Paola Setti, il Giornale 5/4/2012, 5 aprile 2012
La «first sciura» sicula che da dietro le quinte fa quadrare il Cerchio - E adesso se non le dita, almeno gli occhi sono tutti puntati su di lei
La «first sciura» sicula che da dietro le quinte fa quadrare il Cerchio - E adesso se non le dita, almeno gli occhi sono tutti puntati su di lei. Lady Bossi, anzi, «la Manuela» come la chiamano tutti i leghisti. La first sciura Marrone poteva non sapere, certo. Anzi, sono tutti convinti che non abbia mai lavorato altro che per il bene della Lega e dei suoi figli, che poi qui a Gemonio viaggiano in tandem quanto a impegno e accudimento. E però tutti sanno che è stata lei, questa signora piccina dai riccioli neri, sempre marmoreamente assente dalla scena pubblica, ad aver confezionato quel cerchio magico di cui Francesco Belsito, il tesoriere ormai ex seppellito dalle carte di tre Procure, era il «lato» economico. È il 2004, l’11 marzo dell’ictus. Bossi rischia di morire, lei deve decidere e lo fa senza tentennamenti. Sceglie di chi può fidarsi, e tiene lontani dal marito e dal partito quelli che considera avvoltoi pronti a sbranarsi entrambi. Nel Cerchio entra Rosy Mauro, che allora dirige il Sindacato Padano e da anni è fedelissima dell’Umberto. Dentro anche Marco Reguzzoni, che è il presidente della Provincia di Varese e genero di Francesco Speroni, sul Carroccio dalla prima ora. Ammessi alla tavola ristretta anche due che poi nel tempo si sono defilati, il lombardo Giancarlo Giorgetti e il piemontese Roberto Cota. E Belsito. Gli altri, a partire dall’amico-rivale Roberto Maroni, fuori. Da allora la Manuela tiene le redini di tutto. È «l’anima nera del movimento », scrisse di lei Panorama sollevando un polverone di rabbia e querele. Era stata la raccolta dei veleni a disturbare tutti, anche i nemici. Ma che Manuela sia l’anima della Lega è un dato. Nacque nel suo monolocale il partito, quando ancora l’Umberto non l’aveva sposata. Le serate di manifesti e colla al posto del lume di candela, le fumose riunioni a studiare gli atti del nascente partito, né la piegarono le lunghe attese dell’Umberto sempre in viaggio, ogni sera un comizio, alla fine di ogni comizio una fila di donne e il giorno dopo le voci sulle scappatelle. Vere o no, la Marrone non le ha mai ascoltate. Fu lo stesso Bossi, poco tempo fa, a darle atto di fede assoluta: «La Lega deve ringraziare mia moglie. I soldi li ha messi lei, che ci diede addirittura la prima sede, casa sua, perché non avevamo altro ». Uniti nel bene e nel male. Per dirne una, c’era anche lei fra gli azionisti della Ceit Srl, che avrebbe dovuto costruire 2 mila appartamenti e 200 posti barca in Istria e invece fallì, con un buco di 2 miliardi e un seguito di condanne per bancarotta fraudolenta. Tempra sicula, la Marrone, che in verità è nata al Nord, ma ha sempre mantenuto il suo cognome da signorina in nome del nonno Calogero, impiegato all’anagrafe del Comune di Varese e poi finito in un lager nazista per aver aiutato gli ebrei. Dai primi anni agli ultimi,l’ombra della Marrone è cresciuta dietro alle scelte del marito, guadagnandosi il titolo di «Gianni Letta del Carroccio». Lo disse Speroni: «Manuela non è solo la moglie del capo. Da quando Umberto è stato male ha tenuto anche una gestione politica »; confermò Mario Borghezio: «Da un male, la malattia del capo, è nato un bene: abbiamo scoperto Manuela. È il consigliere di Umberto, l’anima della Lega. Ha unito politica e delicatezza, un simbolo». Le offrirono di candidarsi a Milano per subentrare a Bossi nel frattempo eletto a Bruxelles. Lei, che già nel 1989 era stata consigliere provinciale a Varese, non giocò quella partita. Aveva scelto la famiglia, lasciando nel 1992 anche il suo impegno di maestra elementare. Di quella baby pensione a soli 39 anni ha scritto Mario Giordano nel suo Sanguisughe . Lei non ha mai replicato, come ogni volta del resto, ché la sua ultima dichiarazione pubblica risale al lontano 1994: «Mi sono costretta a fare la mamma ma vorrei proprio tornare a scuola. Umberto ogni tanto me lo dice: a te manca il tuo lavoro, vero?», disse. Tempo quattro anni e una scuola la fondò, col marito: la Bosina di Varese, finita poi nel mirino dell’Idv, che denunciò come alla «libera scuola dei popoli padani» il governo avesse dato 800mila euro in due anni alla voce «ampliamento e ristrutturazione del Fondo per la tutela dell’ambiente e la promozione dello sviluppo del territorio». Lei tacque, come sempre.