JACOPO IACOBONI, La Stampa 5/4/2012, 5 aprile 2012
Gli scrittori messi a nudo in camera da letto - “Guardando in basso vedo il mio corpo uscire dalla stanza con intenti omicidi», scriveva Burroughs nella sua stanza a Tangeri, dove scrisse Il pasto nudo appuntandolo coi foglietti sulle pareti, in condizioni lisergiche
Gli scrittori messi a nudo in camera da letto - “Guardando in basso vedo il mio corpo uscire dalla stanza con intenti omicidi», scriveva Burroughs nella sua stanza a Tangeri, dove scrisse Il pasto nudo appuntandolo coi foglietti sulle pareti, in condizioni lisergiche. Ma non è solo per questo che è un’esperienza iconica osservare le camere da letto degli scrittori. La rivista Granta avvisa che il magazine Apartment therapy pubblica le fotografie dei luoghi dove gli scrittori, come diceva Truman Capote, andavano a «gettare le ossa», luoghi ampi o più spesso piccoli, posti puliti, illuminati bene, oppure posti un po’ stretti e bui, riposi di fortuna, alloggi concessi alla poca fortunata (almeno economica) destinata ai grandi. Non fu il caso dell’autore di A Sangue freddo , che spesso svernava in una stanza sul mare agli Hamptons, semplice, ma elegante. Letto a una piazza, pomelli in ottone, pareti in legno bianco, un comodino con tavolo a vetro, una lampada da terra. Sono, questi, «luoghi di eremitaggio? Santuari? Semplice posti per lavorare?». Di meno, ma anche molto di più. C’è chi fa della propria stanza l’estremo rifugio di «accesso negato», e chi la immagina come un’estensione di sé, un’espansione geometrica, un’accelerazione di possibilità. Ci son stanze da letto che lavorano palesemente sul tempo, e stanze che abitano lo spazio. Di Virginia Woolf, per dire, viene mostrata una stanza assai borghese con parquet lucidato, un tappeto rettangolare che sembra persiano, due sedie, di cui una fratino, un tavolino in bambù, una collezione di libri essenziali - quanto diversa da certe enormi librerie radicalborghesi di libri mai letti - rilegati con copertine tutte colorate. La camera di Hemingway a Key West fa impressione e un po’ paura, è una camera sontuosa, travi di legno a terra, doppia vetrata, tantissima luce, ma anche un lampadario in vetro orrendo, una testiera del letto che fa venire i brividi e suscita in chi guarda il dubbio se uno lì sopra possa mai fare l’amore. Al confronto la stanza di Flannery O’Connor nella tenuta dei genitori si nota per la semplicità infantile, la copertina a quadretti del letto singolo, un banchetto per la scrittura che è quello dove compose tante delle sue pagine, delle tende sul verdolino non belle, molto oscuranti e quasi protettive... Un gioiello nel suo genere è la camera dove Sylvia Plath stette sette mesi appena arrivata a New York, al Barbizon Hotel for Woman, una chicca da vedere assolutamente quando si capita a New York, Upper East Side, sulla 140 East 63rd. È una stanzetta stretta e lunga, moquettata, con lettino addossato alla parete, mini-scrittoio ad angolo, comò sul lato. Piccola ma molto luminosa e ad angolo, colori chiarissimi del pavimento in legno, è la stanza di Emily Dickinson, colpisce che scrisse moltissime delle sue poesie su un tavolino quadrato che lascia spazio a stento a un quaderno. Proust dormiva in una stanza reclusiva: soffriva d’asma e di diverse allergie, tutte le aperture erano schermate, mura e tetto erano sigillati col sughero per isolare dal rumore e dalla polvere: per il resto, letto con struttura in rame, poltrona, separè alle spalle del letto, comò piuttosto massiccio in legno scuro che fungeva (anche) da scrivania. Uno però alla fine ama più di tutte queste due, la stanza dove Faulkner scrisse Una favola (un lettino a dir poco spoglio e pareti bianche dover annotava le righe del romanzo), e quella, appunto, di Burroughs nel Bunker sulla Bowery: due tappeti marocchini, una coperta che sa di Fez, caldaie sbrecciate e fili della luce a vista. Era, per lui, l’ultimo dei pericoli.