Enrico Marro, Corriere della Sera 07/04/2012, 7 aprile 2012
«IL PREMIER HA SALVATO IL PAESE MA IL PARLAMENTO CAMBI LA RIFORMA» —
Presidente che fa, anche lei ritira il sì alla riforma verbalizzato da Monti a Palazzo Chigi il 20 marzo?
«Noi — risponde Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria — siamo stati gli unici davvero leali rispetto a quella riunione. Quel testo lo avevamo condiviso nonostante già ci fossero per noi cose indigeste. Ma purtroppo, nella notte tra martedì e mercoledì, è stato peggiorato sia sull’articolo 18, dove è stato reintrodotto il reintegro anche sui licenziamenti per motivi economici, sia sulla flessibilità in entrata. Questo testo è sbagliato, ma è il governo che ha cambiato posizione, non Confindustria».
Se è così, il metodo seguito non ha funzionato.
«Vediamo come sono andate le cose. Il governo ha fatto una trattativa con le parti sociali ed è arrivato a verbalizzare una conclusione che ha visto il consenso di tutte le parti sociali tranne la Cgil; ma dopo ha cambiato la parte sull’articolo 18, nonostante Monti in conferenza stampa avesse detto che non si toccava più, e ha irrigidito la flessibilità in entrata. Se è così, tanto valeva non farla la trattativa».
Dopo questo scontro è cambiato il giudizio di Confindustria sul governo?
«No. Noi siamo stati tra coloro che più hanno sostenuto la necessità che nascesse il governo Monti. Ribadisco che il premier ha tirato fuori l’Italia dal baratro. I primi passi sono stati nella direzione giusta e continuo a pensare che il governo debba andare avanti. Ma proprio per questo, sento il dovere di dire che questa riforma è negativa per il Paese».
E quindi va cambiata in Parlamento?
«Certo, va cambiata profondamente e se ciò avverrà il nostro giudizio potrà mutare. Altrimenti il rischio è che, per vent’anni, ci teniamo una cattiva riforma».
Se alla Camere comincia un tira e molla sulla riforma, Monti metterà la fiducia.
«È un suo diritto, ma questo sarebbe negativo, perché la riforma è sbagliata».
Partiamo dal riordino dei contratti. Che cosa c’è che non va?
«In Europa non c’è nessun Paese dove il contratto a termine costa più di quello subordinato. Ora qui si fanno costare di più addirittura i contratti stagionali che non possono che essere temporanei. Come si può pensare di penalizzare questi contratti nel turismo o nei trasporti marittimi e aeroportuali? Avevamo avuto dal governo affidamenti che il prelievo aggiuntivo dell’1,4% sarebbe stato escluso in questi casi, invece niente».
Ammetterà che bisogna ridurre l’abuso di partite Iva, co.co.pro e associati in partecipazione, altrimenti l’80% dei giovani continuerà ad avere contratti temporanei.
«Gli abusi vanno combattuti, ma con i controlli degli ispettori del Lavoro, non con una presunzione automatica di illecito, per cui il rapporto di lavoro si trasforma in subordinato. Questo approccio forse poteva andare bene nel vecchio mondo fordista, ma le cose sono cambiate. Questa norma penalizza fortemente l’autoimpiego e le start-up, soprattutto di giovani. Le faccio un esempio. Se io prendo un giovane softwarista che ha la partita Iva ed è contento di averla e sta nella mia azienda per sei mesi per sviluppare un software complicato e io gli do una scrivania, rischio di doverlo assumere. Ma si immagina a che cosa andiamo incontro? Da ieri mi sono arrivate decine di telefonate da imprenditori terrorizzati per il rischio che il contenzioso esploda».
Il governo dice che la riforma favorirà l’aumento dell’occupazione. Anzi, della buona occupazione.
«No. Il rischio, invece, è che le imprese, spaventate dai nuovi vincoli, non ricorrano più nemmeno ai contratti flessibili. Con la presunzione di abuso non si combatte la precarietà, ma si ammazza anche la flessibilità buona».
E quindi potrebbe aumentare il lavoro nero?
«Esatto».
Il riordino dei contratti non va bene, quindi. E i nuovi ammortizzatori sociali?
«Questa parte la condividiamo. È giusto avere un approccio più universalistico. E Confindustria ha accettato una rinuncia dolorosa, quella all’indennità di mobilità, che pure ci è servita per gestire senza problemi ristrutturazioni e crisi. E questo — per rispondere al ministro del Lavoro Elsa Fornero — dimostra il nostro senso di responsabilità. Mi lasci però dire che le nuove tasse per finanziare questi ammortizzatori non sono una gran trovata».
Veniamo all’articolo 18. Monti dice che il reintegro sui licenziamenti economici potrà avvenire in casi eccezionali e che l’indennizzo sarà la regola. Se è così perché protestate?
«Perché mentre la formulazione precedente era chiara e non dava più luogo al reintegro, ma solo al pagamento di un indennizzo generoso, più alto della media europea, il nuovo articolo 18 apre un problema di interpretazione del giudice. Si torna all’incertezza, c’è meno prevedibilità. Invece gli investitori italiani ed esteri chiedono certezza. Nessuno sa che cosa succederà, se cioè prevarranno gli indennizzi, come dice il presidente del Consiglio, o i reintegri».
Era meglio non far nulla?
«No. Sull’articolo 18 c’è un modesto avanzamento rispetto ad oggi, ma è una soluzione a metà, che rimane nella nebbia».
Ma le pare esagerato che per un licenziamento economico dai motivi manifestamente insussistenti sia previsto il reintegro?
«Il reintegro non c’è negli altri Paesi. In pratica neppure in Germania».
Secondo diversi imprenditori, tra i quali il prossimo presidente di Confindustria designato Giorgio Squinzi, l’articolo 18 non è una questione prioritaria. Secondo lei?
«Io non ho mai detto che se riformiamo l’articolo 18, domani ricominciamo a crescere. Però è un fattore che influisce, insieme alla burocrazia, agli investimenti in formazione, innovazione, infrastrutture e all’abbassamento delle tasse».
Lei nella sua esperienza quante persone ha licenziato?
«Pochissime, davvero. Perché per fortuna la mia azienda è sempre cresciuta. Ma tante aziende, in caso di necessità o crisi, neanche ci provano a licenziare perché è troppo complicato. E quindi il problema esiste».
Il governo dice che il contenzioso diminuirà perché la maggior parte delle controversie si risolverà in sede di conciliazione obbligatoria. Secondo lei?
«La conciliazione è molto importante però, affinché funzioni, bisogna correggere la norma introducendo meccanismi che non consentano di bloccare in maniera pretestuosa l’iter».
La Fiom sostiene che l’articolo 18 è stato smantellato, la Cgil parla di risultato positivo. Chi ha ragione?
«È la prova che la soluzione trovata non è chiara. Ognuno la interpreta come meglio crede».
Secondo Fornero è solo un teatrino delle parti sociali.
«Io a differenza sua, che ha parlato di reazione isterica, usando proprio lei un termine molto maschilista, dico che la stimo e la considero brava. Però se tutto il mondo delle imprese dice che non va bene mentre la Cgil dice che va bene, è una soluzione equilibrata?».
Monti e Fornero sono irritati per le sue critiche perché dare l’impressione ai mercati che per gli imprenditori italiani non è cambiato niente fa saltare gli sforzi del governo di rendere attrattivi gli investimenti nel nostro Paese. Non crede che abbiano ragione?
«Quando Fornero dice "le imprese non hanno più alibi per investire e assumere" non è così, perché aumentano le incertezze e aumentano i costi».
Lei è al termine del suo mandato. Se glielo chiedessero, si candiderebbe? Ci sarà nel suo futuro la politica?
«No, assolutamente no. Voglio tornare in azienda. E a fare la mamma. Mia figlia di nove anni mi aspetta».
Enrico Marro