Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  aprile 05 Giovedì calendario

Dopo gli exploit di Enrico Mentana con il suo Tg, oltre i due milioni di spettatori, l´effetto traino sugli altri programmi di La7 si è inceppato

Dopo gli exploit di Enrico Mentana con il suo Tg, oltre i due milioni di spettatori, l´effetto traino sugli altri programmi di La7 si è inceppato. E nonostante la campagna acquisti (Dandini, Guzzanti, Formigli) gli ascolti della rete non decollano. Ma Giovanni Stella, ad di TiMedia (l´editore) mostra sicurezza e, forte della crescita degli incassi pubblicitari («la Cairo, l´agenzia che raccoglie le inserzioni per noi, ha realizzato il 30% in più nell´ultimo trimestre»), spara a zero sull´Auditel, il sistema di rilevazione dei dati di ascolto. Stella non esce da quel consiglio di amministrazione, ma tuona: «Rai e Mediaset non possono avere la maggioranza in cda». Stella, quali sono i problemi dell´Auditel? «È da novembre che chiedo chiarimenti e non ho ancora risposte. Dopo tanti sassolini, è arrivata l´ora di tirare una grossa pietra per modificare il ventennale sistema di rilevazione dei dati di ascolto. Bisogna cambiare le regole, così non si va avanti». È un ultimatum? «Così com´è l´Auditel non va. I nostri investitori e la Cairo Pubblicità dimostrano che in termini di ascolto valiamo di più: almeno il 5% di share. E questo share equivale alla effettiva raccolta fatta nel 2011 e all´inizio del 2012. Ecco perché gli inserzionisti continuano a investire su La7: 10 milioni in più rispetto agli importi previsti nei primi tre mesi dell´anno. La 7 viene misurata male dall´Auditel, mentre Rai e Mediaset, in maggioranza nel cda, hanno un vantaggio strutturale. Non a caso anche Sky ha un contenzioso con Auditel». Lei sognava di fare il terzo polo tv... «Altri, non io: per fare una buona tv ci vuole tempo. Paolo Ruffini, il direttore della rete, sta lavorando bene. Sono in cantiere altri programmi. Stiamo ragionando a un progetto con Cristina Parodi per un contenitore pomeridiano anche se ancora non abbiamo firmato il contratto». "Stella" è anche nel titolo dello show della Guzzanti: un omaggio a lei?. «Il titolo Un due tre stella mi ha divertito, ma si riferisce al gioco da bambini. Sembrerà strano, ma io e Sabina andiamo d´accordo: anche il Canaro (è il suo soprannome, ndr) ha un´anima. Sabina va compresa, è stata nove anni fuori dalla tv. Già si sta svelenendo dopo il lungo esilio. Forse va aggiustato il tono della trasmissione». Anche The show must go off va aggiustato? «È naturale. È stato una sfida presentare alla gente uno show del sabato sera come fosse RaiUno, ma la Dandini ha riempito lo spazio del sabato e fa il 3.4%. Alla Dandini e alla Guzzanti io raccomando più leggerezza, più ironia. Meno ideologia e più risate». Come valuta i flop di La7? «Era impensabile che proseguissimo con lo stesso trend di crescita del Tg di Mentana. In questi mesi sono cresciuti Lillli Gruber (8 e mezzo è al 5,4% di share) e Gad Lerner (L´infedele è al 4,4%), ma i programmi hanno bisogno di tempo per crescere. Soprattutto ora che non c´è più Berlusconi...». Che vuol dire? «Non rimpiango Berlusconi. Ma certo la sua uscita di scena ha prodotto problemi sull´intrattenimento tv. Tutti siamo più concentrati intorno ai problemi del Paese». La7 continuerà la campagna acquisti? «Anche Le invasioni barbariche della Bignardi e Piazzapulita di Formigli dimostrano che creiamo abitudini di ascolto. Io sto ancora sotto il banano ad aspettare che scendano i macachi dalle altre reti. Abbiamo bisogno di andare oltre i programmi di informazione e approfondimento. Per questo a chi fa i talk show ripeto che far ridere il pubblico non è una vergogna».