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 2012  aprile 08 Domenica calendario

TUTTO QUELLO CHE SOFRI NON VUOLE SENTIRE

Caro Sofri, che “gliene cale” a lei se a Piazza Fontana sono esplose una o due bombe? Cosa cambia, visto che la mia inchiesta “Il segreto di Piazza Fontana”, da lei così sarcasticamente attaccata, inchioda fascisti di Ordine Nuovo, politici, servizi segreti italiani e stranieri alle loro responsabilità? Perché le due bombe, che potrebbero permettere di capire a fondo il “modulo” usato dai servizi per tappare la bocca a tutti, le sono così indigeste?

Non c’è nell’inchiesta un punto – se non le due bombe – che diverga da quel senso comune storico che non è bastato, però, nonostante 11 giudizi, a mettere ordine nelle tessere scomposte del mosaico della strage. E allora perché questo tentativo di stroncare – non di criticare – questa mia tesi?

Non ripropongo la pista anarchica, né gli opposti estremismi, né la commistione tra rossi e neri: parlo di una trappola studiata a tavolino, pianificata con l’infiltrazione, realizzata attraverso l’intervento di un fascista che “raddoppia” una specie di petardo attaccato a un orologio, che l’avrebbe fatto scoppiare certamente a banca chiusa. Si tratta di un modulo poi usato altre volte da Ordine Nuovo. Dov’è lo scandalo? Nell’agosto 1969, dopo le bombe del 25 aprile messe dai fascisti, vanno in galera gli anarchici; dopo le bombe sui treni messe dai fascisti, vanno in galera gli anarchici; dopo Piazza Fontana vanno in galera gli anarchici, ma la bomba che uccide l’han messa i fascisti. In tutti e tre i casi, il costante tentativo di coinvolgere la sinistra con tecniche che racconto in dettaglio.

Alcuni pensano che lei non sia un interlocutore perché parte in causa o perché condannato per l’uccisione di Calabresi. Io non lo penso, ma lei non è il depositario della verità su Piazza Fontana. Semmai il custode di un segreto politico amministrato per decenni.

I PIÙ non comprendono tanta veemenza e cosa le renda insopportabile questa lettura complessiva della strage, dei suoi retroscena operativi e politici, visto che dimostra proprio quello che a suo tempo Lotta continua cercava di raccontare con la sua contro-informazione. Perché tanto nervosismo dopo tanto silenzio? Il mio libro è uscito nel maggio 2009. All’epoca lei scrisse che “faceva caldo” (il “Maestro” era troppo assorto, troppo in alto per abbassarsi a rispondere). Ora ha scritto oltre cento pagine che attaccano, divagano, insultano, con l’unico intento di gettare un anatema sulla mia tesi. Non se ne può discutere perché lei si stranisce e smadonna? Scusi, Sofri, ma lei chi è? Un tribunale? Un’entità morale superiore? Lei è parte interessata, perché la strage e la morte di Pinelli sono legate anche all’inchiesta che Calabresi intraprese sui retroscena del 12 dicembre – dopo un percorso che il film di Giordana sintetizza, anche se non racconta che quel dossier fu fatto sparire dalla scrivania del commissario dopo la sua uccisione –. A fine maggio del 1972 Calabresi avrebbe dovuto dar conto ai magistrati di quello che aveva scoperto. In questa confusione di ruoli e opinioni (si sono visti storici, per di più in ginocchio, dar lezioni con la penna tremolante), “Romanzo di una strage” è un’opera “corsara”, nel segno di Pasolini, perché rompe – nel rispetto di tutti i protagonisti di quella tragedia – un tabù che non doveva essere violato. Ecco perché lei ha atteso l’uscita del film per far colare odio sulla mia inchiesta . Come fa, ad esempio, con cinismo sconfinato, attribuendomi la volontà di “‘infangare” Pinelli, leggendo quel capitolo con una superficialità che non è concessa a lei, che per anni si è “nascosto” dietro quella morte per giustificare le accuse orribili a Calabresi. Anche perché lei nel 2009 chiude il suo “La notte che Pinelli” gettando la spugna. Alla giovane che le chiede cosa sia successo in quella stanza lei dice: “Non lo so”. Proprio lei?

Il libro tenta di spiegare perché spariscono i reperti decisivi per capire l’operazione – i finti manifesti anarchici, la miccia nel salone della Bna, l’esplosivo che raddoppia la bombetta depositata da una mano ignara – ma lei cassa tutto, ridicolizza, sostiene che le fonti sono anonime e per di più di destra. Un’altra menzogna. Ho fondato tutto sul solo lavoro d’inchiesta. In appendice, c’è una testimonianza di un fascista che ho cercato io, forte degli elementi raccolti. Nel testo riporto due, tre volte alcune sue affermazioni, tutelo la sua identità come ha chiesto quel signore e mi impone la mia professione. Non è anonima la testimonianza di Silvano Russomanno, da cui sono andato non come dice lei, a chiedere informazioni, ma per raccogliere anche la sua versione dei fatti; né quella di Ugo Paolillo, il primo magistrato a indagare sulla strage e a cui venne tolta l’inchiesta perché stava capendo cosa era avvenuto. Del resto, lei stesso nel suo “L’Ombra di Moro” (pag. 20) sostiene tutto su una fonte anonima, in base alla quale Licio Gelli avrebbe partecipato a riunioni di esperti durante il sequestro Moro al ministero della Marina.

Contro la mia lettura dei fatti si è scatenata un’isterica campagna, ridicola e fuori del tempo, con vette di vera comicità. Come quando il direttore di Repubblica fa il “copia e incolla” dal dossier Sofri, gridando che non ci sono sufficienti verità giudiziarie sulla strage, per poi criticarmi perché il mio libro non avrebbe riscontri giudiziari! Legge Sofri, ma non la fonte delle critiche di Sofri e sostiene, insomma, che mi sarei inventato tutto.

NON SAREBBE più utile ricordare che alla magistratura fu impedito di capire? Lo ammette la sentenza di Catanzaro del 1981 quando dice che i giudici non sono riusciti a indagare il ruolo del fascista Mario Merlino nel gruppo “22 marzo”, quello definito da Gerardo D’Ambrosio, ne “Il Belpaese”, “un circolo pseudo -anarchico perché, a contarli tutti, di esso facevano parte fascisti, infiltrati, informatori, addirittura un agente di pubblica sicurezza in incognito”. Merlino era l’anello di congiunzione tra gli imputati del gruppo veneto e del gruppo pseudo-anarchico. Il danno investigativo e di conoscenza fu irreparabile. Ma tutto questo per lei non conta.

Il film “Romanzo di una strage”, al di là delle differenze, anche consistenti, con il mio lavoro, coglie narrativamente il nucleo che tiene prigioniera questa vicenda ancora oggi e che spiega la virulenza della sua reazione: le doppie bombe e le bombe in più che dovevano scoppiare a Milano. Ecco perché lei ha atteso il film per replicare a un libro di tre anni prima. L’obiettivo è la de-legittimazione dell’ipotesi della doppia bomba. Perché la tutela del segreto di Piazza Fontana è il cuore della battaglia combattuta da Lc. “Romanzo di una strage” è il film che rivela quel segreto, lo divulga, lo fa entrare nel circuito popolare. Questo è il nocciolo dell’isteria. E ora capisco bene perché a lei, Sofri, sia cara una frase di Kafka: “Non ci fa tanto male ricordare le nostre malefatte passate, quanto vedere i cattivi effetti delle azioni che credevamo buone”.

*Autore de “Il segreto di Piazza