Alessandro Penati, la Repubblica 7/4/2012, 7 aprile 2012
non È ancora finita la guerra del debito – È bastato lo scarso entusiasmo degli investitori per un´asta di titoli spagnoli questa settimana a risvegliare bruscamente chi si illudeva che ci fossimo già lasciati alle spalle il peggio della crisi del debito, e che la strada fosse tutta in discesa
non È ancora finita la guerra del debito – È bastato lo scarso entusiasmo degli investitori per un´asta di titoli spagnoli questa settimana a risvegliare bruscamente chi si illudeva che ci fossimo già lasciati alle spalle il peggio della crisi del debito, e che la strada fosse tutta in discesa. I tassi spagnoli a lungo termine hanno superato il 5,8%, avvicinandosi a livelli da "codice arancio". Il nostro spread a 10 anni è risalito in un mese di 56 punti, arrivando a 370; ma più preoccupante il rialzo di 139 punti, a ben 302, di quello a 2 anni, segnale più accurato della percezione del rischio dal parte degli investitori. L´indice delle banche dell´Eurozona ha perso il 17% dai massimi di marzo; le italiane hanno fatto peggio (da -20% di Intesa, a -32% Bpm). E l´euro si è indebolito contro dollaro e franco svizzero. Siamo ancora nella norma delle oscillazioni di mercato, ma una nuova fase acuta della crisi può ancora accadere; e come in natura, i terremoti arrivano all´improvviso spesso senza segni premonitori Questi segnali sono in netto contrasto con le facce soddisfatte dei governanti europei, che hanno appena deciso di aumentare la dotazione del fondo "salva Stati" a 800 milioni. A prescindere dalla contabilità molto discutibile (si sommano i 500 milioni del nuovo Fondo, da accumulare gradualmente, ai 300 milioni inutilizzati del vecchio, e che si ridurranno fino a esaurimento), non basterebbero certo se la crisi toccasse la Spagna; basti pensare che, per arginarla, la Bce ne ha sborsati 1.000 tra dicembre e febbraio. Ma il punto è che il Fondo serve poco a prevenire la crisi: che sia utilizzato per finanziare uno Stato incapace di farlo sul mercato, o per salvare un sistema bancario, arriva quando la crisi è già scoppiata, certificandola ufficialmente. E usare le risorse del Fondo per comprare titoli sul mercato potrebbe essere controproducente. La tendenza all´allargamento degli spread negli ultimi due anni è dovuto a uno spostamento generalizzato degli investitori dal debito di molti Stati dell´Eurozona verso quello di Stati "sicuri" (Germania e Usa), obbligazioni corporate e di Paesi emergenti, percepite come meno rischiose. I finanziamenti a pioggia della Bce hanno fornito alle banche le risorse per sostituirsi agli investitori esteri nella domanda di debito, causando il recente ribasso dei rendimenti sui titoli di Stato. Il ribasso è stato alimentato anche da acquisti di fondi speculativi, che hanno anticipato quello delle banche. Ma è una domanda artificiale che può invertire solo temporaneamente il trend degli spread; e aggrava la dipendenza dei titoli bancari dall´andamento del debito pubblico. Almeno fino a quando non torneranno in massa gli investitori internazionali. Questi stanno ancora alla larga dall´Eurozona perché ritengono che stia entrando nel circolo vizioso dell´austerità, che inasprisce la recessione, peggiora i conti pubblici e impone altra austerità. Una spirale che, non potendo svalutare e priva di una politica monetaria propria, ha già inghiottito la Grecia, lascia poche speranze al Portogallo e ora lambisce la Spagna. Un rischio che l´Italia sta sottovalutando. L´acclamata ristrutturazione del debito greco, poi, non ha risolto un problema, ma ha creato un pericoloso precedente. Ha dimostrato che l´euro non ha eliminato il rischio di perdite ingenti (tra 65 e 70% in Grecia) sul debito dei Paesi dell´Eurozona, come invece si credeva. Rischio che pertanto graverà a lungo sui Paesi indebitati, nonostante la moneta unica. Inoltre, il nuovo debito greco ristrutturato rende circa il 17%, segno che si ritiene probabile un altro default, e che la Grecia rimane tagliata fuori dal mercato dei capitali; ovvero la ristrutturazione è stata inutile. Nella misura in cui ha lasciato la Bce e le altre istituzioni immuni da perdite, ha creato una controproducente disparità di trattamento: se domani la Bce, o il nuovo Fondo, dovessero intervenire direttamente a sostegno di uno Stato, per gli investitori sarebbe un segnale di fuga, per non restare con il cerino acceso in mano.