PAOLO MASTROLILLI, La Stampa 8/4/2012, 8 aprile 2012
Jerry, il boia diventato abolizionista - Sono un assassino, dice Jerry Givens, e nessuno mi ha mai punito
Jerry, il boia diventato abolizionista - Sono un assassino, dice Jerry Givens, e nessuno mi ha mai punito. Ho ammazzato 62 persone, e mi hanno pure pagato. Mi ha pagato lo Stato, i contribuenti, perché di mestiere facevo il boia. Nel momento di premere il bottone mi sentivo come un drogato quando si inietta la dose, ma poi mi vergognavo così tanto, che a mia moglie e ai miei figli non ho mai raccontato la verità. Ora sono pentito, ma non ho rimorsi, per una sola ragione: so che Dio mi aveva messo laggiù per un motivo, e per un motivo preciso mi ha fatto uscire. Devo fermare la pena di morte. Storie così non se ne sentono spesso, perché in genere i boia preferiscono restare anonimi. Qualcuno non regge al peso del rimorso e si suicida, come hanno fatto a New York Dow Hover e John Hulbert. «Sono stanco di ammazzare gente», disse Hulbert, prima di spararsi. Invece Jerry Givens, 59 anni, ne è venuto fuori, e ora vuole raccontarci la sua vita con un libro intitolato Another day is not a promise. Era nato in una famiglia povera della Virginia e aveva perso il padre. Da giovane vide l’omicidio della ragazza a cui aveva appena chiesto di ballare: una lite, qualcosa. Le spararono, e si ritrovò il suo sangue tra le mani. Andò a lavorare in una piantagione di tabacco, ma lo licenziarono. Così fece domanda per diventare secondino: il posto giusto - pensò - per un armadio nero come me. Così giusto che gli chiesero di entrare nella squadra delle esecuzioni, straordinario per arrotondare lo stipendio: «Allora credevo che la pena di morte fosse un deterrente: se sai che ti uccidono, non uccidi. E poi in Virginia la pena di morte era sospesa. Accettai». Ma la pena di morte tornò in vigore, e il 10 agosto del 1982 si trovò davanti al suo primo condannato. Si chiamava Frank Coppola, un ex poliziotto che aveva violentato e ucciso. «C’era ancora la sedia elettrica. Faceva caldo, nel sotterraneo. Frank era l’unica persona tranquilla in quella stanza. Alzò i pollici per dire che era pronto, e io feci partire la scossa. Potevi vedere il fumo e sentire l’odore della carne bruciata. Quell’odore si era piantato nelle mie narici, anche quando ero tornato a casa. Pensavo fossero i vestiti. Li lavai: niente. Era ancora là. E poi, quando mia moglie cucinava qualcosa, tornava». Jerry è rimasto per 17 anni a capo dell’execution team della Virginia. Ha ucciso in totale 62 condannati, fra cui casi celebri come quello di Joseph O’Dell, che si professava innocente e ricevette una richiesta di grazia anche dal Papa. È passato dalla sedia elettrica all’iniezione letale: «Mi mandarono in Texas a imparare, perché nessun medico voleva partecipare». Dall’istante in cui la condanna diventava esecutiva, i detenuti erano con lui: «Li accompagnavo a vedere per l’ultima volta la madre, la moglie, il figlio. Terribile. Li portavo a fare la doccia. Alcuni piangevano sotto l’acqua, altri scherzavano: meglio andare in Paradiso pulito. Poi pregavo per loro, anche se non volevano». Ogni volta provava la stessa sensazione: «La chiamavo “executioner high”, come uno stato adrenalizzato che mi consentiva di uscire dalla realtà, mentre abbassavo la leva o rilasciavo il cocktail letale di farmaci. Dovevo trasformarmi per riuscirci, dovevo eliminarmi. Quella trasformazione poi restava li, poteva durare per settimane. Credo che mia moglie la notasse, ma non potevo spiegarla». Nel 2000 arrivò la liberazione. Jerry comprò un’auto per uno spacciatore di droga, che conosceva da quando erano bambini. Dice che era innocente, ma lo condannarono per riciclaggio e perse il posto di secondino. Da allora guida camion e si batte contro la pena di morte: «Dio mi ha detto: non ti preoccupare, vai fuori a salvare anime. Hai preso 62 vite, ma ne puoi salvare a milioni».