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 2012  aprile 05 Giovedì calendario

Giulio Sapelli sì che la racconta giusta su Mario Monti – Ricordate l’accordo sul punto unico di scala mobile voluto alla metà degli anni settanta tra Gianni Agnelli, presidente di Confindustria, e il sindacato dei lavoratori?» scrive Giulio Sapelli, ordinario di storia economica a Milano, nel suo nuovo pamphlet, L’inverno di Monti

Giulio Sapelli sì che la racconta giusta su Mario Monti – Ricordate l’accordo sul punto unico di scala mobile voluto alla metà degli anni settanta tra Gianni Agnelli, presidente di Confindustria, e il sindacato dei lavoratori?» scrive Giulio Sapelli, ordinario di storia economica a Milano, nel suo nuovo pamphlet, L’inverno di Monti. Il bisogno della politica, Guerini e Associati, pp. 80, euro 8,00. Se lo ricordiamo, e lo ricordiamo, ricordiamo anche «quel sindacato trasformatosi viziosamente per via del Sessantotto e dell’autunno caldo». Fu allora che vennero poste «le basi per la disintermediazione delle industrie che non ne sostenevano i costi e dell’inflazione che colpì i più deboli attori del sistema economico, gli ultimi. È da allora che la stessa sinistra muta il suo volto: quegli umili e quei deboli non riesce più a rappresentarli, ed essi confluiranno nelle braccia della Lega Nord e di Silvio Berlusconi». * * * Comincia quella che, al primo ascolto, può sembrare l’inizio della confusione delle lingue: d’un tratto, mentre le parti politiche sembrano scambiarsi i ruoli, il popolo a destra, le élites a sinistra, niente è più al suo posto, né c’è piu un posto per ogni cosa. Quel che sta cambiando è la natura dello stato. Questa «la conseguenza più nefasta della cleptocrazia delle classi politiche e del loro neopatrimonialismo: hanno distrutto lo stato amministrativo e ne hanno fatto lo stato dei partiti e l’hanno spogliato delle sue prerogative imprenditoriali, spoliazione in cui si è distinto più di tutti Romano Prodi e il suo blocco di potere». * * * A parte le icone televisive dei politici che ai tempi della prima repubblica erano di seconda o terza fila, «di quello stato, che un tempo era uno stato imprenditore virtuoso, non è rimasto più nulla». Ma si è potuto fingere che questo fosse ancora se non lo stesso stato d’allora almeno uno stato fondato su qualcosa di più che le mere apparenze dell’autorità, oltre che sul fisco e sui talk show, finchè la crisi globale non ha messo la nostra economia in mutande. A quel punto non è più stato possibile neanche rispettare le forme del potere, e la prima di queste forme a saltare è stata naturalmente la più fragile, cioè l’ideologia, spiega Sapelli. «Ebbene: il professor Monti è la quintessenza della morte dell’ideologia. È il superamento della medesima nel mondo iper-uranico della foresta pietrificata delle idee, ma nel contempo è l’esponente del blocco poliarchico italico organicamente europeo: grandi banche, grandi scuole internazionali di business, grandi società di consulenza, grandi cattedrali del pensiero semplice che, se non riescono a governare i sistemi complessi, sono capaci in sommo grado, tuttavia, d’esaltarne le progressive sorti e di trarne ogni utile possibile. * * * La sua nomina a senatore a vita, del resto, va messa in relazione comparativa con la nomina da parte di Cossiga di Gianni Agnelli. Oggi siamo scesi d’un gradino: Francesco Cossiga sta a Giorgio Napolitano come Agnelli sta a Monti come specchio dell’establishment economico che oggi, poliarchicamente, domina l’Italia». Ed eccoci qui, cittadini di un’Europa che «non solo ha creato una moneta senza stato che può mettere in pericolo l’egemonia del dollaro con conseguenze disastrose per tutto l’Occidente, ma ha creato altresì, antesignano della follia dell’euro, una sorta di Zollverein [unione doganale] protezionistico continentale che aspira alla leadership e parla come tale senza disporre né della legittimità democratica né degli armamenti per esercitare qualsivoglia tipo di stabile dominio». Prive di legittimità democratica, disarmate ma non per questo pacifiste, come si è visto in Libia soltanto l’anno scorso, le élites europee governano dia prepotenza, come in Grecia e in Italia, dove hanno spazzato via le istituzioni elette come eserciti guerriglieri scesi dalla Sierra Maestra. Spiega sempre Sapelli che «la prassi con cui si è proceduto alla nomina di Mario Monti prima senatore a vita, poi primo ministro, ricorda l’essenza del processo di nomina del dictator romano. Al posto del tribuno qui vi è, pur sempre in uno stato d’eccezione, un presidente [della repubblica] con poteri costituzionali limitati, non eletto dal popolo. Tuttavia egli ha compiuto l’atto di diritto di nominare una sorta di dictator romano dimidiato; ossia a metà, che ha poteri limitati perché sottoposti alla verifica del parlamento, che tuttavia è stato umiliato e indebolito per il modo stesso con cui è giunto al potere il nuovo governo». Come finirà? Be’, più o meno com’è sempre finita in questi casi: male, se non malissimo. «I viaggi all’estero del console Monti», scrive Sapelli, «mi ricordano le pagine di Machiavelli su Ludovico il Moro che va dai francesi per sconfiggere i veneziani, portandosi così il nemico in casa».