Sergio Romano, Corriere della Sera 8/4/2012 (Pasqua), 8 aprile 2012
In un articolo del Corriere in occasione del restauro della Galleria di Alessandro VII del Quirinale, si parla dell’occupazione dello stesso nel 1809 da parte delle truppe napoleoniche
In un articolo del Corriere in occasione del restauro della Galleria di Alessandro VII del Quirinale, si parla dell’occupazione dello stesso nel 1809 da parte delle truppe napoleoniche. E si fa cenno del progetto di trasformarlo in reggia imperiale per Napoleone e Maria Luisa. L’articolo aggiunge: «come si sa» i due imperatori non giunsero mai a Roma e, citando Chateaubriand, Roma rimase la vera ferita nel cuore di Napoleone. Quale fu la logica del comportamento di Napoleone nei riguardi della Chiesa? In una campagna d’Italia sottrae allo Stato Pontificio la Romagna e firma un armistizio (1796), fa un concordato con la Santa Sede (1801), occupa Roma, cattura e addirittura deporta il Papa Pio VII (1809). Qual è il senso di tutto ciò? Remo Colombo remocolombo@alice.it Caro Colombo, Fra il giovane generale Bonaparte, ansioso di conquistare la gloria sui campi di battaglia italiani, e il Primo console, ormai giunto al vertice dello Stato e deciso a consolidare il suo potere, esistono importanti differenze. Alla vigilia del Concordato la Francia è divisa, sul piano religioso, tra il clero costituzionale e il clero refrattario. Il primo è composto da sacerdoti e vescovi che hanno accettato la costituzione civile del clero e giurato fedeltà alla Repubblica; il secondo da coloro che sono rimasti fedeli alla Chiesa romana. Napoleone sa che questa divisione disturba le coscienze di una buona parte della società e rappresenta quindi un rischio per l’unità della nazione. In un discorso al Consiglio di Stato dichiara spregiudicatamente: «La mia politica consiste nel governare gli uomini secondo i desideri del maggior numero. È questo, a mio avviso, il modo per riconoscere la sovranità del popolo. Mi sono fatto cattolico per vincere la guerra di Vandea. Mi sono fatto musulmano per insediarmi in Egitto. Mi sono fatto ultramontano (il nome dato ai cattolici francesi particolarmente legati a Roma, ndr) per conquistare lo spirito degli italiani. Se governassi un popolo ebraico, ricostruirei il Tempio di Salomone». Deciso a stipulare un Concordato, Napoleone ebbe la fortuna di trovare sulla sua strada un Papa a cui premeva soprattutto che la Chiesa francese potesse riprendere possesso delle sue funzioni tradizionali. Pio VII e il cardinale Consalvi accettarono la confisca dei beni ecclesiastici e la pluralità delle religioni tollerate, ma ottennero la eliminazione dei vescovi costituzionali e, soprattutto, il riconoscimento della libertà di culto come un bene pubblico. Fu deciso che i vescovi sarebbero stati nominati dallo Stato, ma investiti dal Papa, e che i parroci sarebbero stati nominati dai vescovi. Dopo la pubblicazione del Concordato, il 18 aprile 1802, ciascuno dei due firmatari, Napoleone e Pio VII, dovettero battersi contro gli intransigenti del proprio campo. Ma il documento, almeno per il momento, conveniva a entrambe le parti. Su un punto, tuttavia, Napoleone non era disposto a transigere Quando divenne imperatore nella cattedrale di Notre-Dame, il 2 dicembre 1804, chiese al Papa di essere presente, ma impose a se stesso, con le proprie mani, la corona di Carlo Magno. Del potere conquistato non intendeva essere debitore a nessuno.