Antonio Salvati, La Stampa 6/4/2012, 6 aprile 2012
Ache punto siamo?», incalza telefonicamente una donna. «Non ha ancora i dolori», replica dall’altra parte della cornetta un’altra voce femminile
Ache punto siamo?», incalza telefonicamente una donna. «Non ha ancora i dolori», replica dall’altra parte della cornetta un’altra voce femminile. Un gesto di stizza, appena percettibile via etere, e poi la domanda: «Ma non ce ne sta pure un’altra?». Funzionava così il supermarket dei neonati che i carabinieri di Mondragone, coordinati dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, hanno scoperto nel Casertano. Un’organizzazione che portava a partorire in Italia giovanissime donne reclutate in Bulgaria per poi vendere i neonati a coppie che non potevano avere figli. Ogni bambino costava ventimila euro, spese di trasporto e registrazione comprese. Perché alla fine il novello «papà» dichiarava all’anagrafe che il nascituro era effettivamente figlio suo, concepito durante una scappatella, subito perdonata dalla moglie, con una donna bulgara. Tre le persone arrestate: marito e moglie di nazionalità bulgara e un casertano. Due le coppie denunciate che avevano «acquistato» un bambino a testa. Le indagini sono partite nel 2009, quando i carabinieri hanno iniziato a spulciare una lista di una ventina di bambini nati, tutti in Campania, da un padre italiano e una madre bulgara. Da un primo esame dell’elenco, i militari hanno notato subito che in due casi era stato fornito, nella casella riservata ai recapiti dei familiari, lo stesso numero di cellulare. Era quello di Antonio Maione, 56 anni, ritenuto dagli inquirenti il «procacciatore» di coppie sterili pronte a tutte per avere un figlio. Sua la voce impressa sul nastro degli investigatori durante una telefonata fatta per avvertire un novello «papà»: «Vieni, è nato. Auguri papà». Una strana storia la sua, fatta di tredici figli avuti da cinque compagne diverse. A chi gli chiedeva il perché di tanta prole, avrebbe risposto candidamente di essere figlio unico e di avere bisogno di compagnia. I casi passati al vaglio degli investigatori sono otto, ma solo in due è stata ricostruita per intero la «filiera» che portava poi il bambino tra le braccia degli acquirenti italiani. Stefan e Anna, la coppia bulgara, avevano il compito di individuare nel loro paese d’origine le donne incinte disposte a cedere il nascituro in cambio di denaro. Le ragazze scelte, all’ottavo mese di gravidanza, venivano fatte venire in Campania per partorire in una clinica del Casertano. Entravano in Italia attraverso la Grecia, per poi ripartire una volta perfezionata la cessione. Una ricerca facile quella della coppia bulgara, tanto che in più di un’occasione proprio Anna, intercettata al telefono, se la prende con Maione, reo, secondo lei, di lavorare poco. «Io le coppie le ho trovate – la difesa dell’italiano – il problema è che non hanno i soldi». In un solo caso è documentato il versamento della somma pattuita (ventimila euro), anche perché la coppia che aveva «acquistato» il neonato aveva chiesto la somma in prestito ad una finanziaria. Probabilmente i membri dell’organizzazione avevano capito che i carabinieri erano sulle loro tracce, perché nell’altro caso accertato di compravendita, la madre naturale del bambino era stata spedita a partorire all’ospedale di Giugliano, nel Napoletano. Nella clinica casertana, infatti, i carabinieri avevano infiltrato una militare che, nei panni di un’infermiera, aveva raccolto preziosi elementi. Come la storia della piccola nata con problemi respiratori: i «committenti», una coppia di cinquantenni, avevano poi rifiutato la nascitura che era stata rispedita in patria con i suoi genitori naturali. O come quell’uomo italiano che, una volta messo alle strette, non aveva nemmeno riconosciuto la foto della donna bulgara con cui aveva detto di aver concepito un figlio. In quella stessa clinica, lavorava come infermiera ancheuna delle donne denunciate per l’acquisto dei neonati. Per i genitori «acquirenti» (due coppie di Casal di Principe e di Santa Maria Capua Vetere) i magistrati non hanno richiesto l’arresto. «Non l’abbiamo fatto per motivi di opportunità, ricevendo anche il plauso del gip. – ha spiegato il procuratore aggiunto Raffaella Capasso che ha coordinato le indagini con il sostituto Andreana Ambrosino - La nostra prima preoccupazione sono stati i minori». Il futuro dei due bambini «acquistati», che oggi hanno tre anni, sarà deciso dal Tribunale dei Minori.