Elisabetta Ambrosi, Il Fatto Quotidiano 6/4/2012, 6 aprile 2012
PSICOLOGIPERCASO,CURATORI PERPROFESSIONE,COMMERCIANTIPER NECESSITÀ:ILRAPPORTOCONGLISCRITTORIRACCONTATODACHI“FANASCERE”LELOROOPERE
PSICOLOGIPERCASO,CURATORI PERPROFESSIONE,COMMERCIANTIPER NECESSITÀ:ILRAPPORTOCONGLISCRITTORIRACCONTATODACHI“FANASCERE”LELOROOPERE –
Seriamente: tra Bocciolo di rosa di tale Melissa Panarello e Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire di Melissa P. quale avrebbe catturato la vostra attenzione, prima della fama dell’autrice? Di sicuro il secondo, diventato un best-seller grazie a un sapiente intervento dell’editore Fazi rispetto al manoscritto originale (poi ripubblicato all’insaputa dell’autrice dall’editore Borelli). Inutile nasconderlo: oggi l’editor è una figura tuttofare di cui è impossibile fare a meno. Va a caccia di talenti, propone agli autori temi e argomenti, chiede tagli e revisioni, decide titolo e copertina. “Pensi ad Antonio Tabucchi : non è mai stato disposto a venir meno all’urgenza del suo stile, ma pretendeva un buon lavoro di editing. A volte, diceva, questo è un libro su cui non è stato fatto un editing”, ricorda Alberto Rollo, editor Feltrinelli di narrativa italiana, che lavora tra gli altri con Stefano Benni, Simonetta Agnello Hornby, Alessandro Baricco. Oggi questa figura professionale, una sorta di precettore-psicologo-espertocommerciale, è in costante aumento. Per due ragioni: la prima, come ci spiega sempre Rollo, è che i nuovi scrittori sono aumentati del duecento per cento. 60.000 titoli l’anno tra produzioni e ristampe, per 7.500 editori, fanno intuire un piccolo esercito di professionisti, per un quarto dedito alla narrativa, il resto a saggistica, manualistica e libri per ragazzi. La seconda ce la ricorda invece Alessia Graziano, editor del Mulino abituata a maneggiare testi hard di filosofi e scienziati (è l’ideatrice delle collane sui vizi capitali e sui dieci comandamenti): “A partire dalle università, nel nostro paese è sempre mancata una cultura della divulgazione del sapere scientifico: un bravo editore cerca di sopperire a questa lacuna”. Nobile divulgazione a parte, l’impressione è che oggi si intervenga a gamba tesa sui testi, finendo, a volte, per trasfigurarli (magari a fin di bene). Anche se c’è chi sostiene, come Paola Gallo, responsabile narrativa italiana per Einaudi, che “fare editing per me non significa altro che leggere un libro con la matita in mano”, le immagini che chi fa questo mestiere usa per autodefinirsi spesso raccontano di un mestiere che sembra andare oltre la rilettura col pennarello rosso.
“L’EDITOR fa il lavoro paziente della levatrice, abituata a lenire i dolori del parto; fa il mestiere del fabbro, che non teme le altissime temperature e lo stridio del metallo perché una lama assuma la sua forma; fa il lavoro tenace dello sherpa, che porta sulle spalle i viveri perché la vetta sia raggiunta”, scrive con tocco lirico Giulia Ichino, editor Mondadori di narrativa italiana, su Faberblog del Sole 24 Ore. Ma non provate a definirli come dei demiurghi che plasmano l’autore a sua insaputa. “Certamente si può tagliare, ri-montare, indicare passaggi da riscrivere, chiedere ampliamenti, ma l’idea dell’editor che riscrivere parti intere del testo a dispetto delle idee dell’autore è connessa a un mito demiurgico che è, appunto, un mito”, risponde Mattia De Bernardis , responsabile saggistica Feltrinelli. “I testi non sono le tavole della legge, ci si può fare qualunque cosa, purché a farlo sia l’autore”, commenta Guglielmo Cutolo, editor Longanesi che ha lavorato sull’ultimo romanzo di Massimo Gramellini. “L’editor è piuttosto il primo lettore, lo sguardo-specchio che attende l’autore dopo mesi di scrittura solitaria. Il suono delle parole non cambia, ma il fatto stesso che siano rivolte a qualcun altro ne modifica in profondità la natura”, dice Paola Gallo. A detta di tutti, insomma, l’autore resta sovrano. Ma sempre di più appare come una figura fragile, che va protetta e, in un rapporto quasi terapeutico, liberata da inquietudini e frustrazioni. “Mi sento come un allenatore o un medico a bordo campo che porta le prime cure all’infortunato”, spiega Guglielmo Cutolo.
“Lo scrittore è di fatto un ego esposto e se non capisco il rischio di quell’esporsi non sto facendo il mio lavoro”, dice Rollo. “Editor significa curatore, una figura che si prende cura di un testo e della persona che lo scrive, accompagnandolo in tutte le fasi” , sottolinea Francesco Anzelmo, direttore saggistica di Mondadori, che lavora con Federico Rampini e Mario Calabresi. “Un editor è un confidente, risponde a tutte le ore, raccoglie gli sfoghi, scarica su di noi una valanga emotiva”, ammette Enrico Racca, editor Sperling per la saggistica (e di Luca Telese). Però “alla fine, se tutto avrà funzionato, l’autore sarà grato all’editor per l’aiuto ricevuto e l’editor avrà avuto la fortuna di partecipare alla nascita di un buon libro”, conclude sempre Cutolo. In questo rapporto di transfert e contro-transfert, nel nome del mercato, il rischio è che l’autore finisca per assimilare a tal punto le indicazioni del suo editor da non sapere più dove voleva davvero arrivare. E magari ritrovarsi... dove si trovano tutti gli altri. Perché talvolta è difficile sottrarsi alla sensazione che i libri, proprio grazie agli interventi degli editor, abbiano sempre più lo stesso profumo, la stessa struttura narrativa, lo stesso modo di disporre i contenuti, le stesse copertine. Si ha il dubbio che storie davvero irregolari, emozioni che mettono a disagio, stili di scrittura duri e persino respingenti, trovino più ostacoli a essere pubblicati che altrove.
OPPURE vengano standardizzati, quasi che l’editor, nel tentativo troppo zelante di cogliere lo spirito del tempo, finisse di fatto per omologare. “È vero che c’è meno sperimentazione che negli anni Sessanta e Settanta, ma succede anche nella musica e nel cinema e non dipende certo dalla nostra editoria”, spiega Cutolo. “E poi di quegli anni posso rimpiangere i libri di Giorgio Manganelli, ma sicuramente non quelli di Nanni Balestrini e dei suoi odierni imitatori. Inoltre di saggi ostici e interessanti e di romanzi strutturalmente e stilisticamente complessi, penso ad Antonio Moresco, ne escono ancora oggi”. “Cercare di intercettare il gusto dominante non significa andare pedissequamente incontro a quello che va, ma sentire il sapere e il rumore del tempo – risponde a sua volta Alberto Rollo – È necessario sapere cosa i lettori sono in grado di accettare, le storie in cui i lettori non esercitati sono immediatamente in grado di abitare”. “È normale che ci siano delle mode, dai gialli nordici ai rosa”, dice a sua volta Francesca Varotto, l’editor Marsilio che ha scoperto Stieg Larsson. “Se qualcosa funziona si cerca di intercettarla, senza rinunciare alla propria identità. Gli editori devono pur vendere”. Col mercato non si scherza, e questo è sicuro. Però, qualche volta, si potrebbe gettare il cuore oltre l’ostacolo di una sintassi atipica, o di una storia meno addomesticata. Come ha detto Pietrangelo Buttafuoco in una celebre frase a proposito del suo editor, “tu cachi diavoli e lui ne fa angeli del paradiso”. Ecco, cari editor: sicuri che con i diavoli non si venda di più?