Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  aprile 06 Venerdì calendario

DIRITTO DI REPLICA

Diritto di Replica

Avendo io ridicolizzato la tesi di un libro su Piazza Fontana che raddoppia le bombe e ne assegna una agli anarchici e una ai fascisti, Marco Travaglio scrive che “solo Sofri può spiegare” perché Federico Umberto D’Amato, eminenza nera degli Affari Riservati, si fosse rivolto “proprio a lui (Sofri)”. Si tratta di un episodio, raccontato da me cinque anni fa, che sarà ignoto alla stragrande maggioranza dei suoi lettori, ai quali vorrei indicare dove trovare il mio articolo, per es. qui: ht  tp://www.ristretti.it/commen  ti/2007/maggio/30maggio.html  . A qualunque cosa mirasse quella provocazione, evidentemente la mancò, a meno che gli bastasse poter aggiungere al suo curriculum un incontro con me. (Tutte le carte “segrete” riguardanti quegli anni dovrebbero essere rese pubbliche, comprese quelle di polizia, e non solo attraverso bidoni di spazzatura). L’interpretazione che ne dà Travaglio, che quel signore venisse a parlarmi confidando nella mia qualità di capo di una banda di omicidi, è troppo lusinghiera perché io vi acceda. Non ho una sola parola da aggiungere a quel resoconto. In cambio mi lasci annotare che il Travaglio che mi ammonisce a “spiegare” è già un passo avanti rispetto al Travaglio che nel 1996 mi intimava di “implorare l’indulgenza plenaria da quello Stato borghese che... sognava di rovesciare. Ma lo faccia alla chetichella, dietro le quinte, con un fil di voce, lasciando perdere le tv e i giornali... E quando uscirà di galera, lo faccia in punta di piedi, strisciando contro i muri magari nottetempo, senza farsi vedere né sentire... Meglio che scompaia dalla circolazione. Perché a qualcuno, sentendolo ancora parlare, potrebbe venire la tentazione di ripensarci e di andarlo a cercare”. Gli diedi allora l’indirizzo dei miei itinerari diurni, al centro della strada. Non sono cambiati.

Adriano Sofri

La questione è molto semplice. Io (ma non soltanto io: vedi le dichiarazioni da me citate di Erri De Luca) non credo al racconto che Sofri fa del suo incontro col capo dell’Ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno, il famigerato Federico Umberto D’Amato che, presentatogli da un conoscente comune, sarebbe andato a casa sua per proporgli “un mazzetto di omicidi” e garantirgli la successiva impunità. Non ci credo perché D’Amato non era così sprovveduto da rendere visita a domicilio all’allora capo di un’organizzazione rivoluzionaria, senza neppure sincerarsi di non essere ripreso, registrato e dunque in seguito sputtanato da chi (in teoria) aveva tutto l’interesse a screditare un così altolocato rappresentante delle istituzioni che Lotta continua si proponeva di abbattere. Sofri ritiene di non dover aggiungere una sola parola? Pazienza. Chi nutriva dubbi sulla completezza del suo racconto continuerà a nutrirli. Che poi il vertice di Lotta continua fosse coinvolto in almeno un omicidio non lo dico io: lo dicono due sentenze definitive della Cassazione che indicano in Sofri, Pietrostefani (tuttora latitante), Bompressi e Marino i responsabili dell’assassinio del commissario Luigi Calabresi. Il che, almeno sulla carta, potrebbe spiegare come mai D’Amato si rivolse qualche anno dopo proprio a Sofri per commissionargli altri omicidi. Quanto poi alle frasi che Sofri estrae da un mio articolo uscito sul Giorno nel 1996, le riscriverei tali e quali oggi se si riproducesse la circostanza che le originò: una vergognosa puntata di “Porta a Porta” in cui il capo delle Brigate Rosse, Renato Curcio, e il capo di Lotta continua, Adriano Sofri, all’epoca entrambi detenuti, discettavano amabilmente di amnistia (anzi, di autoamnistia) in una puntata dal titolo “Si può uscire dall’emergenza degli anni di piombo?”. Pensai, e continuo a pensare, che chi è stato condannato per delitti così orribili, ma soprattutto chi scriveva cose orrende come quelle che portarono al linciaggio di Calabresi e di altri “nemici del popolo”, dovrebbe evitare di impartire lezioni di morale o di politica agli altri. Non foss’altro che per rispetto per le vittime. E che queste, per anni regolarmente escluse dai dibattiti sull’amnistia e sull’uscita dall’emergenza”, avessero tutto il diritto di andare a cercare questi signori per dirgliene quattro.

(m.trav.)