In fondo era stato lo stesso Pagliaro a definire «innaturale» per una banca il ruolo di primo azionista di un gruppo editoriale, proprio quando alla presidenza di Mediobanca c’era ancora Cesare Geronzi, che era di tutt’altro avviso fino al punto di promuovere la discesa in campo dei "pesi massimi" dell’azionariato nel cda della Quotidiani. Ma l’interpretazione "autentica" di Piazzetta Cuccia è che, se non c’è alcuna ambizione di essere il primo azionista (e semmai, si potrebbe valutare al momento giusto un alleggerimento della posizione), nondimeno non si intende sottrarsi al compito di dare un contribuito alla stabilità e al rilancio del gruppo. Quanto a Fiat, si fa notare che la presa di posizione di Elkann va in tutt’altra direzione di quella di un disimpegno. Insomma, passo indietro sì, ma non rinuncia. Antonella Olivieri