Maurizio Crosetti, la Repubblica 7/4/2012, 7 aprile 2012
Torino, l´uomo vestito per uccidere tutti i misteri di un killer fantasma – TORINO - Il Male ci cammina accanto in una mattina di sole, nel primo giorno di primavera
Torino, l´uomo vestito per uccidere tutti i misteri di un killer fantasma – TORINO - Il Male ci cammina accanto in una mattina di sole, nel primo giorno di primavera. Non ha fretta. Né alto né basso, più grasso che magro, ha un passo deciso, ritmico come le sue mosse, come i piani che architetta, insegue, realizza nella normalità che lo circonda e lo impregna. Il Male si copre il volto ma non si nasconde, è anzi tra noi, forse è uno di noi. Sta andando a uccidere un uomo, che poi non ci riesca è solo un caso, una via traversa del destino. Cammina elegante e sicuro, come se lo aspettasse non il sangue di una vittima ma un cappuccino con brioche. Perché è proprio l´ora della colazione. Sono le 7.50 del 21 marzo. Le pietre del centro storico di Torino, il porfido dove ogni cubetto è identico all´altro, non un millimetro di più o di meno - in questa città esiste una geometria capace di rassicurare, come di togliere il senno - rilucono come dopo un temporale. Il killer di Alberto Musy entra nelle videocamere di sorveglianza del ristorante "Il sicomoro", ma soprattutto fa ingresso nel mistero, e del tipo più subdolo: quello che mostra ma non svela, esibisce e non chiarisce. Guardatelo, il Male: ma non illudetevi di saperlo riconoscere la prossima volta. Eccolo che cammina tra i rari passanti, di fronte alle vetrine ancora chiuse. L´andatura oscilla appena, i piedi un po´ piatti. L´uomo trascina leggermente la gamba destra, forse ha un lieve dolore al ginocchio. Indossa abiti da ufficio, non da fuga tra i vicoli. Un trench verde scuro, elegante ma stretto, colpa di un accenno di pancia (il Male è di mezza età?) o forse di un´imbottitura. I pantaloni sono grigi, "a sigaretta", le scarpe marroni, non si capisce se allacciate o mocassini. Come ogni uomo vestito per uccidere, porta i guanti: neri, di pelle. Ma quella che conta è la testa. Ha un casco da motociclista, non integrale, quasi. Marca Acerbis, modello "Nano", nero con banda bianca e inserti metallici: il numero di pezzi venduti è limitato, forse l´unico vero indizio. Tra elmo e corpo, il killer ha messo una sciarpa grigia, e la sistema con la mano quando passa sotto la videocamera di via Barbaroux: sa di essere inquadrato e si copre meglio. Neppure uno spiraglio si aprirà nell´armatura. Un minuto e diciotto secondi: è il tempo del filmato, ed è un´eternità brevissima. L´uomo non si volta, è un automa con il bersaglio programmato. Cammina un po´ goffo, forse perché il Male ha il vezzo della normalità assoluta. Si mimetizza perché ci assomiglia. Procede dondolando, sfiora i muri chiari, passa sotto il tubo di una grondaia, incrocia un paio di ragazze - un punto-chiave: ci torneremo - poi un ciclista su una bici gialla del Comune. Il killer fa parte del paesaggio umano in un´alba appena trascorsa, sta dentro il giorno che comincia, non dà nell´occhio, regge con disinvoltura un pacco col braccio sinistro: due libri legati con una cinghia o una rete da motociclista, coperti da un giornale ripiegato. Forse uno scudo, oppure il pretesto per farsi aprire il portone. L´uomo è robusto, durante il video quel peso non vacilla e il braccio non si piega mai. Ha muscoli, il Male. Non sarà facile smascherare questo cavaliere nero. Non come l´assassino del rione Sanità, colui che l´undici maggio 2009 si fece riprendere a volto scoperto mentre sparava due colpi nella nuca di un altro, mezzo minuto di puro orrore. L´ucciso si chiamava Mariano Bacioterracino, stava fumando una sigaretta all´entrata del Bar Vergini e non poteva immaginare che fosse l´ultima. La morte gli arrivò addosso in jeans e cappellino con visiera. Perché ormai si vive e si muore, si tendono agguati e si fugge, tutto come dentro un film. Occhi di vetro scrutano con sguardo elettronico la nostra esistenza, o la fine della medesima, all´angolo della via. L´angolo che sta svoltando il killer di Alberto Musy: si capisce che non è un ragazzo, loro vanno troppo svelti o troppo lenti, sono emotivi e sussultano, questo sembra semmai uno scooterista cinquantenne, buongiorno dottore, come sta avvocato, tutto bene ingegnere? Il braccio destro ha una cadenza un po´ militare, o forse è la suggestione di chi non perde mai il passo, e sa che uccidere è prima di tutto una questione di ritmo. Il Male cammina tranquillo, spara cinque colpi calibro 38, torna in strada e non smarrisce la padronanza di sé. Non desta sospetti, né prima né dopo. È credibile, non allarma: per questo gli hanno aperto, per questo Alberto Musy lo incontra, lo ascolta e si fa quasi ammazzare. Poi le videocamere lo seguono verso l´uscita di scena, altro porfido sotto i piedi, altri muri chiari, altre feritoie sul marciapiede. Nel filmato, il mattino è opaco come se lo guardassimo appena svegli, o dopo due bicchieri di un bel vinello fresco. Sarà così che si mostra il Male, netto ma non nitido, banale eppure ambiguo come un demonio che sogghigna senza svelare gli occhi. Perché il problema, forse non è lui. Il problema siamo noi che gli passiamo accanto distratti, immersi nelle nostre varie apnee esistenziali. Il ciclista lo vede e non lo nota. La seconda ragazza gli cammina alle spalle ed è tutto normale, tutto giusto. I due passanti lo seguono e ogni cosa è già accaduta, parlano tra loro, uno sorride. Come potrebbero sapere, intuire? E poi c´è la prima ragazza, quella col giaccone scuro, l´unico viso che incrociando il Male si volta per un istante piccolissimo: il capo si piega appena, neanche lei si è accorta, prosegue la mattina, prosegue la vita. Il Male non la guarda neppure. Un´altra volta, semmai.