Notizie tratte da: A che serve la democrazia? Finanza über alles. L’Occidente che volle farsi mondo. Alla prova della grande crisi # Limes 2/2012, Gruppo Editoriale L’Espresso # 14 euro., 6 aprile 2012
Notizie tratte da: A che serve la democrazia? Finanza über alles. L’Occidente che volle farsi mondo
Notizie tratte da: A che serve la democrazia? Finanza über alles. L’Occidente che volle farsi mondo. Alla prova della grande crisi, Limes 2/2012, Gruppo Editoriale L’Espresso, 14 euro.
«Nella forma reale, però, lo shift of power dalla forma autoritaria alla forma democratica “non” è il passaggio del potere dall’élite ai cittadini, ma il modo attraverso il quale l’élite riesce a conservare il proprio potere (o quanto meno la maggior parte dei propri privilegi) con altri mezzi» (Manlio Graziano, 29)
«Per esempio, nei primi decenni della sua esistenza la Repubblica italiana ha essenzialmente funzionato sulla base di codici, norme, istituzioni, amministrazione, funzionari e insegnanti creati, formati e reclutati sotto il fascismo. Tutti i grandi gruppi economici sono rimasti al loro posto come quasi tutti i loro dirigenti. Anche le politiche in difesa dei piccoli proprietari, caratteristiche del periodo mussoliniano, sono state garantite e perpetuate dai governi De Gasperi. È vero che a volte la transizione è occasione di regolamenti di conti e di ridistribuzione delle carte (come nella Russia postsovietica); ma è anche vero che, quando accade, ciò accade in seno all’élite stessa, senza coinvolgere – se non indirettamente – le masse dei cittadini» (id, 29).
«Ad ogni latitudine, la difficoltà a contemperare gli interessi a breve termine degi elettori e quelli a lungo termine del paese costituisce la principale aporia cui sono confrontati i rappresentanti del popolo. Molto presto questa difficoltà è aggirata anteponendo gli interessi (e spesso le ubbie) dell’elettorato agli interessi strategici del paese. Uno dei casi più eloquenti riguarda l’immigrazione. Il commissario europeo all’Interno Cecilia Malmström faceva recentemente notare che negli incontri al vertice “quasi tutti” i ministri del Lavoro parlano della necessità di un afflusso sempre più massiccio di immigrati in Europa, “a centinaia di migliaia, a milioni a lungo termine”. Ma quando quegli stessi ministri si rivolgono ai loro elettori, “questo messaggio sparisce del tutto”. “Il bisogno di immigrati”, conclude Malmström, “è difficile da spiegare in un clima di elevata disoccupazione, scontri nelle piazze, crisi finanziaria e gente in gravi difficoltà”. Il risultato è che per accontentare i loro elettori i governi prendono delle misure che, a medio-lungo termine, si riveleranno esiziali per gli interessi dei loro paesi» (id, 31)
«Secondo Transparency International, paesi non propriamente democratici come Singapore e il Qatar sarebbero meno corrotti di Francia e Stati Uniti, il Bahrein, il Kuwait o il Ghana meno corrotti dell’Italia; la Cina e il Gambia meno della Grecia; e altri paesi democratici, come l’India, l’Argentina, il Messico e le Filippine si trovano rispettivamente al 95°, 100°, 101°, 129° posto su 180 paesi considerati» (Corruption Perceptions Index 2010, 24/8/2011) (id, 31)
«“Demokratie ist Ramsch” – la “democrazia è spazzatura” – titolava la “Frankfurter Allgemeine” nei giorni in cui il tandem franco-tedesco bocciava senza appello l’idea di Georgos Papandreou di sottoporre a referendum il piano di risanamento imposto alla Grecia. “Chi si appella al popolo diventa una minaccia per l’Europa”, constatava con amarezza Frank Schirrmacher, condirettore del giornale. “La furiosa lotta per il potere tra primato dell’economia e primato della politica”, proseguiva Schirrmacher, si è conclusa con il sacrificio “dei valori e delle convinzioni che l’Europa dovrebbe incarnare”. La sorpresa di Schirrmacher, condivisa quel giorno da centinaia di commentatori, sorprende: non nera infatti la prima volta che la l’Europa aggirava la mistica dell’appello al popolo in nome della “Realpolitik”. I danesi, contrari al trattato di Maastricht nel 1992, furono rispediti alle urne l’anno successivo per votare a favore. Gli elettori irlandesi per ben due volte, nel 2002 e nel 2009, sono stati invitati a correggere il loro parere sbagliato del 2001 e del 2008 a proposito, rispettivamente, del Trattato di Nizza e di quello di Lisbona» (id, 32).
«I processi di democratizzazione sono in linea generale innescati dalla necessità di gruppi sociali emergenti di rappresentare politicamente i propri interessi. “No taxation without representation” è lo slogan della First Wave che sintetizza questo principio» (id, 37).
«Il primo “discorso del caminetto” di Roosevelt fu dedicato alla riforma del sistema bancario» (Caselli-Pastrello, 57).
«Ci sarà tempo, ci sarà tempo / per prepararti una faccia per incontrare le facce che incontri…» (T.S. Eliot) (Aparo, 59)
«Perché ci sono 24 ore al giorno, perché un’ora ha sessanta minuti ognuno di sessanta secondi? Una delle teorie più accreditate ha a che fare con babilonesi, egiziani e anche con le uova. I babilonesi usavano un sistema di numerazione in base 60. Sessanta è un numero interessante perché è il più piccolo numero intero con il maggior numero di divisori interi. Sessanta si può dividere per 2, 3, 4, 5, 6, 10, 12, 15, 20, 30 e se stesso. 60 è cinque volte 12. Se uso una mano per contare con il pollice falangi e falangine e falangette ottengo 12. L’altra mano ha cinque dita. Totale: 60. Si nasce avendo a disposizione un calcolatore analogico da 1 a 60. Il giorno ha due volte 12 ore. Gli egiziani usavano un calendario di 12 mesi, ognuno dei quali di 30 giorni. Totale: 360. Sono anche i gradi utilizzati per l’angolo giro. Anche le uova si comprano a dozzine o mezze dozzine. Anche le lattine di birra o di Coca-Cola. Dobbiamo ringraziare i babilonesi.
«Oggi l’elemento base del tempo è il secondo. Un giorno è definito come un periodo di 86 mila 400 secondi. Un secondo è ufficialmente definito come il periodo in periodo di tempo in cui un atomo di cesio-133 oscilla 9 miliardi 192 milioni 631 mila e 770 volte in un orologio atomico. Se non fossimo in grado di misurare il tempo con tale precisione, un oggetto entrato nell’uso comune, ovvero il Gps, detto anche navigatore satellitare, non potrebbe funzionare. Ogni satellite della costellazione del Gps ha a bordo un orologio atomico accordato con quelli a bordo degli altri satelliti per consentire il calcolo della posizione» (id. 62)
«Se non mi chiedono cosa sia il tempo lo so, ma se me lo chiedono non lo so» (Sant’Agostino) (id, 65)
«Ne pleure pas Alfred! J’ai besoin de tout mon courage pour mourirà à vingt ans» (Evariste Galois al fratello Alfred la notte prima del duello che gli sarà fatale, 29-30 maggio 1832) (id, 66)
«Solo nei primi sei mesi del 2011, secondo i dati della banca dei regolamenti internazionali, il volume dei derivati “over the counter” scambiato globalmente è passato da circa 600 a 700 trilioni di dollari, aumentando dell’equivalente di quasi due pil mondiali rispetto al semestre precedente» (Mauro, 71).
«La nozione di democrazia è legata alla trasparenza: gli affari dello Stato devono essere a disposizione del giudizio dei cittadini e la democrazia deve rendere possibile una conoscenza obiettiva dei problemi» (Aresu, 75)
«Managerialismo tecnologico» ossia «la “graduale comparsa di una società più controllata e diretta, dominata da un’élite che basa la sua pretesa di potere politico su una supposta conoscenza superiore”. Secondo Brzezinski, tale élite non esiterebbe a raggiungere i suoi scopi politici usando la tecnologia per influenzare i comportamenti pubblici, non esistando a “sorvegliare e punire”, pianificando uno sviluppo sociale controllato a partire dallo sviluppo tecnologico. Secondo i complottisti, col “managerialismo tecnologico” Brzezinski non fa altro che descrivere il suo stesso progetto, specie nelle ultime pagine, in cui delinea il progetto di una comunità trilaterale basata, ancor più che sui successi economici e di sicurezza comune, sull’allargamento della cooperazione scientifica e delle politiche dell’istruzione, con l’adozione di “standard accademici comuni” e di legami tecnologici tra le “università di New York, Mosca Tokyo, Città del Messico e Milano”» (id, 77)
«L’opera di Kissinger è legata fortemente alla nostalgia del concerto delle potenze e alla speranza che i leader, senza essere disturbati dalle popolazioni, possano occuparsi in pace del mantenimento dell’equilibrio del potere, provvedendo quindi a garantire l’ordine in un sistema chiuso» (id, 78).
«Ma la democrazia ha un’innegabile capacità di resistenza e di espansione. Ad essa perciò si possono attribuire le stesse espressioni che Samuel Moyn ha utilizzato per descrivere i diritti umani: la “democrazia è il dio che non ha fallito, al contrario delle altre ideologie politiche”, ma allo stesso tempo “deve essere trattata come una vicenda umana, dunque non dotata dell’inevitabilità nel lungo termine e dell’autoevidenza morale che il senso comune le attribuisce”» (id, 79)
«Nel capitolo dedicato all’Europa occidentale, Crozier si concentra sulla debolezza dei processi decisionali delle nazioni europee davanti ai problemi complessi, e teorizza una convergenza verso il “modello italiano” (caratterizzato da “una burocrazia molto debole e da un sistema politico instabile, che non riescono a prendere decisioni e non riescono a raggiungere nessun genere di adattamento”) piuttosto che verso la virtù del “modello svedese”» (id, 79).
«Huntington si chiede se l’aumento della vitalità della democrazia, e la sua diffusione, sua un fatto positivo per la governabilità della democrazia stessa. La sua risposta è tendenzialmente negativa. Tra le domande a cui i sistemi politici devono rispondere, non c’è infatti semplicemente “chi govern?”, ma anche “qualcuno governa?”» (id, 79).
«Primo, non tutti i campi della vita pubblica devono essere democratici (Huntington cita a questo proposito l’università e l’esercito); secondo, la stessa efficacia del sistema democratico si poggia sull’apatia e sul ridotto coinvolgimento di alcuni individui e alcuni gruppi. La democrazia “totale” non farebbe altro che riprodurre l’illusione della democrazia diretta» (id, 80).
«L’influenza politica della Commissione Trilaterale negli anni Settanta è evidente, perché uno dei suoi membri, Jimmy Carter, viene eletto presidente degli Stati Uniti» (id, 80).
«L’élite, nell’analisi di Wright Mills, è formata anzitutto da circoli imprenditoriali, politici e militari che a parole propugnano i princìpi della competizione, ma nei fatti impongono interessi corporativi che da ultimo immobilizzano la società. Ai princìpi di competizione, esaltati da quelle stesse classi, si sostituisce una coincidenza di interessi che, da ultimo, immobilizza la società. La chiusura delle reti del potere è ovviata soltanto attraverso la mobilità sociale in entrata. Eppure, ogni formazione di un’élite cognitiva porta con sé il rischio della riduzione dei margini di contendibilità del sistema, dato che le aziende si riforniscono di capitale umano guardando alle migliori università, le “migliori” si sposano con i “migliori”, i “figli dei migliori” cresciuti con le migliori opportunità possono permettersi la “migliore istruzione”» (id, 81).
«La democrazia del complotto va in onda su internet. Basta vedere alla voce “Brzezinski” su Google e YouTube per rimanere seppelliti da una mole di video e documenti che lo connettono al nuovo ordine mondiale e al complotto con cui le élites terrebbero in ostaggio la sovranità nazionale. Alcuni portano avanti un argomento legato alla fisionomia: gli zigomi pronunciari e il viso simile a quello di un falco sono segnale inequivocabile di malvagità luciferina, quando va bene, e in casi estremi della sua provenienza aliena, o per la precisione “rettiliana”, termine con cui ci si riferisce ai perfidi extraterrestri ovipari che si nascondono dietro le apparenze di alcuni personaggi storici come i Rothschild, i Rockefeller e i reali d’Inghilterra» (vedi anche www.attivisssimo.it) (id, 81).
«Chi ha potere può vedere senza essere visto, proprio come “Dio che è onnipotente proprio perché è l’onniveggente invisibile”. L’azione politica, secondo Bobbio, prevede due tecniche complementari: la sottrazione al pubblico nel momento in cui si prendono le decisioni, e l’uso di una maschera quando ci si presenta in pubblico. Un governo delle maschere, e non della trasparenza, è per definizione irresponsabile. La rappresentanza, osserva Bobbio riprendendo Carl Schmidt, ha bisogno della pubblicità» (id, 83).
«Nella sua accezione più semplice la democrazia dovrebbe essere una procedura che affida l’autorità a persone liberamente scelte da una base popolare numericamente significativa. Non vi è alcun vincolo etico o professionale, chiunque deve poter eleggere ed essere eletto. Una comunità di assassini ellegge democraticamente un assassino: la maggioranza numerica di ignoranti e sprovveduti può eleggere un perfetto idiota. Anche questo è democrazia» (Mini, 91).
«Un comandante che non rispetta i suoi collaboratori, non li ascolta e non li fa esprimere è destinato al fallimento. Ciò fa sì che al suo interno un sistema militare sia partecipativo, professionale e competitivo: il primo a rendersi conto di una strategia errata è il livello tattico che deve svilupparla; il primo a capire se un ordine è cretino è colui che lo riceve. Il credito di intelligenza e di conoscenza di cui gode un comandante non è illimitato e in genere si esaurisce al primo errore. Per questo negli eserciti professionali nessun comandante può permettersi di sbagliare da solo. La partecipazione alla decisione da parte degli esperti e degli esecutori fa in modo che il comandante non sia mai solo nella fase di raccolta delle informazioni e nello sviluppo delle linee d’azione. Sarà poi solo, anche troppo, nella responsabilità degli ordini da emanare» (id, 92).
«Abbattere un governo democraticamente eletto non è considerata democrazia. Questo conduce al paradosso che un governante democraticamente eletto non può essere rimosso nemmeno se le sue azioni sono moralmente sbagliate» (id, 93).
«Nessuna democrazia può vantare un primato morale per un minore ricorso alla forza o alla guerra: la Gran Bretagna ha intrapreso 62 conflitti dalla fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti nell’ultimo secolo sono intervenuti con le armi oltre 130 volte in oltre 50 paesi. Per dimostrare che la loro democrazia è forte, gli americani hanno violato più di cento volte la sovranità altrui» (id, 93).
«Una critica “democratica” spesso rivolta all’esercito è quella di essere un sistema altamente gerarchico, pertanto fondata sulla diseguaglianza. Ma la democrazia non ha eliminato la diseguaglianza sociale: nelle democrazie occidentali da anni i redditi più bassi non aumentano in termini reali, a differenza di quelli più alti. Sicché in periodi di crisi una piccola diminuzione dei bassi redditi produce povertà, mentre una grossa riduzione di quelli alti è indifferente. Se poi, per superare la crisi, si tagliano i redditi medi, la diseguaglianza aumenta. Di fatto la diseguaglianza è insita nella democrazia: all’uguaglianza dei diritti di voto corrisponde una diseguaglianza materiale, che favorisce le oligarchie o i gruppi al potere. Nessuna democrazia ha mai affrontato alla radice il problema della redistribuzione della ricchezza: le più virtuose si sono limitate a redistribuirla sotto forma di servizi e assistenza ai più bisognosi, che garantisce la sopravvivenza di questi ma non li libera dalla povertà» (id, 93).
«I cardini del sistema democratico sono le elezioni, la scelta popolare dei candidati e il diritto di governare attribuito alla maggioranza. Nella pratica moderna, però, l’elezione non è mai un fatto popolare se il popolo è soggetto a manipolazione e la scelta dei candidati non è mai affidata al popolo, ma ai partiti (che non sono la stessa cosa). I candidati devono comunque farsi conoscere e per questo devono comunicare, e comunicare costa. Paradossalmente, i candidati più preparati sono quelli espressi dalle oligarchie economiche che li sostengono, in cambio di agevolazioni e favori. Anche la democraticità del governo di maggioranza è un mito: il sistema democratico è una tentazione per la maggioranza di svantaggiare le minoranze, ma più spesso consente di affidare il potere alle oligarchie piuttosto che al “demos”.» (id, 94)
«In una democrazia teorica di mille elettori, 501 di essi possono ignorare i diritti dei rimanenti 499. Ci sono vari metodi democratici per favorire l’accentramento del potere: la riduzione degli aventi diritto al voto, l’astensuone, la scheda bianca e quella nulla. Il combinato di questi fattori fa sì che, nel migliore dei casi, l’affluenza si collochi intorno al 60%. Sicché nella nostra democrazia teorica la maggioranza assoluta si forma su una base di 600 persone e quindi ne bastano 301. Se si suppongono tre forze politiche equivalenti e il premio al partito di maggioranza relativa, 101 persone decidono il destino di altre 899. Il che equivale a un’aristocrazia» (id, 94).
«Nel suo discorso annuale ai cadetti dell’accademia di West Point nel 1999, Clinton disse che “il mercato è competizione, la competizione premia i più forti, noi siamo i più forti”» (id, 94)
«Il consenso non esclude le malefatte; anzi, sono proprio le cose sbagliate ad aver bisogno del consenso espresso per essere compiute. In un sistema democratico, le cose implicitamente buone come l’innovazione, la giustizia, l’equità, la sicurezza e la salute non avrebbero bisogno di consenso esplicito» (id, 95).
«Molti anarchici moderni non sono contro la democrazia; essi credono nelle comunità minuscole organizzate in forme di democrazia diretta. Non obiettano al principio, ma alla dimensione» (id, 95).
In termini di democrazia, «la formula di Lincoln, che parla del “governo del popolo fatto dal popolo per il popolo”, e il motto francese “liberté, egalité, fraternité” forniscono buone approssimazioni a colui che vuol partire dalla realtà politica vissuta» (Weil, 105).
«Non dobbiamo sorprenderci di sentir chiamare democrazia la Repubblica Francese, di tipo parlamentare, o quella degli Stati Uniti d’America, dove il presidente non deve dar conto a nessuno e in cui i “ministri” non hanno nemmeno il diritto di presentarsi davanti al parlamento, o anche la monarchia inglese nella quale un parlamento, teoricamente onnipossente, in pratica investe il primo ministro di diritti dittatoriali» (Weil, 105).
«La democrazia è una dottrina che fissa lo scopo ad ogni governo» (id, 105).
«Al limite si potrebbe rinunciare a ogni organizzazione politica e accontentarsi di un’amministrazione competente. Ma sappiamo sin troppo bene che non è così» (id, 105).
«Abbiamo scoperto forme politiche a cui la democrazia non può far altro che adattarsi – l’aristocrazia di nascita, il governo né controllato né revocabile, la dittatura illimitata nel tempo del suo esercizio. Certo da queste forme si è tentati di far emergere determinazioni positive: la democrazia sarebbe il sistema politico e costituzionale in cui ogni autorità emana dal popolo; in cui il governo è sitituito dal popolo e revocabile da parte dei suoi committenti; in cui ogni essere umano adulto partecipa alle decisioni ultime. Avremmo così definito la democrazia moderna come sistema politico rappresentativo, a uguale diritto di voto, a governo controllato (periodicamente o di continuo) e revocabile» (id, 106).
«Non abbiamo mai visto una maggioranza unita dalla sola volontà di non ammettere certe azioni, o certi mezzi, e perfettamente incapace di mettersi d’accordo sull’utilità di altre imprese e sul valore di altri procedimenti?» (id, 106).
«Non può esserci democrazia in una nazione che non sia unita da valori comuni e che non riconosca alcuni scopi come desiderabili» (id, 107).
«I processi democratici più autentici, stando alla nostra definizione, possono condurre alla soppressione della stessa democrazia. Una maggioranza può unirsi intorno a un programma di sterminio di tutti coloro che si oppongono o si sono opposti alla vittoria del pensiero e della passione maggioritaria. In questo caso siamo ancora in democrazia» (id, 107).
«Per la democrazia non esiste verità: perlomeno una verità definita una volta per tutte» (id, 107).
«La democrazia è il regno della maggioranza concepito per salvaguardare i diritti della minoranza» (id, 108).
«La democrazia suppone che tutti i cittadini siano “ragionevoli”» (id, 108).
«La democrazia è il sistema di governo concepito in vista dell’educazione del popolo alla democrazia. Il XIX secolo credeva nella scomparsa dello Stato: l’uomo, riteneva, era già ragionevole, la violenza era già vinta, e restava soltanto da eliminarne le tracce. Possiamo invidiare quell’ottimismo, ma non lo condividiamo più» (id, 110).
«Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu se’; e quelli pochi non ardiscono opporsi all’opinione di molti (…) perché el vulgo ne va sempre preso con quello che pare» (Machiavelli, Il Principe) (Boria, 114)
«No one pretends that democracy is perfect or all-wise. Indeed, it has been said that democracy is the worst form of government except all those other forms that have been tried from time to time» (Churchill, discoro alla Camera dei Comuni 11/11/1947).
«Zagrebelsky mi ricorda che nel più decisivo ballottaggio della storia, tra Cristo e Barabba il popolo scelse Barabba» (id, 117).
«Dall’elezione di Obama ad oggi, il debito federale è cresciuto di 4 mila miliardi e ora ammonta alla sconsolante cifra di 15 mila miliardi. Nel 2008, prima della crisi, il rapporto debito/pil (prodotto interno lordo) statunitense era del 67,7%; nel 2010 era salito all’84,4% e nell’ottobre 2011 ha raggiunto il 93,8%. Se non sta attenta, l’America rischia di diventare una Grecia al cubo» (Hulsman, 128).
«Entro il 2020, le quattro voci principali del bilancio federale (pensioni, sanità, difesa e interessi sul debito) costituiranno l’80% della spesa di Washington, complice l’uscita in massa dal mercato del lavoro della numerosa generazione post-bellica. Nel 1960 le prestazioni sociali rappresentavano appena il 20% della spesa federale; nel 2010, assorbivano il 66%. La ragione di questo aumento è semplice: quando Franklin Delano Roosevelt creò il sistema di sicurezza sociale (Social Security), fissando a 65 anni il limite minimo d’età per usufruirne, ll’aspettativa media di vita era di 62 anni. Oggi, sfiora gli 80. L’ufficio del censo stima che nel 2030 vi saranno in America 72 milioni di ultrassessantacinquenni (pari al 19,3% della popolazione) rispetto ai 40 milioni del 2010 (13%)» (id, 128).
«La verità è che nel 2010 ad essere sacrificati sono stati i democratici moderati, quelli più critici verso la leadership smaccatamente schierata della Pelosi e più vulnerabili asll’offensiva massimalista dei repubblicani. I democratici di sinistra di ambo le coste sono invece sopravvissuti. In nessun momento della storia politica moderna dell’America il fossato ideologico che divide i due partiti è stato più ampio: la leadership democratica è molto più a sinistra del resto del paese, quella repubblicana molto più a destra.
«La causa di questa crescente polarizzazione sta nel fatto che in molti stati i leader locali hanno il potere di plasmare la fisionomia dei distretti elettorali. Nel corso degli anni, per una sorta di patto scellerato, entrambi i partiti hanno preso a ridisegnare i confini dei distretti per renderli ad essi politicamente più favorevoli, assecondandone o compensandone i cambiamenti demografici e socioeconomici. Il risultato è una geografia elettorale degna delle migliori opere di Salvador Dalì, che “blinda” i distretti (rispettivamente) democratici e repubblicani. Solo una manciata di seggi resta aperta alla genuina competizione, in grado di smussare le posizioni estremiste nello sforzo di conquistare l’elettorato indipendente.
Questo processo di manipolazione dei distretti elettorali è noto in America come gerrymandering, dal nome del governatore jeffersoniano del Massachusetts Elbridge Gerry, che nel 1812 ridisegnò i distretti elettorali del suo stato per favorire la propria fazione, dando involontariamente ad uno di essi la forma della salamandra (da cui il suffisso mandering). Dunque, questa pratica esiste da un pezzo. Tuttavia se ad essa si somma una generale polarizzazione dell’opinione pubblica, il sistema comincia a sfuggire di mano. Il che è esattamente ciò a cui assistiamo oggi”» (id, 130).
«La maggior parte degli americani, abituati al primato politico ed economico globale e poco usi alle scelte difficili, vuole, stando ai sondaggi, aliquote fiscali da governo repubblicano e servizi sociali da governo democratico» (id, 131).
«Il 60% degli americani contro il 29% degli europei.è convinto che anche i poveri potrebbero diventare ricchi se solo si impegnassero sufficientemente. Ed è ancora più significativo il fatto che gli americani a più basso reddito sono prevalentemente convinti che i ricchi abbiano meritato la loro ricchezza. Al punto che il 30% di chi ha un reddito di 30 mila dollari l’anno è contrario ad un aumento delle tasse per il 5% degli americani più ricchi» (Toscano, 137).
«In una democrazia efficiente e trasparente i capi possono essere corrotti, i poliziotti molto meno. E tutto sommato è meglio avere pochi e non molti corrotti potenziali. Ma in Cina vige la tendenza opposta. I leader centrali sono raramente corrotti perché non hanno bisogno di soldi per essere eletti, mentre nei ranghi minori la corruzione fiorisce in cambio di favori. Per la gente comune è importante che il poliziotto non pretenda la tangente. Meno rilevante è che il presidente della Repubblica sia onesto. Meglio nessuna estorsione da parte del poliziotto locale e un capo dello Stato moderatamente corrotto.
«Il livello della corruzione di base può essere sostenibile se non rende la vita impossibile ai cittadini, o addirittura la facilita. Per esempio, se la legge mi impedisce di modificare due piani nuovi a casa mia, sono lieto di pagare una tangente accettabile per corrompere il funzionario di turno. Ma se i permessi di costruzione sono meno costosi e più sicuri della tangente, non c’è competizione. Ancora una volta, tutto dipende dalle tasse. Se lo Stato incrementa le entrate fiscali, può pagare meglio i funzionari, che diventano quindi più leali alle istituzioni e meno esposti alla corruzione. Se i dipendenti pubblici ricevono noccioline, ne deriva il malessere della burocrazia e l’inclinazione a farsi corrompere» (Sisci, 161).
«La democrazia è quella forma di governo che considera l’incertezza come uno spazio politico e alla verità dogmatica (dell’ideologia, del progresso, della religione) preferisce la ricerca di un consenso generale e la capacità di governare i soprusi dei pochi – siano essi “migliori” o “peggiori” – in nome dell’interesse collettivo. Allo stesso tempo, la democrazia non può soccombere per eccessiva incertezza e sospensione: lo spazio politico viene sempre occupoato da qualcuno e da qualcosa, che può sostituire il “governo” e il “popolo”, la cui funzionalità e definizione è croce e delizia della democrazia» (Aresu-Gasparri, 283).
«Il sogno italiano, quindi, fuori dalle ipocrisie, è quello di restare ricchi. Se proprio dobbiamo cambiare, tanto vale tornare poveri per poi tornare automaticamente ricchi, e così all’infinito» (id, 284).
«La coesione sociale può essere mantenuta attraverso la spesa pubblica» (id, 285).
«Gli investimenti diventano però impossibili se vengono sistematicamente bloccati da un meccanismo di veti incrociati. In Italia conosciamo un’ampia casistica su questo tema, che è tuttora un nervo scoperto: non a caso il fattore temporale era stato citato da Guido Bertolaso nella sua prima difesa pubblica – in risposta alle domande di Eugenio Scalfari – sullo strapotere della Protezione Civile. Secondo Bertolaso, la normativa della Protezione civile considerava la realtà della variabile tempo, al contrario di tutto il resto della burocrazia italiana: “Quando ci sono scadenze, quando bisogna concludere qualcosa entro una data non procrastinabile, anche in relazione ad esigenze di sicurezza e di tutela degli interessi primari della collettività, l’unico strumento che funziona è la normativa citata» (id, 286).
«La democrazia, proprio perché dà rappresentanza a tutti, dà la possibilità a tutti di protestare. La protesta democratica, tuttavia, non sembra più in grado di trasformare la realtà né di pensarla, ma solo di bloccarla» (id, 287).
«Turboparalisi… la democrazia del Tar» (id, 287).
Didascalia a Descriptive Map of London Poverty 1889: «A ogni edificio di Londra è attribuito uno status socio-economico. Nero: classe più bassa, pericolosa e semi-criminali; blu: molto poveri, irregolari, bisognosi cronici; azzurro: poveri, da 18 a 21 scellini a settimana per famiglia; viola: misti, alcuni agiati e altri poveri; rosa: piuttosto agiati, buone entrate regolari; rosso: classe media, benestanti; giallo: classi alte e medio-alte, ricchi.