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 2012  aprile 05 Giovedì calendario

"Vogliono controllare il Corriere la mia battaglia non finisce qui" – ROMA - «Sono voluto uscire dal patto di sindacato perché in Rcs ho visto una situazione gestita da un ragazzino e un funzionario con la pretesa di decidere per tutti

"Vogliono controllare il Corriere la mia battaglia non finisce qui" – ROMA - «Sono voluto uscire dal patto di sindacato perché in Rcs ho visto una situazione gestita da un ragazzino e un funzionario con la pretesa di decidere per tutti. Diciamolo chiaramente: era in atto il tentativo di Elkann e Pagliaro di mettere il cappello sul Corriere della Sera anche con l´invenzione dei consiglieri indipendenti, tutti uomini legati a loro, mentre io in consiglio volevo gli azionisti. Ma sono due dilettanti allo sbaraglio. E, mi dispiace, ma io non ci sto». Diego Della Valle, appena uscito dal patto di sindacato di Rcs, è furente. E attacca frontalmente il presidente della Fiat, John Elkann, e il presidente di Mediobanca, Renato Pagliaro, principali protagonisti della "rivoluzione" nella governance di Rcs. È stato questo scontro a spingerla a chiedere l´uscita dal patto Rcs? «È un pezzo che lo chiedevo. Volevo tornare libero. Oggi mi hanno ridato le mie azioni. Sono libero e farò quello che mi pare. Basta con questi metodi. Può una società quotata in Borsa affondare da un mese nel pettegolezzo, lasciando in pasto ai giornali i nomi di chi ci sarà a guidare l´azienda? Elkann e Pagliaro si sono messi a brigare intorno al patto, ma questo non competeva loro perché è un compito che spetta al presidente del patto. Sono due dilettanti allo sbaraglio: un impiegato e un ragazzino. Mi dispiace ma non ci sto». Lei usa parole molto dure, avete litigato nel corso della riunione? «Si sono comportati male e finalmente la mia voglia di andarmene è stata premiata e la situazione si è sbloccata all´unanimità. Ma questa vicenda ha creato molto malumore tra gli azionisti abituati a respirare aria di mercato. Non si può gestire un´azienda così. Preferisco uscire e avere mani libere». Avrà pure le mani libere, ma così è uscito dal sancta santorum di Rcs, la stanza dove si decide tutto. «Ma decide cosa?» Il presidente, l´amministratore delegato, i direttori dei giornali... «Creda a me, lì dentro non si decide proprio niente. Anzi, il vero, gigantesco problema è che non si decide mai. La capacità di mettere le mani sui giornali c´è, ma non c´è la capacità di decidere. Tutto è difficile con una compagine così allargata di soci. È un´azienda in cui ho perso molto tempo». Ma ora che ha le mani libere, pensa di incrementare ulteriormente la sua quota? «Ora sono libero. Sono un imprenditore abituato a vivere nel mercato e non solo a parlare. Ogni volta che sono andato in un posto ho comprato azioni. A me le azioni non le ha mai regalate nessuno. E non le ho avute in carico da un´azienda, né ho gestito un pacchetto azionario di una banca. Quelli sono metodi da vecchia scuola, ma che vanno giù come birilli. Posso dire che vado avanti: da persona che dove va compra, continuerò la mia strada». Delle decisioni di ieri non c´è proprio nulla che l´ha soddisfatta? «Sono contento per i giovani confermati, anche se loro non li volevano. Ma sono dispiaciuto per gente per bene come Bertazzoni e Lucchini che hanno mostrato sempre grande correttezza e sono stati fatti fuori da un giorno all´altro». Dalle sue parole sembra che tutto sia arrivato all´improvviso. Non ne avevate parlato nelle scorse settimane? «La lista dei consiglieri indipendenti l´abbiamo vista solo questa mattina (ieri mattina n.d.r.). Fino a martedì non c´erano i nomi né degli indipendenti, né del presidente, né dell´amministratore delegato. Le pare il modo? E anche ora c´è una società quotata in Borsa che dice che troverà l´amministratore delegato ma non sa chi sarà. Ci siamo ridotti a comunicare al mercato che non abbiamo un capo azienda. Intendiamoci: anche in passato ho visto operazioni di potere. Ma erano fatte da vecchi marpioni capaci di muoversi. Oggi mancano i piloti di una volta. A Bazoli (presidente del cds di Intesa Sanpaolo n.d.r.) la situazione è evidentemente sfuggita di mano. Mi guardavo intorno al tavolo, si era creata una situazione di assoluto disagio. E qualche tentazione di uscire con me a qualcuno è venuta in mente». Ora che è uscito dal patto di sindacato di Rcs sulla quale aveva puntato molto, si sente sconfitto? «Scherziamo? La battaglia continua e continua con le mani libere. Prima ero vincolato ad accettare anche decisioni che non condividevo perché avevo tutte le mie azioni lì dentro ed ero sempre più stufo, anche nell´ultimo atto: tre giorni di discussione per non decidere niente osservando le manovre di impiegati e ragazzini che non hanno ancora imparato a lavarsi i denti». Anche questa volta ha utilizzato metodi poco consueti nel mondo paludato dell´alta finanza. Perché ha deciso di attaccare in modo così pesante e diretto Elkann e Pagliaro? «Ho deciso di fare nomi e cognomi e continuerò a farlo. Ripeto: sono dilettanti allo sbaraglio che vogliono mettere il cappello sui giornali e non sanno dove si comincia. L´unico risultato è un imbarazzo generale e una mancanza di decisioni vere. Un peccato perché resto convinto che Rcs ben gestita sarebbe davvero una bella azienda». La sua quindi è un´altra dichiarazione di guerra dopo quella lanciata a suo tempo contro l´allora presidente di Generali, Cesare Geronzi, poi spinto a dimettersi? «Quelli che stanno sul mercato e hanno aziende di primo piano non possono accettare di prendere ordini da questi mondi finiti, da personaggi che fanno affondare tutto quello che toccano: guardi cosa capita alle aziende toccate da Mediobanca. Devono capire che la cooptazione è finita, quello che conta è il mercato». Ma la cooptazione in questi mondi c´è sempre stata, non può essere una sorpresa per lei. «Certo, ma creda a me: c´erano altri pesi nei cappotti. Oggi vedo solo cappotti vuoti».